venerdì 25 novembre 2011

per chi di notte


santa lucia
per tutti quelli che hanno gli occhi
e un cuore che non basta agli occhi
e per la tranquillità di chi va per mare
e per ogni lacrima sul tuo vestito
per chi non ha capito
santa lucia per chi beve di notte
e di notte muore e di notte legge
e cade sul suo ultimo metro
per gli amici che vanno
e ritornano indietro
e hanno perduto l'anima e le ali
per chi vive all'incrocio dei venti ed è bruciato vivo
per le persone facili che non hanno dubbi mai
per la nostra corona di stelle e di spine
e la nostra paura del buio e della fantasia
santa lucia
il violino dei poveri è una barca sfondata
e un ragazzino al secondo piano che canta ride e stona
perché vada lontano fa' che gli sia dolce anche la pioggia nelle scarpe
anche la solitudine

martedì 22 novembre 2011

sabato 12 novembre 2011

aspettami peter


e ti prendono in giro se continui a cercarla, ma non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato, e ti ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di te..

mercoledì 9 novembre 2011

la bella estate


i romanzi che costituiscono questo ciclo sono tre. Il primo è, appunto, La bella estate, ed è quello che ho letto io. Gli altri, se ho voglia, più avanti.
Pavese scrive meravigliosamente, non mi ricordavo quanto fosse bello leggerlo.
La protagonista di questo romanzo, in un anno, diventa una persona più o meno adulta. Più o meno, perché chi è completamente adulto in fondo? E a diciassette anni, anche se sei in quel periodo storico, a diciassette anni dicevo puoi ben permetterti di non essere ancora adulta del tutto. Ginia vive un'estate che pensa non le ricapiterà più. Probabilmente ha ragione. E' una ragazzina intelligente, autonoma e sveglia, ma alla fine abbastanza gretta, un po' arrogante e presuntuosa. Non è una di quelle che ti stanno simpatiche al primo colpo insomma. Poi si innamora. Viene usata e buttata via come è capitato a tutti noi almeno una volta, e quelli a cui non è capitato si vede (e non è un complimento). Forse più dei nuovi amici balordi, più della perdita della verginità, più della scoperta dell'alcol e delle sigarette, è quella delusione a far crescere la protagonista. Che, finalmente oserei dire, si accorge che anche lei ha fatto la figura della stupida, come quelle che prima prendeva in giro. Si accorge che nemmeno lei ha saputo controllarsi, e che pure lei ci è rimasta sotto. Non puoi non godere segretamente di questa sua delusione, perché sempre quando qualcuno è un po' troppo pieno di se', proviamo un certo piacere a vedere che qualcosa lo fa rendere conto del fatto che invece non è al di sopra di nessuno. Allo stesso tempo però ci sentiamo un po' come lei, poveraccia, una buona ragazza alla fine, che vive un dispiacere che in fondo non si meritava, come non se lo meritavano tanti di noi.
Il mio personaggio preferito è Amelia, ovviamente. Amelia che è più grande, e più navigata, Amelia che ha dato il suo corpo ai pittori ed agli amanti un po' perché le piaceva e un po' perché non aveva, o non credeva di avere, altro da dare. Amelia che ha beccato la sifilide ed è spaventata e sola e triste e persa. Amelia che è la sola ad essere davvero innamorata di Ginia. Ma è costretta ad accettare il fatto che Ginia invece è innamorata di Guido, e che anche se Guido la sta usando le cose non possono essere cambiate. Le cose non si cambiano e lei Ginia non può avvertirla ne' proteggerla, ed ha paura anche a farsi tenere per mano perché ha la sifilide, e alla fine continua ad essere capace solo di fare la modella e scopare, e Ginia non vorrà mai amarla, ma anzi la compatisce, Amelia lo sente, lo sa, che Ginia prova quella pietà schifosa uguale a quella che ti insegnano le suore. Amelia che non è uguale a nessuno, che è bugiarda e debole e stronza ma è vera e paga tutto del proprio, nel bene fino in fondo e nel male fino in fondo.
La scrittura è uno spettacolo, precisa e senza troppi fronzoli, come piace a me, secca e semplice. Non c'è altro da dire, sembra. E invece c'è tanto da pensare, perché Pavese scrive le cose ma poi sta a te rifletterci, e capire, la psicologia dei personaggi come i segreti appena accennati della storia. Sta a te capire, se ne hai voglia e se sei capace.
Come per la vita. E' tutto qui, visibile e sperimentabile e palese. Ma sta negli occhi di chi la guarda, e nella mente e anima di chi la vive, capire, o interpretare, o prenderla alla lettera, o provare a starci dentro. Provare a capirla e a farla funzionare non è compito di chi mette in piedi la storia.

domenica 6 novembre 2011

prima di socrate


inseguendo l'ombra, il tempo invecchia in fretta.

