venerdì 26 novembre 2010

amado e borges


di entrambi ho letto l'opera prima, questo mese. Per Borges la raccolta di poesie si chiama Fervore di Buenos Aires; il primo romanzo di Amado è Il paese del carnevale. Borges aveva 24 anni, Amado 19. Entrambi poi avrebbero scritto di meglio ed infatti durante la loro lunga vita hanno ricevuto innumerevoli premi, lauree honoris causa, onorificenze di ogni tipo. Ma il punto non sta qui.
La verità è che possiamo dire solo adesso che hanno scritto di meglio, perché abbiamo letto le opere successive, che rimarranno per sempre nella storia. Ma se Fervore di Buenos Aires e Il paese del carnevale non fossero state seguite da altro, ci renderemmo più facilmente conto di quanto siano oggettivamente libri ottimi.
Sono ottimi, per i temi come per la lingua, per come dipingono un'Argentina ed un Brasile speciali e amatissimi, per come rispecchiano l'anima e le idee dei loro autori, oltre che un incommensurabile talento.
Scrivo un unico post per due libri perché pur essendo molto diversi, mi hanno dato la medesima sensazione di gioioso stupore mentre li leggevo. Mi sorprendevo di più ad ogni riga, pensando al fatto che queste sono state "solo" due opere prime,e guarda un po' che bombe! Ricordo che l'ho pensato anche con Eva di Verga e L'esclusa di Pirandello. Vai avanti a leggere e ti dici "Cristo, che genio questo!". Sai che vette ha raggiunto dopo e ciononostante ti rendi conto che anche queste prime "prove" non hanno niente da invidiare all'ennesimo libro di molti scrittori affermati. Anzi. Adesso, non voglio nominare il solito famigerato Moccia, ma penso a scrittori e scrittrici di romanzi più o meno frivoli, non perché sia sbagliato scrivere romanzi allegri e divertenti, ma quando leggi l'ennesimo romanzo uguale a decine di altri, con la stessa storia, la stessa impostazione, gli stessi dialoghi, lo stesso intreccio, le stesse frasi fatte..allora hai diritto di gridare dentro di te (ma se volete, aprite la finestra e gridatelo anche fuori..): ECCHECCAZZOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!
Anche Dona Flor e i suoi due mariti, uno dei più famosi romanzi proprio di Amado, è a suo modo frivolo, nel senso che non è drammatico o impegnato o altro, ma la storia sensazionale che racconta e il modo in cui la racconta ne fanno qualcosa di meraviglioso. Per dirne uno.
Quindi, mi permetto di ribadire, ancor di più dopo la lettura di questi due libri giovanili e bellissimi, che per fortuna almeno in letteratura il Meglio c'è, e si vede. Si vede da subito.

lunedì 22 novembre 2010

saggio su Pan


Parlando di provocazioni, questo saggio è perfetto.
Non posso permettermi di consigliarlo, non perché sia brutto anzi a me è piaciuto moltissimo, ma è dannatamente intenso e complicato. Bisogna volerlo leggere, e prepararsi a far uscire fumo dalle orecchie per quanto il cervello lavora per starci dietro. Almeno, per me è stato così, probabilmente perché non ho tutti gli strumenti culturali, intesi proprio come letture di autori spesso poco conosciuti o molto specialistici , e come conoscenza della cultura classica pre-cristiana.
Comunque.
Ci ho provato, e ne è valsa la pena. Come dicevo per Virginia Woolf, non ho capito niente, ma è bellissimo.
Come dice il titolo, l'autore scrive sul dio Pan, il dio rappresentato come un capro, che se ne va in giro a stuprare ninfe, ed è la causa degli incubi, della paura (panico, appunto), ma anche dell'istinto, del cosiddetto sesto senso, dell'approccio più direttamente naturale alle cose ed alle situazioni. E' il dio della Natura, Pan. Per questo il cristianesimo ne ha avuto immensa paura, perché la Natura e l'istinto sono ovviamente fuori controllo e la chiesa cattolica è l'emblema della smania di controllo. Pan è quindi stato "ucciso", relegato a figura inesistente o più spesso fatto passare come emblema del Male. Il diavolo ha infatti aspetto caprino, il diavolo E' Pan.
Ecco, solo fin qui ci sarebbe già abbastanza da spaccarsi la testa su tutti i risvolti.
Il saggio invece si srotola, attraverso citazioni, rimandi ad altri autori, collegamenti alla psicologia alla filosofia alla religione alla psicanalisi e chi più ne ha più ne metta.., si srotola dicevo attraverso la descrizione e l'analisi di tutti gli aspetti propri del dio, dall'incubo allo stupro alle ninfe alla paura ed altro ancora. Naturalmente questi vari aspetti sono analizzati soprattutto rispetto alla persona. Ad onorare la tesi, secondo l'autore, che Pan così come molti altri archetipi rappresentati nella mitologia, governa la realtà e soprattutto l'animo umano. In effetti, la mitologia è stata la prima grande "enciclopedia" dell'Uomo, in tutti i suoi aspetti, pratici come interiori. Quindi ci sta.
Bello, bello, bello.
Di più però non ho capito. Scusate. Ma lo rileggerò e poi ci riproverò.

