giovedì 28 novembre 2013

chi ha paura della strega?

Vassilissa accetta la Maga, accetta di servire l’irrazionale, che di fatto la tratta con più giustizia di come la trattavano coloro che avrebbero dovuto amarla (la matrigna e le sorellastre) ma che in realtà sfruttavano la sua debolezza. Non che la strega la tratti con tenerezza. Solo con equità.
Baba Jaga non vuole i deboli. Se li mangia. E’ bene ricordarlo. Non è la Paura da deboli quella che è dovuta a Baba Jaga. Le è dovuta la Sacra paura dell’Ignoto, la paura di coloro i quali tremano, ma non si paralizzano. Chi è paralizzato, o addormentato, da quella paura da omuncoli, non riesce a muoversi per portare a termine il lavoro che Lei assegna, e quindi è destinato a perire.
La paura della Realtà fa sghignazzare Baba Jaga. Se temi la realtà quotidiana, come sopporterai la visione di Lei? Come farà a non venirti da vomitare quando la sua casa ballerà con te dentro? Come farai a fare tutto ciò che Lei ti chiede, se avrai così tanto timore della Realtà da non arrivare neanche a capire che esiste un intuito da ascoltare per rendere tutto più veloce? Se a malapena cammini, a causa della tua impaurita lentezza, come potrà lei, magari un giorno, portarti a volare sul suo mortaio?
Baba Jaga, la Donna Selvaggia, entra nella realtà di tutte noi. Più o meno consciamente, avvertiamo i suoi messaggi. Un sogno di un certo tipo, spesso macabro. Digrignare i denti mentre si dorme. Un incontro che smuove qualcosa di strano senza quasi sapere come quella persona si chiama, un incontro che spesso spaventa e che mai ci fa sentire rilassati.


Non esiste un “momento giusto” con lei. Spesso molti di noi temono la Realtà, e chiamano questa fifa “non sentirsi pronti”. Anche di questo Lei ride sguaiata. Se la Vita ti ha messo davanti qualcosa adesso, allora quella cosa è di adesso. Se Baba Jaga ti ha dato del lavoro da fare, devi farlo o la pagherai. Non è che puoi farla tanto aspettare. Spesso la vita ci mette davanti prove difficili, altre volte possibilità di essere felici. Essere spiazzati può capitare. Ma starsene immobili adducendo motivi quali “non è un buon momento”, non aiuta, e soprattutto non fa mica sopraggiungere quel tanto agognato momento. Se quello che ci sta capitando è un dispiacere, e non lo affrontiamo, quello presto o tardi ci arriverà comunque addosso, e forse ci sommergerà. Se quello che ci sta capitando è una possibilità di essere felici, non afferrarla la farà svanire, e renderà noi degli idioti. Non arriveremo da Baba Jaga, o lei non ci vorrà. Non avremo il Fuoco, e la nostra Casa sarà ancora più buia e fredda. Non potremo cucinare per nutrire il nostro intuito e la nostra personalità.
Vivere nella Realtà con coraggio, respirare stare in piedi parlare in modo integrato e vero, prendere quello che la Vita ci offre tenendo bene a mente che la Certezza non è fatta per noi mortali, ma che siamo destinati al dubbio, che è un'altra parola per dire Possibilità, Opportunità.. fidandoci del nostro intuito e rimanendo integre nella nostra vita, allora raggiungeremo la Selvaggia e saremo abbastanza solide e sagge per fare ciò che chiede, come lo chiede. Lei ci preparerà. Ci insegnerà a vivere ad un altro livello. Ci darà il Fuoco.
E noi splenderemo, bellissime roventi luminose e terribili.

