sabato 31 dicembre 2011

ho tante cose ancor da raccontare per chi vuole ascoltare, e a culo tutto il resto!..




forever guccio

adoro........

memorie dal sottosuolo


Fin dalle prime righe ho adorato questo personaggio, anche se è un nevrotico arrogante e disperatamente solo e triste che detesta tutti gli esseri viventi del globo terracqueo.
Il protagonista, l'uomo-topo, è matto da legare ma è molto acuto, e questa è la sua condanna. E' convinto della sua superiorità interiore ma non fa nulla per portarla fuori, per farla valere nella vita reale e pratica, e di conseguenza è una persona di infimo livello sociale, senza amici ne' amore, inacidito e permaloso, che vive nella propria fantasia. Però, nei suoi attimi di lucidità, lo capisce che è così. Capisce la propria piccolezza, ed anche se essendo malato si crogiola nel dolore come se fosse nel piacere, in cuor suo lo sa che è un uomo da poco.
Ma pensa. Vede la verità nell'ipocrisia del mondo reale, si accorge di quanto siano miserabili coloro che "a sedici anni stavano già a parlare di posticini al sole". Seppur in tono "superficiale" afferma il libero arbitrio di chi sceglie, anche sbagliando ed andando contro al proprio interesse, solo per il piacere di scegliere liberamente. Ammette con lucidità che anche se si sente superiore agli altri, rimane un vigliacco e un reietto.
Dostoevskij è un maestro nel raccontare questi personaggi nevrotici, le loro contraddizioni ed i loro modi malati, e penso che lo scambio isterico di insulti fra il protagonista ed i suoi quattro nemici al tavolo del ristorante nel quarto capitolo della seconda parte sia qualcosa di assolutamente memorabile, come, per dire come Nabokov, "mescolare la commedia alla tragedia". Un enorme pathos, sia nel senso di passione che di patologia, un enorme pathos dicevo per affrontare e vivere una situazione di per se' banale e ridicola. Tutto diventa più grande agli occhi di questo perdente odioso ma fantastico, tutto è filtrato dalla sua immaginazione insana, tutto è amplificato dalla sua percezione ipersensibile. Tanto che capisci perché, in fondo, la mediocrità sia un toccasana a volte, perché ti fa vivere più serenamente. La mediocrità di chi corre furioso come un toro, e quando arriva davanti ad un muro non solo si ferma, ma dimentica improvvisamente la propria ira, non cerca di superare l'ostacolo ne' si arrabbia perché questo gli blocca la corsa, bensì si mette lì "a pascolare in tutta sincerità". Sono questi i mediocri che l'uomo-topo ripugna, ma allo stesso tempo invidia, sia perché sono inconsapevoli, ma anche (e, sotto sotto, soprattutto) perché vivono, in un certo senso molto più di lui, pur nella loro fondamentale stupidità. E comunque sempre meglio questi di quelli che "s'erano abituati ad inchinarsi unicamente al successo", e "rendevano omaggio al rango sociale come se fosse stato una dimostrazione d'intelligenza". Che quasi quasi ti pare di non stare nel 1860. No?
Ne conosciamo uno per tipo, dei personaggi abietti descritti, e almeno uno di simile a quel nevrastenico del protagonista. Trovo che forse, al di la' di uno stile straordinario, sia anche qui la grandezza di Dostoevskij: nel rendere attuale per ogni generazione ciò di cui scrive. Anche se non conosci la situazione socio politica del tempo, anche se non conosci lo stile di scrittura del giornali e dei libri di allora, anche se non conosci alcune delle consuetudini descritte, capisci lo stesso. Come per Shakespeare. Sono autori che ti fanno dimenticare che loro come persone potrebbero non piacerti tanto, perché la loro letteratura supera perfino loro stessi.
Avercene.