lolita


E' davvero difficile, questo romanzo. Non tanto per i concetti che ti esprime, che in fondo sono chiari, ne' per il linguaggio, che è elaborato ma comprensibilissimo e scorrevole.
L'ho trovato difficile perché mi ha messo davanti una storia cruda e crudele, da affrontare così com'è, sordida malata e cattiva, dolorosa sporca e senza speranza. Davvero complesso, da affrontare e da capire.
E' difficile affrontare che la pedofilia sia qualcosa di insito ed istintuale in molti esseri umani; che in certe culture passate e presenti fosse e sia normale perciò non capisci bene dove sia il limite, se ne esiste uno.
E' duro affrontare che il bambino o la bambina possa in effetti istigare alla sessualità, per sfida o per divertimento, rendendosi più o meno conto di quello che fa, ma forse mai del rischio che corre; che forse davvero alcuni pedofili, in alcuni casi, non si rendono conto, mentre lo stanno facendo, di distruggere per sempre la vita di un bambino.
E' arduo affrontare una realtà così vecchia ed a cui si reagisce in così tanti e differenti modi nelle diverse persone e società (i pedofili sono visti come delinquenti, malati mentali, normali cittadini che sposano ragazzine, fonti di reddito vedi i turisti del sesso, mostri..).
La mia opinione sulla pedofilia è ininfluente qui, ed in effetti lo fu anche quella di Nabokov, che si era sempre disinteressato di scrivere per insegnare, propagandare o altro, ma che semplicemente aveva idee e le sviluppava e, se gli pareva funzionassero, proseguiva nel lavoro, ma fondamentalmente scriveva per scrivere. Nabokov diceva che la parola "realtà" è una delle poche parole che senza virgolette non hanno alcun senso: a mio avviso questo significa che, in ambito letterario, per ciò che riguardava la propria arte, Nabokov se ne fregava abbastanza della realtà. Così come se ne fregava, per esempio, della sua personale tragedia di esiliato politico e continuava a scrivere, anche in lingue che non erano la sua lingua madre (Lolita è nato in inglese, e solo dopo è stato tradotto, fra le altre, anche in russo, e dallo stesso Nabokov), lingue che gli permettevano di dire quel che voleva. Pur di scrivere sorpassò la sua propria realtà dunque, e allora perché non sorpassare anche la realtà in senso più ampio? Intendiamoci, il romanzo è pieno di rimandi realistici, a luoghi tempi eventi, e racconta una storia verosimile esprimendo sensazioni verosimili. Ma non ha niente a che vedere con il pensiero dell'autore a riguardo.
Perciò ritengo corretto non prendermi la libertà di inserire il mio pensiero sul tema del romanzo. Ecco, il difficile dove sta, nell'esimersi dal giudicare la pedofilia mentre si sta leggendo un romanzo sulla pedofilia. Tanto più che il romanzo è indubbiamente arte, è bellissimo e potente, e non te lo puoi dimenticare come invece puoi fare con, che ne so, certi articoletti scandalistici. Quasi tutta l'arte è provocatoria, e quando la provocazione è così forte, brutale direi, non può non cambiarti. Anche se ti fa paura, anche se è complicata, anche se vorresti chiudere il libro e scappare, anche se vorresti dimenticartene. L'arte è anche questo, e a mio modo di vedere questa "scomodità" ha valore, ed ha valore la sua esperienza.