Baba Jaga e la sua casa

Baba Jaga e la sua casa fanno parte del mondo istintuale. La Pinkola Estés definisce questa strega come “il midollo della psiche istintiva integrata”. Baba Jaga conosce il passato (sa chi sono Vassilissa ed i suoi). E’ custode degli Esseri che regolano il ciclo del Tempo ( i tre uomini a cavallo). Possiede un fuoco che divampa da solo, dai teschi e nei teschi. E’ terribile e saggia. E’ brutta perché contiene in se’ il Fuoco nella Morte. La primordialità del passato archetipo. Fa paura perché ha a che fare strettamente con il ciclo Vita/Morte/Rinascita che costituisce forse il nucleo, il cuore del nostro concetto di Ignoto. Baba Jaga incute un terrore primordiale, ed estremamente vivificante. Il terrore per il quale tremi forte.
La sua casa, come lei, non sta mai ferma. E se anche sta ferma, esattamente come Baba Jaga questa casa freme. E’ piena di energia e di entusiasmo, e se le va balla come una gallina pazza che non riesce a contenere la propria esplosività. La Estés, di nuovo, suggerisce che se questa storia raccontasse un sogno compensatorio, potremmo pensare che per Vassilissa, partita da una vita piatta e spenta, una casa come questa serve a compensare la sua incapacità di volteggiare, la sua sostanziale apatia.


Il magico, spaventoso e incredibile mondo di questa strega è un mondo dove nulla è come sembra o come ci si aspetta, un mondo in cui le cose che si credono inanimate si muovono, in cui la Morte crea il Fuoco, in cui una vecchia è l’Essere che tutto può. Essa è la Madre Selvaggia, che si sostituisce alla Madre Amorevole dell’infanzia, colei che aveva donato a Vassilissa la preziosa bambola, e che ad un certo punto della storia deve morire. La bambola, emblema dell’Intuito, funziona bene, ma Vassilissa non farà passi avanti senza essere messa alla prova ed addestrata dalla Vecchia Selvaggia.
Baba Jaga è severa e minacciosa, ma giusta. Se la si ascolta lei non punisce. Il timore verso di Lei è giusto e non va espresso in piaggeria o accondiscendenza, bensì in rispetto onesto. Mostrandosi lealmente per ciò che è, e rispettando la Nonna per ciò che anche Lei è, Vassilissa ottiene di rimanere illesa, di apprendere alcuni Misteri e di ricevere il Fuoco che riaccenderà la sua vita.
Insomma, Baba Jaga e la sua casa non sono per tutti. O almeno, non ci si arriva subito. Prima di arrivarci, Vassilissa affronta la morte della madre, lo sfruttamento della matrigna e delle sorellastre, l’abbandono della casa natale, un lungo cammino nella foresta. Sono tutti passaggi da fare, per l’anima con l’aiuto essenziale dell’intuito.
E quando arriviamo? Lei ci piomba addosso urlando. Ci sgrida e ci scruta e mostra di conoscere noi e la nostra storia e di controllarci molto da vicino. E’ brutta e sporca, e la sua casa fa spavento. Ma l’Intuito, dalla tasca del nostro grembiule, ci dice “Rimani. E’ questa la casa che cerchi.”
Rimani. E’ questa la casa che cerchi.

lunedì 25 novembre 2013

Tremate tremate 1: Baba Jaga

Baba Jaga per i popoli baltici (Russi, Rumeni, Polacchi, Iugoslavi..) è la strega per eccellenza. Quando si vuole un cattivo di spessore, e lo si vuole femmina, allora si chiama in gioco lei. La storia per la quale tutti o quasi, in giro per il mondo, la conoscono, è quella di Vassilissa.
La riporto nella versione raccontata da Clarissa Pinkola Estés in “Donne che corrono coi lupi”, anche se con alcuni tagli e alcune parti riassunte per non allungare troppo il post; Clarissa a sua volta racconta la versione narratale da sua zia Kathé.