giovedì 29 dicembre 2011

domenica 25 dicembre 2011

aiace


che mi piacciono le tragedie greche non è una novità, ma Sofocle non l'avevo ancora postato, anche se l'Edipo re è stata la prima tragedia che io abbia mai letto, e da allora non ho più smesso.
Questa canta di un eroe, Aiace appunto, che pur essendo stato fra i più coraggiosi e forti nel corso della guerra di Troia, ad un certo punto si arrabbia così tanto per un motivo d'onore, che Atena se la prende con lui (anche perché lui ce l'aveva con Odisseo, e guai a chi glielo tocca Odisseo ad Atena) e lo fa diventare matto. Quando riacquista un po' di lucidità, Aiace non ce la fa ad affrontare tutto e sceglie il suicidio.
Lo stile di Sofocle è considerato il più perfetto fra i tre grandi tragediografi greci, e quindi non può non piacerti, perché è perfettamente calibrato nella gestione di coro e dialoghi, e non si perde mai il ritmo. Davvero ti sembra di vederla rappresentata davanti ai tuoi occhi, una roba fantastica.
I personaggi, beh sono loro, i soliti direbbe Vasco Rossi, quelli che conosciamo dall'Iliade e dall'Odissea. Agamennone, sempre prepotente, Menelao, sempre piuttosto meschino, Odisseo, sempre furbo e a tratti odioso (ma stavolta riesce a far concludere più o meno positivamente il dramma quindi è perdonato). C'è Aiace naturalmente, eroe ma perdente e disperato, sfortunato e confuso,triste e perso.
E poi c'è Teucro, il fratello di Aiace, forse il mio preferito della storia, perché mentre leggevo le sue battute e le sue azioni mi veniva continuamente in mente il pensiero "questo qui non ha paura di niente". Un grande, che non teme di dire in faccia ciò che pensa e di agire come ritiene giusto.
I personaggi delle tragedie hanno la caratteristica dei personaggi di Via del Corno di Pratolini, cioè sono senza mezzi termini, senza tentennamenti, cattivi fino al midollo o buoni fino al midollo, ma sempre col coraggio di pagare fino in fondo ogni scelta senza timore, senza vergogna, senza fermarsi. Sono tutti pathos questi personaggi,anche quelli più riflessivi perché anche la pacata pensosità di quelli riflessivi è qualcosa che caratterizza la loro natura, non qualcosa di costruito obbedendo alla paura, alle convenzioni, al desiderio di piacere agli altri. Tutti sono COSI'. Fino in fondo. Pieni di mistero, passione, rabbia, potenza, calore, slancio vitale.
Anche se sono tragedie, anche se sono sempre piene di morti ammazzati e bimbi orfani e gente messa in schiavitù e vendette, anche se risalgono a duemilacinquecento anni fa, penso sinceramente che nelle opere di Omero e dei tragediografi greci ci sia un quantità di VITA esorbitante.