sabato 5 novembre 2011

troiane


Adoro Euripide. Nei cinquanta libri dello scorso anno ho postato Medea e Le Baccanti, oggi tocca a loro. Ancora donne. Stavolta sono le reduci dalla distruzione di Troia. Ettore e Achille sono morti, Odisseo non è ancora un eroe positivo ma un uomo sleale e cattivo, Clitemnestra deve ancora assassinare Agamennone. La storia si svolge sulle rive del mare, con Troia che brucia. Le donne troiane sono lì, che aspettano di essere destinate all'uno o all'altro guerriero. Sono spaventate, sole, disperate e stordite.
C'è Ecuba, moglie di Priamo e madre di Ettore, che ha perso tutti, tutti.
C'è Cassandra, stuprata a disonore di lei stessa e di Apollo del quale era sacerdotessa, che gioisce nel vedere nel futuro la morte propria e dell'odiato Agamennone. E tutti la scambiano per matta. Forse lo è.
C'è Andromaca. Mi è venuta la lacrima a leggere di lei, che ha perso Ettore, e si amavano sul serio. Ma soprattutto, ovviamente, mi viene la lacrima quando leggo che, su suggerimento di Odisseo, il piccolo Astianatte le viene tolto dalle braccia per essere buttato giù da una rupe. Non ce la posso fare.
C'è Elena, quella vacca. La causa di tutti i mali. Elena che nonostante tutto fa tenerezza perché capisci che l'essere volubile è la sua natura, che non ha fatto quel che ha fatto per sete di potere o di ricchezze, almeno non solo. L'ha fatto perché era piena di desiderio. E che vuoi farci, poveraccia anche lei.
Gli uomini non hanno molta importanza, qui. Non sono sti gran fighi. Sono arroganti o crudeli o ridicoli, al meglio sono degli illusi che credevano di fare grandi cose ma son morti.
Un uomo, uno solo, si rivela essere un personaggio positivo, e straordinario. E' il dolce Taltibio. E' un araldo, un servo. Forse capisce quanto sia triste essere schiavi, e prova compassione per le troiane. Forse aveva vissuto libero e spensierato prima di essere un servo e capisce quanto si soffra a ricordare il tempo felice quando si è nella miseria. Forse è semplicemente un uomo buono. Taltibio è rispettoso, empatico, corretto. E' fedele ai greci, ma prova pena e dispiacere sinceri per il destino delle troiane, e vergogna per certe decisioni crudeli ed arroganti dei suoi padroni. E' il mio preferito.
Alla fine, le donne devono partire come schiave. Astianatte viene ucciso veramente. E noi sappiamo che Menelao la perdonerà Elena, che Agamennone vedrà la morte, e questo sarà il seme di altre tragedie. Sappiamo che Ecuba si tramuterà in cagna, e che Odisseo vagherà per anni prima di poter tornare a casa, e forse dopo aver letto qui ci viene da pensare che un po' se lo sia meritato.
Non è una favola della buonanotte, è una tragedia. Lo sapevamo. E' difficile e crudele e amara come la vita.
Ma è come la vivi a darle il suo valore.

marcovaldo


anche nei nuovi cinquanta ci voleva Calvino, chevvelodicoaffare.
Le stagioni che fanno il loro giro cinque volte. La città di cemento, inerte crudele rumorosa e sorda.Le difficoltà economiche. I padroni. La modernità. La grettezza. I grattacieli. I pesci avvelenati dagli scarichi industriali. Le piante che crescono a dismisura e muoiono in un giorno come in un commovente canto del cigno. La velocità. L'asfalto. I tram. Gli stipendi bassi. Il Natale consumista.
In mezzo a tutto questo, lui, il manovale Marcovaldo. Con la sua ingenuità, il suo amore onesto e concreto per le cose semplici, per la natura e le sue manifestazioni. Marcovaldo credulone e sognatore, Marcovaldo che vede la città coperta dalla nebbia e si immagina di essere in luoghi avventurosi dal paesaggio mozzafiato, Marcovaldo che scopre dei funghi alla fermata dell'autobus e si convince che può esserci un futuro migliore per il mondo, se ancora la Natura si esprime, anche nell'asfalto. Marcovaldo che è un poveraccio ma conosce le costellazioni e le mostra ai suoi figli, che non può comprare niente ma è felice di aiutare una pianta a crescere rigogliosa. Marcovaldo che prende una cantonata ogni volta, che fallisce, che viene deriso e sottovalutato, che perde sempre. Ma, come sempre, chi se ne frega dei vincenti? Io no di certo. E neanche Calvino mi pare.
Serve che parli, di nuovo, dello stile e delle scelte linguistiche di questo scrittore che è fra i miei preferiti in assoluto? L'ultima dei pirla sono e resto, cosa mi metto a fare la critica di Calvino?! E' perfetto, chiaro. Anche se il romanzo è di metà degli anni Sessanta e quindi poi il suo autore avrebbe fatto tutto un percorso stilistico. Anche se come "storia" ho preferito, ad esempio, Le città invisibili. E' perfetto perché cerca la perfezione, in un lavoro di cesello e modifica e riscrittura, in una continua sfida che mira a superare se' stesso per ottenere il meglio, perché per dire QUELLA cosa ci vogliono QUELLE parole. Non altre, approssimative e sinonime e imprecise. No. Calvino cerca e corregge finché non trova QUELLE. Per questo è perfetto. Non importa se stai leggendo la prima o l'ultima delle sue opere. Chiaro, alcune ti piaceranno di più, altre di meno, questo è fisiologico. Ma è una cosa tua. Non c'entra niente con la sua assoluta perfezione. E basta. :)