C’era una volta, e una volta non c’era, una giovane madre che giaceva sul letto di morte. Chiamò a se’ la figlioletta Vassilissa. “Ecco, questa bambola è per te, tesoro mio”, sussurrò la donna, e da sotto le coperte tirò fuori una bambolina vestita come Vassilissa.
“Sono le mie ultime parole, bambina mia. Se ti perderai o avrai bisogno di aiuto, domanda a questa bambola, e sarai assistita. Tienila sempre con te. Non parlarne a nessuno, e nutrila quando ha fame. Questa è la promessa fatta a te da tua madre, questa è la mia benedizione, cara figlia.” E il respiro le ricadde nelle profondità del corpo, dove raccolse l’anima e sfuggì dalle labbra: la mamma era morta.
La bambina e suo padre a lungo piansero e si disperarono. Ma poi, come il campo crudelmente sconvolto dalla guerra, la vita del padre rinverdì, e l’uomo sposò una vedova che aveva due figlie. Sebbene la matrigna e le sue figlie avessero modi educati e sorridessero sempre come vere signore, dietro i loro sorrisi c’era qualcosa del roditore che il padre di Vassilissa non notava.
Quando le tre donne erano da sole con Vassilissa la tormentavano, la costringevano a servirle. La odiavano perché in lei c’era una dolcezza ultraterrena. Si rendeva utile senza mai un lamento.
Un giorno la matrigna e le sorellastre non la sopportarono proprio più. “Facciamo in modo.. che il fuoco si estingua, e poi mandiamo Vassilissa nella foresta da Baba Jaga, la strega, a chiedere il fuoco per la terra. La vecchia la ucciderà e se la mangerà.”
Così quella sera, quando Vassilissa tornò dopo aver raccolto la legna, la casa era tutta al buio.
Disse la matrigna: “Soltanto tu puoi andare a cercare Baba Jaga e chiederle un carbone per riaccendere il fuoco.”
Vassilissa si avviò. Nel bosco l’oscurità fitta e i ramoscelli che scricchiolavano la riempivano di paura. Infilò la mano nella profonda tasca del grembiule, accarezzò la bambola e disse “Solo a toccarla, già mi sento meglio”.
E a ogni biforcazione, Vassilissa infilava la mano in tasca e consultava la bambola, che indicava in quali direzioni andare. La ragazza le diede un po’ del suo pane e seguì quanto sentiva provenire dalla bambola. Improvvisamente un uomo vestito di bianco su un cavallo bianco passò al galoppo, e si fece più chiaro. Poi passò un uomo vestito di rosso su un cavallo rosso, e sorse il sole. Cammina cammina, Vassilissa arrivò alla tana di Baba Jaga, e proprio in quel momento un cavaliere vestito di nero arrivò al trotto su un cavallo nero, e penetrò nella baracca. Subito si fece notte. Lo steccato di ossa e teschi attorno alla baracca prese ad ardere di un fuoco interno, e la radura nella foresta fu dunque illuminata da una luce fantastica.
Baba Jaga era una creatura veramente spaventosa. Viaggiava in un mortaio che si spostava da solo. Guidava questo veicolo con un remo a forma di pestello, e intanto cancellava le tracce alle sue spalle con una scopa fatta con i capelli di una persona morta da gran tempo.
E il mortaio volava nel cielo con i capelli grassi di Baba Jaga che svolazzavano dietro. Il lungo mento era ricurvo verso l’alto e il lungo naso verso il basso, così si incontravano al centro. Aveva una barbetta a punta tutta bianca e verruche sulla pelle per il suo commercio con i rospi. Le unghie nere erano spesse e ricurve e tanto lunghe che non poteva chiudere la mano a pugno.
Ancora più strana era la casa di Baba Jaga. Posava su un mucchio di zampe gialle di gallina, camminava da sola e talvolta volteggiava come una ballerina in estasi. Le maniglie delle porte e delle finestre erano fatte con dita di mani e di piedi umani e il chiavistello della porta d’ingresso era un grugno dai denti appuntiti.
Quando Vassilissa chiese, la bambola rispose “E’ questa la casa che cerchi”. E d’improvviso Baba Jaga nel suo mortaio calò su Vassilissa urlandole: “Che cosa vuoi?”
La fanciulla tremava. “Nonna, sono venuta per il fuoco.. ho bisogno di fuoco.”
E Baba Jaga di rimando: “Oh, sììì, ti conosco, e conosco i tuoi. Dunque, essere inutile.. hai lasciato spegnere il fuoco. Non è una bella cosa da farsi. E, per giunta, che cosa ti fa pensare che ti darò la fiamma?”
