domenica 20 giugno 2010

mi raccomando: tutti vestiti bene


David Sedaris è uno di quegli autori sui quali posso andare a colpo sicuro. Rido continuamente, e non so mai cosa aspettarmi. Avevo letto "Me parlare bello un giorno", altra raccolta di racconti brevi come questa, e forse quello è stato ancora più esilarante, ma pure questo non è da poco.
Non capisco mai cosa in questi racconti sia tratto dalla vera vita dell'autore e cosa no, perché c'è molto di autobiografico, perciò diventa complicato capire dov'è la parte fantasiosa. Ma in fondo non mi frega niente di sapere quali sono le cose che si è inventato e quali quelle che ha vissuto veramente. E' il modo di scrivere, di raccontare gli avvenimenti, di prendere in giro tutto e tutti, in primo luogo se' stesso, è il linguaggio che può sembrare colloquiale ma ti fa capire che invece questo non è un pirla, sono le battute fulminanti ed esilaranti..mi fa impazzire, rido a crepapelle.
Più di una volta mi è capitato di fare la classica figura di merda che fai quando hai per le mani un libro così. Sto leggendo in un momento di pausa al lavoro, oppure sul divano di casa dei miei, oppure in treno. Da fuori, si vede questa ragazza (beh, ragazza de na volta..) che legge, e così si potrebbe pensare che sono una persona colta. Poi, all'improvviso, parto a ridere. Non è che sorrido o faccio una lieve risatina, no. Inizio proprio a ridere come una deficiente, e mi fermo dopo un tot. E così, da fuori, l'idea che ci si fa di me è di una matta. Ma, come dicono in Alice, tutti i migliori sono matti. Mi consolo pensando che sia vero.
Ecco, questa figura di merda l'ho fatta più di una volta (la peggiore, di notte, mentre facevo da badante ad una signora in coma..per fortuna i parenti non erano presenti in quel momento..l'infermiera è entrata e ha visto me con le lacrime agli occhi dalle risate, vicino a una morente..per fortuna l'ha presa con leggerezza e questo mi ha permesso di mostrarle il libro: Bar Sport di Benni, al che lei ha sorriso ed ho capito che probabilmente anche a lei era capitata una cosa simile). Con i libri di Sedaris sei praticamente condannata a fare queste figuracce a meno che non ti organizzi per leggere il libro solo quando sei assolutamente in solitudine, a casa tua e con le porte chiuse. Il che per me, che mi porto i libri ovunque, è un po' complicato. Ma la prossima volta me ne ricorderò. Ehm...credo.

mercoledì 16 giugno 2010

eva


di nuovo Verga, di nuovo con una delle sue primissime prove letterarie. Non il Verga più conosciuto dunque, quello del Verismo, ma un Verga più giovane, che ancora non ha trovato lo stile a lui congeniale.E alla faccia di congeniale, il Verismo se l'è inventato lui ed ha rivoluzionato la narrativa. Comunque, non divaghiamo.
Eva è una ballerina, e un giovanotto si innamora di lei, come tanti altri giovanotti. Lui è un poveraccio che tenta di diventare un grande artista, ma lei straordinariamente ricambia inizialmente l'attrazione, poi si innamora di lui.
I due ci provano, ma alla fine la storia.. Per altri dettagli guardate wikipedia, o ancor meglio leggete il libro, che tanto è breve e lo si finisce in mezza giornata.
Il punto cruciale, almeno per me, è questo: cosa succede all'amore quando c'è di mezzo la realtà? Mi spiego. Quando tu vivi l'intensità sognante dell'innamoramento è tutto fantastico, quando immagini un sacco di cose su qualcuno che non hai, o su una storia appena iniziata, wow... E fin qui niente di nuovo.
Ma che succede quando vi svegliate insieme e tu hai la guancia sporca di bava e il/la partner l'alito che puzza? Che succede quando hai esaurito i tuoi look più favolosi e "quella" persona ti fa un'improvvisata mentre stai spolverando con una vecchissima canottiera grigia di snoopy e dei pantaloni della tuta viola tirati su al ginocchio? Quando tu giri per casa con i bigodini e lei con i peli sulle gambe, oppure lui con una maglietta macchiata di ketchup?
Ricordo che ne abbiamo parlato io e il Solito, una volta, e la domanda perfetta per spiegare il senso del nostro dubbio è stata: che succede se Lancillotto sposa Ginevra? Come va a finire quando la realtà si butta a peso morto sul sogno? Quando l'abitudine rischia di coprire tutto quanto? Uno stupendo teatro è un carnaio se vai dietro le quinte. Una romanticissima e focosa scena d'amore al cinema in realtà è una mezz'ora di lavoro per due ai quali non frega un cazzo l'uno dell'altra, e che sono circondati da almeno trenta persone a cui frega ancora meno. Un romanzo che ti commuove e ti entusiasma per la sua spontaneità è stato riscritto continuamente dal suo autore, per poi passare nelle mani dell'editor, del correttore di bozze, dell'art director.. Una meravigliosa e sexy ballerina può risultare sciatta e sfatta senza trucco, con le scarpe slacciate e tutta sudata.
Quindi, per prima cosa grazie a Verga che con uno dei suoi primi romanzi aveva già raggiunto il livello di vari romanzieri affermati di oggi. Non è passatismo il mio. Pur essendo io spudoratamente passatista per molte cose, actually. E' che dobbiamo sempre ricordarci gli insegnamenti della Storia per poterla usare come termine di paragone, per imparare dal passato. E sapere che ci sono stati( e ce ne sono anche oggi per fortuna) uomini e donne che hanno saputo scrivere così, e anche molto meglio una volta raggiunta la maturazione artistica, beh..saperlo ci deve far riflettere sul fatto che è umanamente possibile raggiungere l'eccellenza. E che, in alcuni ambiti, possiamo anche insistere un tantino di più a cercarla, se proprio non ce la sentiamo di pretenderla.
Secondo punto, onore al merito al giovane Verga per aver saputo analizzare in poche pagine e con estrema chiarezza un tema non così ovvio, soprattutto nell'ottica borghese del tempo (ma, è cambiata poi così tanto l'ottica dalla seconda metà dell'Ottocento a oggi?mah..).
Vi lascio col dubbio su Lancillotto e Ginevra allora. What if..?
P.S:quella nella foto è Patti Smith, tanto per fare la passatista del tutto..e direi che è una buona foto per chi vuole chiedersi, come me in questo post, cosa ci sarà mai dietro ai miti..