venerdì 23 dicembre 2011

vivere per raccontarla


non lo so perché nell'ultimo periodo ho letto pochissimo, a parte un paio di libri per i miei esami universitari.
Ma tornare con Marquez, e con questo libro in particolare, è un bel regalo di Natale. La prosa scorrevole ma mai scontata, per esempio. Lo so, l'ho già detto tante volte, ma mi stupisce sempre piacevolmente quando chi scrive o parla riesce ad esprimere i concetti difficili in modo semplice e chiaro, e mai ovvio o banale. Perché sceglie le parole con accortezza per farle aderire al proprio pensiero, alla propria emozione, e non al desiderio di far vedere com'è ampio il proprio vocabolario.
La modestia con cui uno che ha vinto il Nobel ti racconta degli episodi della sua vita, delle volte in cui è inciampato, di come ha imparato a diventare scrittore, dei colpi di fortuna che gli sono capitati. Lo stupore sincero che esprime quando dice che qualcuno, più maturo o bravo di lui, ha apprezzato un suo scritto giovanile. Che tu sai che l'opera migliore della maggior parte degli scrittori nel mondo potrebbe probabilmente essere paragonata a qualcosa scritto da Marquez a tredici anni, e perciò ridi di allegria ed ammirazione leggendo che lui è modesto davvero, e non per farsi bello di fronte ai critici. Tanto più che se ne è sempre fregato dei critici ma ha sempre scritto quel che sentiva di scrivere, e nel modo che riteneva migliore, cercando sempre di migliorare, per "diventare uno scrittore diverso".
La storia, da sola, è un romanzo, come lo sono le vite di molti grandi. Ma non è facile scrivere di se' stessi senza tracotanza e senza soffermarsi su argomenti che potrebbero annoiare il lettore, dando comunque risalto ad episodi che potrebbero sembrare infimi ma che effettivamente contano, e tu che scrivi li vuoi raccontare. E tu che leggi, ti accorgi che anche se in effetti quello che stai leggendo è un dettaglio apparentemente insignificante, lo stai leggendo con piacere ed entusiasmo, e questa cosa da sola lo rende significativo anche per te e non solo per l'autore. Questo è un miracolo della buona letteratura secondo me. In una storia strapiena di avvenimenti e colpi di scena, nella quale la storia personale si intreccia con quella familiare, e della comunità, e dello Stato in cui vivi, e della situazione mondiale, in una storia così infilare episodi "piccoli" rendendoli di valore è un grande merito.
Amo "Gabo" Marquez come sudamericano tipicamente tale, ma con "qualcosa" che lo rende straordinario.
Gabito, con quello stile di scrittura, col valore aggiunto di cinquant'anni e più di esperienza propria e di svariati collaboratori e maestri straordinari che lui ha avuto la fortuna di incontrare.
Gabito che si innamora sempre e vive guidato dal pathos.
Gabito che accetta (tutto sommato di buon grado) anche i periodi più difficili e poveri, basta avere qualche amico con cui ubriacarsi, un'amaca, dei libri, e magari una donna ogni tanto.
Gabito che è piuttosto autoindulgente, ma sa bene che vuole di meglio, e anche se ride e scherza e ogni tanto si crogiola nella pigrizia, ha bene in testa che indietro non ci torna.
Gabito che rifiuta l'ambizione estrema come unico motore della propria vita e carriera, ma preferisce l'Amore, per gli altri come per la letteratura.
Gabito che non si sente "specialista" in niente, ma ama tutto quello che lo fa sentire vivo, e prova tutto, quindi canta, scrive articoli giornalistici, fa l'amore di nascosto, scrive racconti, balla, sta a parlare con gli amici fino all'alba, scrive romanzi, legge dovunque a tutte le ore, recensisce film, fa l'inviato speciale di politica europea senza sapere altre lingue che lo spagnolo e senza avere nessun documento perché è nato in una famiglia povera di una provincia povera di uno stato povero in un'epoca povera.
Gabito, comunista che mette decisamente davanti a "Il Capitale" l'orrore per l'ingiustizia e l'amore per l'uguaglianza sociale politica umana economica.
Gabo, scrittore che, senza il bisogno che lo dica più nessuno ormai, è veramente fra i migliori al mondo, di sempre.
Ecco.
Buon Natale.

venerdì 16 dicembre 2011

lunedì 12 dicembre 2011

venerdì 2 dicembre 2011

venerdì 25 novembre 2011

per chi di notte


santa lucia
per tutti quelli che hanno gli occhi
e un cuore che non basta agli occhi
e per la tranquillità di chi va per mare
e per ogni lacrima sul tuo vestito
per chi non ha capito
santa lucia per chi beve di notte
e di notte muore e di notte legge
e cade sul suo ultimo metro
per gli amici che vanno
e ritornano indietro
e hanno perduto l'anima e le ali
per chi vive all'incrocio dei venti ed è bruciato vivo
per le persone facili che non hanno dubbi mai
per la nostra corona di stelle e di spine
e la nostra paura del buio e della fantasia
santa lucia
il violino dei poveri è una barca sfondata
e un ragazzino al secondo piano che canta ride e stona
perché vada lontano fa' che gli sia dolce anche la pioggia nelle scarpe
anche la solitudine

martedì 22 novembre 2011

sabato 12 novembre 2011

aspettami peter


e ti prendono in giro se continui a cercarla, ma non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato, e ti ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di te..