Vassilissa consultò la bambola e si affrettò a rispondere: “Perché chiedo.”
Baba Jaga disse soddisfatta: “Sei fortunata. E’ la risposta giusta”.
Baba Jaga entrò rumorosamente nella catapecchia e si sdraiò sul letto e ordinò a Vassilissa di portarle quel che stava cuocendo nel forno. Nel forno c’era cibo sufficiente per dieci persone, e Baba Jaga se lo mangiò tutto, lasciando una piccola crosta e un cucchiaio di minestra per Vassilissa.
“ Lavami i vestiti, scopa il cortile, pulisci la casa, preparami da mangiare, separa il grano buono da quello cattivo e vedi che tutto sia in ordine. Tornerò a controllare quel che hai fatto più tardi. Se non avrai finito, sarai tu il mio banchetto.”
Non appena Baba Jaga se ne fu andata, Vassilissa si rivolse alla bambola, la nutrì e quella la rassicurò dicendole di andare a dormire. Al mattino, la bambola aveva fatto tutto e non restava che da preparare il pasto. La sera Baba Jaga tornò e trovò che non era rimasto nulla da fare. Un po’ soddisfatta e un po’ no, perché non c’era nulla da ridire, chiamò i suoi fedeli servitori perché macinassero il frumento, e tre paia di mani comparvero a mezz’aria e cominciarono a svolgere il lavoro. Quando fu tutto finito, Baba Jaga si sedette, mangiò per ore e ordinò a Vassilissa di pulire di nuovo tutta la casa, di scopare il cortile e lavarle i vestiti.
Baba Jaga indicò un gran mucchio di sporcizia in cortile, nel quale stavano anche milioni di semi di papavero. “Per domattina voglio un mucchio di semi di papavero e un mucchio di sporcizia, ben separati. Hai capito bene?”
Vassilissa disperata consultò la bambola, che ancora la rassicurò, ed ancora fece tutto il lavoro mentre Vassilissa dormiva.
Il giorno dopo Baba Jaga chiamò i suoi fedeli servitori per spremere l’olio dai semi di papavero, e di nuovo apparvero le tre paia di mani.
Mentre Baba Jaga mangiava, Vassilissa le stava accanto. “Allora, che cos’hai da guardare?” grugnì.
“Posso farti qualche domanda, nonna?”
“Domanda pure”, ordinò Baba Jaga, “ma ricordati che se troppo saprai, presto invecchierai”.
Vassilissa chiese chi fossero i tre uomini e Baba Jaga rivelò che il Bianco era il suo Giorno, il Rosso era il suo Sole Nascente, il Nero era la sua Notte.
Vassilissa avrebbe voluto sapere delle tre paia di mani, ma la bambola dalla tasca le suggerì di non chiedere altro, e Vassilissa ubbidì. Baba Jaga, stupita da tante prove riuscite, e dalla grande saggezza della pur giovane Vassilissa, chiese alla ragazzina come avesse fatto a diventare così. Quando la piccola rispose “Grazie alla benedizione di mia mamma”, Baba Jaga urlò che non c’era bisogno di benedizioni lì attorno, e disse a Vassilissa di andarsene, spingendola fuori nella notte. Le diede però ciò che avevano pattuito, perché la ragazza aveva svolto tutte le sue mansioni al meglio. Prese un teschio dagli occhi ardenti dal recinto e lo infilò su un bastone. “Ecco! Prendi questo teschio sul bastone e portatelo a casa. Ecco il tuo fuoco. Non aggiungere una sola parola. Vattene.”
Vassilissa corse verso casa seguendo il percorso che la bambola le suggeriva, con il teschio davanti a se’ dal quale usciva fuoco dalle orecchie, dagli occhi, dal naso e dalla bocca. D’improvviso provò paura per quel peso e quella luce fantastica e pensò di gettarlo, ma il teschio le parlò, la invitò a calmarsi e a proseguire.
All’ avvicinarsi di Vassilissa, inizialmente la matrigna e le sorellastre, credendola ormai morta, non la riconobbero. Quando la riconobbero le corsero incontro dicendole che erano rimaste senza fuoco dal giorno in cui se n’era andata, e sebbene avessero più volte cercato di accenderlo, non aveva mai attaccato.
Vassilissa entrò in casa con un senso di trionfo, perché era sopravvissuta al periglioso viaggio e aveva riportato il fuoco nella sua casa. Ma il teschio sul bastone osservava ogni mossa delle sorellastre e della matrigna, e il mattino dopo aveva bruciato e ridotto in cenere il malvagio terzetto.