sabato 12 giugno 2010

senilità

Non può mancare Italo Svevo alla nostra umile ma il più possibile dignitosa rassegna.
Questo è un libro che superficialmente può sembrare noioso, o comunque poco interessante, ed invece se lo leggi con attenzione è veramente caustico e potente, direi.
Probabilmente nessun altro scrittore, in quel periodo storico, riesce meglio di Svevo a descrivere come sia gretta la figura del borghesuccio che si crede un grand'uomo ma è solo, diciamolo, un piccolo grande pirla.
Emilio Brentani, il protagonista, è un uomo che mente. Se uno capisce questo (e si capisce), allora è già a buon punto per notare quanto sottilmente ironico e tagliente sia tutto il romanzo. Mente agli altri, dandosi arie di uomo pieno di responsabilità, arguto e brillante, mentre non lo è. Mente a se stesso, vedendosi come uomo di mondo con un sacco di esperienza, smaliziato e fuori dalle norme borghesi, mentre è tutt'altro.
E' un uomo spaventato dal mondo esterno, dal sesso e dalle scelte di vita fuori dagli schemi, che per non correre neanche il minimo rischio finisce per rinunciare a tutte le gioie che la vita potrebbe offrirgli, se solo lui le cercasse, o cercasse di afferrarle.
E' un uomo con una psiche di bambino (cioè, ancor peggio di come sono gli uomini abitualmente, intendo..), che vuole far credere a se' stesso ed agli altri di essere molto, molto diverso da ciò che è.
Uno sfigato insomma, lo chiameremmo oggi. E a ragione.
Da un lato quest'uomo mi fa pena, perché capisco che non riesce a reagire alla sua immensa paura di vivere.
Dall'altro mi fa incazzare, perché nella mia testa si fa spesso largo il solito pensiero: che bisogna provare a lottare, sempre.
Il romanzo però non è malinconico o triste, pur parlando di una condizione di disagio e dispiacere. Svevo prende il protagonista per il culo sistematicamente, dall'inizio alla fine. Con quell'humor inglese, avete presente? Come quelle persone che fanno una battuta ma non si scompongono, e tu invece sei lì che ridi come un imbecille. Ecco, Svevo scrive così. Non ne lascia passare una al povero Emilio, ma lo stile è asciutto e minimale, come un sorriso sarcastico, mai come uno scoppio di risate per capirci. Mentre tu che leggi il libro ridi e dici "che bastardo!", e continui a ridere... Geniale.