mercoledì 9 novembre 2011

la bella estate


i romanzi che costituiscono questo ciclo sono tre. Il primo è, appunto, La bella estate, ed è quello che ho letto io. Gli altri, se ho voglia, più avanti.
Pavese scrive meravigliosamente, non mi ricordavo quanto fosse bello leggerlo.
La protagonista di questo romanzo, in un anno, diventa una persona più o meno adulta. Più o meno, perché chi è completamente adulto in fondo? E a diciassette anni, anche se sei in quel periodo storico, a diciassette anni dicevo puoi ben permetterti di non essere ancora adulta del tutto. Ginia vive un'estate che pensa non le ricapiterà più. Probabilmente ha ragione. E' una ragazzina intelligente, autonoma e sveglia, ma alla fine abbastanza gretta, un po' arrogante e presuntuosa. Non è una di quelle che ti stanno simpatiche al primo colpo insomma. Poi si innamora. Viene usata e buttata via come è capitato a tutti noi almeno una volta, e quelli a cui non è capitato si vede (e non è un complimento). Forse più dei nuovi amici balordi, più della perdita della verginità, più della scoperta dell'alcol e delle sigarette, è quella delusione a far crescere la protagonista. Che, finalmente oserei dire, si accorge che anche lei ha fatto la figura della stupida, come quelle che prima prendeva in giro. Si accorge che nemmeno lei ha saputo controllarsi, e che pure lei ci è rimasta sotto. Non puoi non godere segretamente di questa sua delusione, perché sempre quando qualcuno è un po' troppo pieno di se', proviamo un certo piacere a vedere che qualcosa lo fa rendere conto del fatto che invece non è al di sopra di nessuno. Allo stesso tempo però ci sentiamo un po' come lei, poveraccia, una buona ragazza alla fine, che vive un dispiacere che in fondo non si meritava, come non se lo meritavano tanti di noi.
Il mio personaggio preferito è Amelia, ovviamente. Amelia che è più grande, e più navigata, Amelia che ha dato il suo corpo ai pittori ed agli amanti un po' perché le piaceva e un po' perché non aveva, o non credeva di avere, altro da dare. Amelia che ha beccato la sifilide ed è spaventata e sola e triste e persa. Amelia che è la sola ad essere davvero innamorata di Ginia. Ma è costretta ad accettare il fatto che Ginia invece è innamorata di Guido, e che anche se Guido la sta usando le cose non possono essere cambiate. Le cose non si cambiano e lei Ginia non può avvertirla ne' proteggerla, ed ha paura anche a farsi tenere per mano perché ha la sifilide, e alla fine continua ad essere capace solo di fare la modella e scopare, e Ginia non vorrà mai amarla, ma anzi la compatisce, Amelia lo sente, lo sa, che Ginia prova quella pietà schifosa uguale a quella che ti insegnano le suore. Amelia che non è uguale a nessuno, che è bugiarda e debole e stronza ma è vera e paga tutto del proprio, nel bene fino in fondo e nel male fino in fondo.
La scrittura è uno spettacolo, precisa e senza troppi fronzoli, come piace a me, secca e semplice. Non c'è altro da dire, sembra. E invece c'è tanto da pensare, perché Pavese scrive le cose ma poi sta a te rifletterci, e capire, la psicologia dei personaggi come i segreti appena accennati della storia. Sta a te capire, se ne hai voglia e se sei capace.
Come per la vita. E' tutto qui, visibile e sperimentabile e palese. Ma sta negli occhi di chi la guarda, e nella mente e anima di chi la vive, capire, o interpretare, o prenderla alla lettera, o provare a starci dentro. Provare a capirla e a farla funzionare non è compito di chi mette in piedi la storia.

domenica 6 novembre 2011

prima di socrate


inseguendo l'ombra, il tempo invecchia in fretta.