domenica 21 novembre 2010

lezioni americane


in questi giorni, in questo mese actually, la voglia di leggere è stata tanta, e il tempo poco, così anche scrivere qui mi sembrava un furto di tempo alle mie letture.
Così adesso mi toccherà scrivere tutti insieme i post dei libri letti negli ultimi venti giorni, e vi risparmio eventuali post su come mi sento, come vedo la vita,and other bullshit.
Ma a scrivere di Calvino non posso proprio rinunciare, ovviamente non perché il mondo abbia bisogno dei miei ingenui, insulsi, anonimi commenti su Calvino, ma perché ho proprio bisogno di esprimere come mi sento in merito a questo saggio, anche se il post non verrà letto.
Allora.
Complesso, intricato, denso di riferimenti e significati e consigli e citazioni, ricco, con un linguaggio così curato straordinario vario e preciso da cambiarti la testa.
Sì, davvero, perché mi sento di dire che chinque voglia provare a scrivere qualcosa con lo scopo di farsi pubblicare dovrebbe leggere questo saggio. Anzi, chiunque IN ASSOLUTO dovrebbe leggerlo. Andrebbe introdotto a scuola obbligatoriamente.
Non solo per gli argomenti trattati, e per la poesia con cui se ne parla, ma anche appunto per l'uso della lingua, della scrittura, del lessico che fa quest'uomo. Tutti abbiamo scritto un tema nella vita. Ma al di la' dei temi e della scuola, tutti abbiamo dovuto o potuto o voluto fare un discorso importante almeno una volta. Non importa se è un discorso pubblico, se è una dichiarazione d'amore, se è un discorso di scuse. Non importa l'argomento, o meglio dovrebbe essere ovvio che se riteniamo importante il discorso che stiamo per fare allora dovremmo aver scelto un argomento ed una argomentazione come si deve. Parlo proprio del modo di esprimersi, che deve, DEVE essere almeno decente, e spessissimo invece non lo è. Oggi al mio paese c'è stata una piccola conferenza sull'educazione alla lettura dei bimbi fin da piccoli. L'assessore alla cultura e innovazione ha fatto un brevissimo discorso di benvenuto, durato penso tre minuti, e quei tre minuti sono stati ricchi solo di gravi errori grammaticali, ripetizioni e di un vocabolario credo di quaranta parole in tutto, considerando anche le preposizioni e gli articoli. Non voglio essere snob, giuro. Ma cazzo, è una conferenza sulla lettura, e ri-cazzo, sei assessore alla cultura!
E' anche per questo che fa bene leggere questo saggio, nel quale Calvino, nel 1985, presentò sei valori che avrebbe voluto portare nel nuovo millennio, in ambito letterario. Mentre leggi, non puoi non spostarti dalla letteratura alla vita e ritorno, ed è giusto e ovvio che sia così, perché la letteratura, come ogni altra manifestazione culturale, E' la vita. Perché è il linguaggio che ci rende unici nel mondo animale e vegetale, e sono le nostre manifestazioni culturali che definiscono la nostra umanità, e il nostro impegno per affermare la personalità che abbiamo, individuale o collettiva. Perchè non siamo nati con la penna in mano, ne' con qualsiasi altro strumento. Noi siamo nati nudi, incapaci di comunicare comprensibilmente e di eseguire la maggior parte delle azioni che caratterizzano un'intera vita. Però abbiamo imparato, ed impariamo. E questo ci rende speciali, perché nessun altro animale è in grado di imparare tanto quanto noi, e di operare connessioni o ragionamenti come noi. E' un dono straordinario, e va coltivato molto più di quanto la maggior parte di noi faccia abitualmente. E leggere questo saggio è veramente un enorme suggerimento su cosa coltivare e come, in ambito letterario ma non solo. E costituisce anche, questa lettura, un potente incentivo a migliorare, se riesci a superare il fatto che sei maledettamente mediocre e minuscolo rispetto a gente come l'autore. Ma in fondo, che importa se non sono all'altezza di Calvino? Lo so che non lo sono. Ma questo saggio mi fa pensare che, forse, anche io ho qualcosa da dare. E, sicuramente, posso migliorare in molti ambiti della vita, se lo voglio.
"Ognuno deve tirare fuori l'opera d'arte che è in se'". L'ha detto Michelangelo. E forse ne capisco più a fondo il significato, oggi.

domenica 7 novembre 2010

italo calvino, lezioni americane- rapidità-


oggi il valore che voglio raccomandare è proprio questo:in un'epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano d'appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, la funzione della letteratura è la comunicazione tra ciò che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensì esaltandone la differenza, secondo la vocazione propria del linguaggio scritto.

quando perdi qualcosa ti ricordi del valore che aveva. Lo si dice spesso. Allora mi piacerebbe che oggi l'intera umanità piangesse, come abbiamo fatto in tanti ieri sera, una lacrima per Pompei.
Una lacrima per un patrimonio immenso che è abbandonato da anni.
Una lacrima per dei siti davvero, davvero unici in tutto il mondo.
Una lacrima per una serie di classi politiche inette ignoranti irrispettose ignobili idiote incapaci che anche in questa occasione hanno dimostrato di aver tradito il proprio paese.
Una lacrima perché quando perdi qualcosa di così straordinario non puoi dire la solita frase fatta "beh con tutti i problemi che ci sono questo non è poi così grave", come è stato detto delle opere perse col terremoto dell'Aquila, o ancor prima di Assisi. Certo che è grave cazzo. Perché la cultura, la storia, l'arte, ci rendono quelli che siamo, perché se ancora c'è qualcosa di buono questo viene per la maggior parte da lì, dalla cultura, perché un mondo senza arte è freddo bieco vuoto e per molti versi inutile.
Una lacrima perché un pezzo di noi è andato perso solo perché a chi di dovere non è fregata una minchia.
Una lacrima perché non si torna indietro.
Una lacrima perché se come diceva qualcuno la Bellezza ci salverà, stiamo degenerando sempre più inevitabilmente verso l'opposto della salvezza.
Una lacrima perché per politici che odiano il proprio paese non c'è scusa.
Una lacrima perché se loro ci odiano, forse piangendo per noi stessi potremmo iniziare a provare ad amarci da soli.
Si fottano. Si fottano. Si fottano.