giovedì 10 giugno 2010

teresa


Povera Teresa, mi viene da dire finché leggo il libro.
Ma mi viene anche da dire dell'altro. Tipo: ma che cazzo fai, Teresa?! Oppure: svegliati, Teresa! Ancora: prendi tutti a calci nel culo, Teresa! Lo stronzo di tuo padre, le troie delle tue sorelle, il bastardo che ti fa promesse senza mai mantenerle, il paesino di merda dove vivi. Tutti a calci in culo, Teresa!
Ma se Teresa si fosse comportata così, significherebbe che ho letto un altro libro e non quello di Neera.
Questo invece parla di sudditanza, dolore rassegnato, desiderio di vivere che spinge per uscire ma si trova tutte le porte chiuse a doppia mandata.
Parla di una reclusa che è anche carceriere, perché per prima accetta la propria condizione e non alza mai la testa.
Parla di una donna tremendamente e dolorosamente maschilista, perché in fondo è convinta che sia giusto così. Che le donne siano per natura inferiori. Che siano nate per servire e obbedire. Che il destino non si possa, se non cambiare, quanto meno indirizzare. Che il dominio maschile, fuori e dentro le mura domestiche, sia legge divina.
Parla di una donna che ama intensamente, ma non cerca di amare liberamente. Sì, le è proibito. Ma a lei va bene.
Parla di una donna che si vergogna della propria ignoranza, ma non fa nulla per saperne di più, per accedere alla cultura. Certo, le è preclusa. Ma a lei va bene.
Parla di una donna che aiuta tutti ed è gentile e onesta, e di un paese piccolo e pettegolo, nel quale a volte lei si sente isolata. E non se ne va. Certo, non ha mezzi. Ma a lei va bene.
Parla di una donna che ha il terrore di un padre borioso e tiranno che non le ha mai fatto una carezza, ma al quale lei non dice mai nemmeno "puoi starmi vicino papà?". Oppure "ti stai comportando di merda, papà". Ma a lei va bene.
Parla di una donna che si innamora di uno che non fa niente di veramente concreto per lei, e lei gli resta fedele per la vita, invece di dirgli di andarsene a baciare il culo a Satana. Ma..lo sapete già. A lei va bene.
Accetta supinamente il corso noioso e triste e ingiusto degli anni, senza mai fare nessuna scelta propria. Piange, e piange, e piange, ma si sente intimamente inferiore a qualsiasi uomo e immeritevole ed incapace di farle, le scelte proprie.
Non è come Emma Bovary, una stronzetta boriosa. Questa è una palla lagnosa e sfigata. Da stronzetta boriosa a sciaquetta noiosa quindi.
Mi viene da dire, Teresa, che un primo passo potrebbe essere comprarti un paio di scarpe tipo quella della foto.
In fondo, mi viene anche un altra cosa da dire.
Una cosa tipo: vaffanculo, Teresa. Da tutte le donne come me.

venerdì 4 giugno 2010

l'Innocente


ieri sera ho finito sia Doyle che questo, che vi devo dire? e poi è meglio che approfitti del fatto che il mio computer mi obbedisce e internet mi funziona. Chissà quando ricapiterà.
L'Innocente tratta di infanticidio. Ed è scritto da D'Annunzio.
Bastano queste due affermazioni per capire, almeno chi mi conosce lo capirà, che il libro non mi è piaciuto molto. Ma tant'è, lo dovevo leggere per quel cazzo di esame di letteratura, e allora tanto vale farsene una ragione e parlarne.
Ammetto che ho un pregiudizio nei confronti di D'Annunzio e fatico a liberarmene.
Ammetto che il protagonista di questo libro, un tipico "superuomo" dannunziano, è uno di quegli uomini che io detesterei.
Ammetto che il suddetto protagonista assomiglia per certi versi al mio ex, che è un viscido verme ma che io non so come ho amato sinceramente. E questa è l'ennesima prova di quel che dico sempre, che non bisogna mai e poi mai giudicare perché tutti facciamo errori e cazzate. Io ne faccio più di altre persone in effetti, ma non divaghiamo.
Il protagonista allora, Tullio. Lo chiamerò il Divino, perchè è così che lui si sente per la maggior parte del tempo. E' sposato con Giuliana, la tradisce per anni, se potesse si scoperebbe anche, che ne so, un vagone della metro, ma al tempo ancora non c'era la metro. La moglie sa tutto, e accetta in silenzio per anni questa situazione del menga, per usare un eufemismo. Sì lo so, anche lei è una cogliona, ma sto parlando di lui adesso. Il Divino ha con la moglie un rapporto fraterno, dice. Infatti è molto comune che i vostri fratelli vi trattino di merda, vi abbandonino e vi lascino soli a piangere per anni credendo che in fondo la sofferenza vi renda persone elette. E' un tipico esempio di amore fraterno questo. Mica è un esempio di bastardaggine congenita aggravata da disturbo narcisistico della personalità. Assolutamente no. E' proprio amore fraterno.
Ad un certo punto, per vari episodi che non sto a raccontarvi, Tullio e Giuliana sembrano riavvicinarsi. E lui scopre, dopo aver rifatto sesso con lei per la prima volta dopo vari anni, che lei è incinta di un altro. E li' scatta la OLA di tutte le donne come me: GIULIANA, GRANDEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!!!!!!!!
Lei invece, la tonta, si sente in colpa per l'adulterio al punto di volersi ammazzare. Ma lui, il Divino, la convince a restare viva e a detestare il nascituro insieme a lui. Così la bellissima coppia è finalmente riunita dall'odio e dal ribrezzo per il bambino figlio del tradimento. Che adorabile quadretto no?
Il bimbo nasce, amato e coccolato da nonna, zio e sorelline, mentre i due colombi ogni volta che lo vedono o lo toccano devono contenere la nausea.
Così una sera il Divino, col tacito consenso della mogliettina, lascia per un po' fuori al gelo di dicembre il piccolo, che ovviamente si ammala e muore.
E siamo tutti contenti.
Non avevo mai riassunto i libri letti qui nel blog, ma in questo caso ho dovuto farlo perché è molto difficile per me commentare questa lettura. Mi ha lasciata arrabbiata, dispiaciuta e anche un po schifata. Mi ha fatto pensare per tutto il tempo a quanto stronzo era il protagonista. Mi ha fatto pensare al fatto che qualcuno, nel periodo in cui uscì per la prima volta il libro, forse si è pure identificato con Tullio o con Giuliana. Mi ha fatto nuovamente riflettere su quanto a volte sia davvero impegnativo avere un atteggiamento non giudicante ma solo osservatore ed eventualmente critico. Mi ha fatto osservare uno stile di scrittura che io personalmente non apprezzo molto ma che sicuramente è diverso dagli altri, ed innovativo, e questo è un indubbio merito dell'autore. Mi sono chiesta se D'Annunzio l'abbia scritto per provocare, e per provocare cosa?, o se l'abbia scritto perchè il morboso lo aveva sempre attratto e gli interessava scrivere di quello. Mi ha fatto pensare che, comunque, l'arte è lo specchio dei tempi e quindi anche questo libro lo è, e ne io ne' nessun altro possiamo decidere cosa va bene o non va bene leggere o ascoltare o guardare. So, welcome to provocation.
Ma che dispiacere, e che amaro in bocca mi ha lasciato, non avete idea.