progetto nuovo: tremate tremate..


Questo è un progetto che avevo in mente da tempo. Ci ho messo qualche anno a raccogliere materiale sufficiente per avere almeno le basi..le ossa che spero di riunire con il mio canto come fa la Loba..chissà se oltre ad uno scheletro saprò, almeno qualche volta, darvi di più..non dico un lupo vivo e vegeto ululante alla luna..ma almeno mi piacerebbe riuscire a metterci un po' di carne addosso, a queste ossa..poi potrete farle vivere voi, nella vostra interiorità.
Dunque come avrete intuito quest'anno parlerò di streghe. Ancora non so se mi dedicherò "solo" a quelle delle fiabe o se scriverò anche di qualche strega realmente esistita.
Mi piacerebbe, in parallelo, scrivere anche Dentro le Nebbie della stessa strega di cui parlerò qui, di volta in volta..ma Dentro le Nebbie tutto è diverso e sono ancora meno sicura di farcela..non vi prometto niente ne'.
Come al solito sono graditi contributi, idee, commenti e proposte.


Partirò da Baba Jaga.
Ma devi proprio cominciare con quella che fa più paura di tutte? Sì.
Per me, per il mio percorso di vita finora, lei è stata ed è fra le più spaventose e anche fra le più potenti. Quindi meglio affrontarla subito, perché non la si “risolve” certo in un mese di post insulsi. Credo proprio che tornerà, come torna nei miei sogni e nelle mie intuizioni improvvise.

Quindi tremate tremate..

martedì 12 novembre 2013

le vedi camminare insieme nella pioggia o sotto il sole..

Vorrei concludere il mio minimo discorso su Frida, prima di passare al progetto nuovo.
Stasera vorrei parlare di quello di cui forse ci si aspettava avrei parlato subito, conoscendomi. Ovvero della forza come solitamente la intendo io. La forza della testardaggine, ma anche dell’integrità, il coraggio o forse la follia di non mandarle mai a dire. Vorrei parlare di quanto seppe essere radicale, non solo nell’arte, questa Donna Selvaggia. Del fatto che, a costo di passare per stronza, disse ogni volta ciò che aveva da dire, nel bene e nel male, con un linguaggio ben chiaro, talvolta caustico, mai banale ma sempre esente da fronzoli. Barocca nell’abbigliamento e a volte anche nei dipinti, pulita e limpida e diretta nelle idee. Se dovessi identificarla con un rumore, penserei ad un rombo.