sabato 5 novembre 2011

troiane


Adoro Euripide. Nei cinquanta libri dello scorso anno ho postato Medea e Le Baccanti, oggi tocca a loro. Ancora donne. Stavolta sono le reduci dalla distruzione di Troia. Ettore e Achille sono morti, Odisseo non è ancora un eroe positivo ma un uomo sleale e cattivo, Clitemnestra deve ancora assassinare Agamennone. La storia si svolge sulle rive del mare, con Troia che brucia. Le donne troiane sono lì, che aspettano di essere destinate all'uno o all'altro guerriero. Sono spaventate, sole, disperate e stordite.
C'è Ecuba, moglie di Priamo e madre di Ettore, che ha perso tutti, tutti.
C'è Cassandra, stuprata a disonore di lei stessa e di Apollo del quale era sacerdotessa, che gioisce nel vedere nel futuro la morte propria e dell'odiato Agamennone. E tutti la scambiano per matta. Forse lo è.
C'è Andromaca. Mi è venuta la lacrima a leggere di lei, che ha perso Ettore, e si amavano sul serio. Ma soprattutto, ovviamente, mi viene la lacrima quando leggo che, su suggerimento di Odisseo, il piccolo Astianatte le viene tolto dalle braccia per essere buttato giù da una rupe. Non ce la posso fare.
C'è Elena, quella vacca. La causa di tutti i mali. Elena che nonostante tutto fa tenerezza perché capisci che l'essere volubile è la sua natura, che non ha fatto quel che ha fatto per sete di potere o di ricchezze, almeno non solo. L'ha fatto perché era piena di desiderio. E che vuoi farci, poveraccia anche lei.
Gli uomini non hanno molta importanza, qui. Non sono sti gran fighi. Sono arroganti o crudeli o ridicoli, al meglio sono degli illusi che credevano di fare grandi cose ma son morti.
Un uomo, uno solo, si rivela essere un personaggio positivo, e straordinario. E' il dolce Taltibio. E' un araldo, un servo. Forse capisce quanto sia triste essere schiavi, e prova compassione per le troiane. Forse aveva vissuto libero e spensierato prima di essere un servo e capisce quanto si soffra a ricordare il tempo felice quando si è nella miseria. Forse è semplicemente un uomo buono. Taltibio è rispettoso, empatico, corretto. E' fedele ai greci, ma prova pena e dispiacere sinceri per il destino delle troiane, e vergogna per certe decisioni crudeli ed arroganti dei suoi padroni. E' il mio preferito.
Alla fine, le donne devono partire come schiave. Astianatte viene ucciso veramente. E noi sappiamo che Menelao la perdonerà Elena, che Agamennone vedrà la morte, e questo sarà il seme di altre tragedie. Sappiamo che Ecuba si tramuterà in cagna, e che Odisseo vagherà per anni prima di poter tornare a casa, e forse dopo aver letto qui ci viene da pensare che un po' se lo sia meritato.
Non è una favola della buonanotte, è una tragedia. Lo sapevamo. E' difficile e crudele e amara come la vita.
Ma è come la vivi a darle il suo valore.

marcovaldo


anche nei nuovi cinquanta ci voleva Calvino, chevvelodicoaffare.
Le stagioni che fanno il loro giro cinque volte. La città di cemento, inerte crudele rumorosa e sorda.Le difficoltà economiche. I padroni. La modernità. La grettezza. I grattacieli. I pesci avvelenati dagli scarichi industriali. Le piante che crescono a dismisura e muoiono in un giorno come in un commovente canto del cigno. La velocità. L'asfalto. I tram. Gli stipendi bassi. Il Natale consumista.
In mezzo a tutto questo, lui, il manovale Marcovaldo. Con la sua ingenuità, il suo amore onesto e concreto per le cose semplici, per la natura e le sue manifestazioni. Marcovaldo credulone e sognatore, Marcovaldo che vede la città coperta dalla nebbia e si immagina di essere in luoghi avventurosi dal paesaggio mozzafiato, Marcovaldo che scopre dei funghi alla fermata dell'autobus e si convince che può esserci un futuro migliore per il mondo, se ancora la Natura si esprime, anche nell'asfalto. Marcovaldo che è un poveraccio ma conosce le costellazioni e le mostra ai suoi figli, che non può comprare niente ma è felice di aiutare una pianta a crescere rigogliosa. Marcovaldo che prende una cantonata ogni volta, che fallisce, che viene deriso e sottovalutato, che perde sempre. Ma, come sempre, chi se ne frega dei vincenti? Io no di certo. E neanche Calvino mi pare.
Serve che parli, di nuovo, dello stile e delle scelte linguistiche di questo scrittore che è fra i miei preferiti in assoluto? L'ultima dei pirla sono e resto, cosa mi metto a fare la critica di Calvino?! E' perfetto, chiaro. Anche se il romanzo è di metà degli anni Sessanta e quindi poi il suo autore avrebbe fatto tutto un percorso stilistico. Anche se come "storia" ho preferito, ad esempio, Le città invisibili. E' perfetto perché cerca la perfezione, in un lavoro di cesello e modifica e riscrittura, in una continua sfida che mira a superare se' stesso per ottenere il meglio, perché per dire QUELLA cosa ci vogliono QUELLE parole. Non altre, approssimative e sinonime e imprecise. No. Calvino cerca e corregge finché non trova QUELLE. Per questo è perfetto. Non importa se stai leggendo la prima o l'ultima delle sue opere. Chiaro, alcune ti piaceranno di più, altre di meno, questo è fisiologico. Ma è una cosa tua. Non c'entra niente con la sua assoluta perfezione. E basta. :)

