mercoledì 16 maggio 2012

la vita nelle mani



questo libro parla del popolo Haida, che vive ad Haida Gwaii, nelle isole Charlotte. In particolare parla di alcune abitudini di vita e soprattutto dell'arte tradizionale di questo popolo, un'arte che è sopravvissuta nel tempo e che ha tuttora i suoi esponenti, i quali hanno reso contemporanea una tradizione artistica che è comunque irrinunciabile guida e fonte di ispirazione per tutti gli artisti del posto.
Embé che ce frega di un libro di antropologia culturale, direte.
E invece no.
Perché conoscere le leggende ed i miti delle popolazioni vicine e lontane è una mia passione, e mi aiuta a scavare, a cercare connessioni col Selvaggio che cerco dappertutto, in primis dentro di me.
Inoltre, un popolo che lavora per rendere la creolizzazione un cambiamento positivo, che vivacizzi la civiltà e non la derubi di tutte le sue realtà antiche e profonde, è un popolo da conoscere, e da prendere come esempio, esterofili e smemorati come siamo.
Ancora, osservare e studiare opere come quella che ho messo nella foto del post precedente a questo, è sempre un gran regalo per gli occhi e per il cervello.
Gli Haida, come tutti i popoli nativi americani, hanno una religiosità direi panica, legata alla natura. Ogni essere ha un'anima, talvolta perfino alcuni oggetti ce l'hanno. E questo influenza completamente la vita delle persone, che sono immerse nella magia e nella Divinità. E' straordinario. Per me, è il solo modo di restare fedeli ad una religione. Quando tutto quello che c'è dentro e fuori di te è magico e divino, allora non sentirai mai la divinità come lontana ed estranea, nemmeno quando ti succedono cose brutte e gli dei ti sembrano ostili e arrabbiati. Loro comunque sono lì, con te. E' qualcosa di intenso e coinvolgente, al quale è difficile rinunciare e da cui è difficile staccarsi. Ed è meraviglioso sapere che questa religiosità pervasiva ed intima è celebrata attraverso varie forme d'arte, individuali e collettive, quali la danza, la scultura, la confezione di tessuti, l'oreficeria, le rappresentazioni teatrali. E' l'arte nella vita, e la vita nell'arte.
Il libro è complesso in molte sue parti, dal punto di vista del linguaggio, dovrò studiare manuali di antropologia di base per capire meglio. Da un lato mi rendo conto che quando studi un popolo in particolare, nel profondo, le nozioni basilari siano date per scontate. Da un altro punto di vista, è un peccato perché su questo popolo c'è poca letteratura, e sarebbe stato piacevole che l'autrice, Elvira Stefania Tiberini, avesse un testo scritto in modo più divulgativo e scorrevole. Ma tant'é. Tutto è più difficile di quanto credevamo ;)

3 commenti:

  1. (...)Quando tutto quello che c'è dentro e fuori di te è magico e divino, allora non sentirai mai la divinità come lontana ed estranea, nemmeno quando ti succedono cose brutte(...)

    Uhm...Per te davvero, dentro e fuori magico e divino? Ti confesso che se mi riuscisse di fare a meno del "fuori" quotidiano, penso che anche per me quel che resta sarebbe magico e divino.
    Sintesi: per me basterebbe non vivere per essere felice. OK, ho l'umore del background del tuo blog.
    Concordo sulla lapalissiana verità: tutto è più difficile di come crediamo. Forse è solo nel dolore che si intravede la complessità del tutto.

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  2. penso che rinunciare alla vita non risolva molto, perché penso che lo stesso nero ce lo portiamo attraverso il tempo, nelle nostre vite una dopo l'altra, se non proviamo a risolverci, un po' alla volta, in ognuna delle vite che fanno il nostro percorso..si capisce? :P
    ps sono così andata che ho scordato di scrivere l'autrice del libro! :P ora correggo il post

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  3. Si capisce :-) forse la vita serve per perdonare e stemperare il nero. Peccato che più spesso si preferisca dimenticarlo e si viva saltando da un'illusione all'altra.

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