Io la immagino con tanti problemi e poche paturnie, Frida. Forte e chiara. La pagò, inutile anche dirlo, ma in fondo possiamo darle torto? La vita è crudele, e quasi nessuno ti tratta davvero con gentilezza, tranne quando vuole ottenere qualcosa. Quindi, perché farsi mille problemi sul come dire le cose, sui tempi, sulla paura che potrebbe fare la nostra irruenza? Perché preoccuparsi così tanto se scompigliamo tutte le carte in tavola a qualcuno, o se lo destabilizziamo nella sua (presunta) sensibilità, o lo mettiamo in fuga con il nostro fuoco? Lo dico sempre e lo ripeto. Vaffanculo.
Certe persone dicono che rispetto significa non forzare mai, agire e parlare adattandosi alle esigenze altrui. Ma io dico che rispetto è dire le cose come sono, belle e brutte, cosicché l’altra persona è VERAMENTE libera di decidere se ciò che facciamo o diciamo le sta bene. Perché sa che ciò che facciamo e diciamo equivale a ciò che siamo. Di conseguenza anche l’altra persona può essere se’ stessa. Voglio poterti dire che sono pazza di te quando e quanto mi pare. Voglio poterti mandare a fanculo quando e quanto mi pare. Ovviamente ho delle ragioni per fare entrambe le cose, se non le avessi non sarebbe questione di rispetto ma di patologia psichiatrica.
Quando qualcuno passa una giornata a coccolarti e poi all’ improvviso sembra dimenticarsi di te, e poi tira fuori la scusa di “non coinvolgerti nei suoi problemi”, quello come lo si chiama? E’ una persona sensibile e confusa o ha la sindrome bipolare? E’ bugiarda o spaventata? Sono tutte possibilità. Perché chi passa il tempo a fare giochetti ha delle possibilità, mentre chi parla chiaro è sempre, irrevocabilmente, una stronza insensibile dai modi perentori?
Gentilezza e delicatezza sono due cose diverse. Essere indecisi e dimostrare poco interesse sono cose diverse.
Frida, come dicevo nel post precedente, dice “Io sono qui”. Molta gente, spesso quella dalla sensibilità facilmente urtabile, crede che queste parole siano seguite da un silenzioso completamento: “per te”.
Ma “Io sono qui” significa anche “Guardami. Sono qui e ci resto. Sono presente a me stessa, al mondo, e anche a te. Non sono invisibile e sono Bellezza.”
Decisi lo si è anche nel senso positivo, come lo fu Frida che amò fino in fondo e anche oltre, e che fu sempre di una generosità meravigliosa. Con una come Frida eri sicuro. Che se ti diceva “Ti amo”, “Sei importante per me”, era vero cazzo. Che se non era sicura di qualcosa, non significava che se ne dimenticava da un minuto all’altro, ma al contrario che ci pensava e ci rifletteva.
Perché, come mi ha recentemente detto Lu, “essere selvagge non preclude la dolcezza”. Dirti stronza non preclude dirti che sono cotta di te. Dirti che voglio star sola non preclude dirti che anche da sola ti penso. Dirti che vorrei accarezzarti non preclude la possibilità di mandarti a cagare. Perché, sempre parafrasando Lu, “essere libera significa non prendere sempre lo stesso sentiero per forza, ma decidere anche, se vogliamo o se ci serve, di prendere il sentiero opposto, senza smettere di essere noi stesse.”


“Io sono quello a cui fai accender sigarette, e sono quello per cui le hai accese tu”, cantava Vinicio Capossela. A volte sono carina e altre sono stronza. Ma sono sempre leale. Non mi nascondo e non dimentico coloro ai quali ho promesso la mia presenza. Credo che anche questo sia “essere Frida”. Ma anche essere Margarita, essere Anne e Mary, essere Michelina, essere Ruth e Margareth, essere Tori, essere Eleonora, essere Clarissa, essere Artemisia, essere Pina, essere Anna, essere Saffo. Essere colei che “morirà con la sua lingua”. Essere Demetra. Essere tutto il contrario de “il sesso debole”.
Forse, in definitiva, essere Strega significa anche questo. Si dice che una strega tace molte cose, ed è una grande verità. Ma non tace sempre. Non tace a caso. Non ha paura di mostrare chi è, se lo ritiene opportuno. Non mente.
Vorrei essere più intrigante e meno evidente. Più silenziosa e meno palese. Più riflessiva e meno esplosiva. Più sfuggente e meno irruente. Non sono tutto ciò che vorrei essere, come probabilmente non lo era nessuna delle Donne di quest’anno.
Ma ciò che siamo, loro ed io, è ben chiaro.
Siamo Selvagge. Streghe. Roboanti. Antiche. Potenti. Spaventose. Amanti. Cariche. Siamo così come ci vedi, e siamo anche molto di più.
Se credi, o speri, che ci scorderemo di te, che rinunceremo ad aspettarti al varco, che eviteremo di picchiarti in testa e poi (o magari anche prima) riempirti di baci.. Se credi o speri che siamo come tutti gli altri e tutte le altre, che presto la paura prenderà anche noi, e lo sconforto, e la voglia di lasciarti sola.. se credi o speri qualcosa del genere.. oh dolcezza, non sai quanto ti sbagli..