irlandese al 57%

eccoci qua. Tanto per cambiare il mio computer è lento in modo imbarazzante,e la mia connessione ad internet..beh, ormai sono quasi certa che in realtà sia una candid camera. Comunque.
Di nuovo Roddy Doyle, stavolta con un libro che è una raccolta di racconti brevi. Il tema è uguale per tutti, ed è la mescolanza di razze ed etnie che ormai c'è in Irlanda. Questa per gli irlandesi sopra i trent'anni è ancora una novità, legata al boom economico che da una quindicina di anni fa e fino a due anni fa aveva fatto diventare il paese dei paddys uno fra i più ricchi d'Europa. Ed è per questo che molti stranieri si sono trasferiti la', in un paese che era diventato così giovane e dinamico. Certo, con ancora molto della vecchia Irlanda, e dei vecchi irlandesi. Che si sono trovati sbalzati dal nomignolo di "negri d'Europa" ad una sensazione del tipo "adesso siamo ricchi cazzo, siamo forti". E bisogna conviverci, con la vecchia e la nuova Irlanda insieme. E bisogna convivere anche col fatto che dove c'è benessere c'è sempre qualcuno che arriva perché il suo paese d'origine è più disastrato.
Così Roddy nei suoi racconti tratta lo stesso tema, ma in modi talmente diversi da un racconto all'altro che se non avessi letto l'introduzione te ne renderesti conto solo dopo un bel po', che l'autore ha un fil rouge che guida la narrazione dall'inizio alla fine. E alla faccia del fil rouge, l'argomento è dei più complessi delicati ed esplosivi; eppure lo scrittore lo tratta com'è nel suo stile, con schiettezza e semplicità, anche se parlare semplice e chiaro di cose complicate è una sfida che lascia sul campo solo pochi superstiti, i migliori.
C'è che forma un gruppo musicale, i Deportees, e spacca veramente.
C'è che realizza un progetto per la scuola sui pregiudizi, e lo fa andando a rubacchiare nei negozi per poi restituire tutto ed aprire gli occhi al negoziante sul fatto che non sempre le persone sono quel che sembrano.
C'è che si trasferisce fino a Manhattan per scrivere nei neri irlandesi.
C'è che decide di non avere più paura dei prepotenti, solo perché è straniero e in apparenza debole.
C'è chi prova a creare un test per vedere se sei veramente un irlandese doc, e l'unico che raggiunge il 97% di irlandesità è un omone nero che con capelli rossi e quadrifogli sembra aver poco a che fare.
C'è un po' di tutto, da ridere e da riflettere, da porsi domande e poi porsene delle altre. Perché in fondo le risposte sono una noia a volte.
E poi, è scritto da Roddy Doyle, e questa è sempre una garanzia.