lunedì 31 ottobre 2011

cronache di poveri amanti


penso a questo romanzo e sorrido. Sorrido perché anche se il tempo va avanti, anche se la vita ne combina, anche se le cose cambiano, anche se io mi adatto, certe cose in me non cambiano mai. E sono felice che ogni tanto libri come questo siano come un annaffiatoio pieno versato su di me. Sul mio amore per le storie contorte, piene di gente, di casino e di passione. Sul mio stupore ogni volta che trovo qualcuno che scrive veramente bene. Sul mio rispetto misto ad ammirazione per chi pur non avendo studiato è colto, creativo, intelligente, e si migliora. E si vede. Vasco Pratolini ha lasciato gli studi prestissimo, ha svolto i mestieri più disparati, poi è stato preso sotto l'ala di Vittorini ed ha iniziato a scrivere. Quando non c'erano editor, correttori di bozze, corsi di scrittura, pubblicità martellante per vendere libri di merda, letture pubbliche, interviste televisive. No. C'eri tu col tuo talento e alcuni amici scrittori che ti davano una mano. E se andava bene, ok, altrimenti tornavi a fare qualcos'altro per mantenerti, e buonanotte al secchio. Solo per questo Pratolini merita tutto il nostro rispetto. Perché ce l'ha fatta, pur essendo incolto e senza raccomandazioni in un periodo storico in cui uscivano solo i migliori, e neanche sempre.
Ma, inutile negarlo, la gioia maggiore di questo libro sta nel fatto che ha rinvigorito (se ce ne fosse stato bisogno) il mio antifascismo. E questo va sempre, sempre bene. In tempi come questi poi. Amo i romanzi così, che parlano di fascismo e sono stati scritti con l'esperienza fascista in corso, o comunque ancora calda. Li amo perché sono veri, perché il loro comunismo è verace, dettato dal cuore molto più che dalla teoria del plusvalore, mosso dal sentimento profondo che fece asserire a Camus "per quanto sta in me, dico no". Libri che ti fanno canticchiare Bella ciao per giorni, che ti fanno accorgere di quanto schiavi stiamo diventando, noi che ci sentiamo così liberi, che ti fanno venir voglia di cercare il nonno per farti raccontare le storie di allora. Libri così sono qualcosa di assolutamente straordinario. Da leggere almeno una volta nella vita e da ricordare per sempre.

lunedì 24 ottobre 2011

la vita accanto


La mia libraia di fiducia ha letto questo libro, dopodiché ha partecipato ad una conferenza-lettura dell'autrice e le ha fatto una sola, semplice domanda:"Ma lei dov'è rimasta nascosta finora?!".
Ora che l'ho letto anch'io capisco il perché. MariaPia Veladiano non è una ragazzina, è una cinquantenne professoressa di Lettere. Ha provato a far leggere ad un pubblico qualcosa di suo solo ora (o meglio, lo scorso anno), perché "prima volevo essere sicura che fosse qualcosa di veramente buono, secondo i miei canoni". Ha partecipato al Premio Calvino "perché è l'unico concorso serio che costa poco". La giuria del Calvino inoltre è composta per buona parte da "forti lettori", e non solo da critici, letterati, o altri scrittori e professoroni vari. Questo la fa apparire ai miei occhi (e non solo ai miei) come un giuria più sincera e realista. Bene. Questo libro ha vinto. Ed è qualcosa di straordinario.
Non parlo quasi mai delle trame dei libri, chi legge ogni tanto qui sa che per sapere la trama di un libro vi affido ai motori di ricerca, non ad un blog insulso e personalissimo.
Però una cosa della trama la dico. Questa è la storia di una bambina che nasce brutta. Ma proprio brutta, bruttissima e deforme, anche se non handicappata (così non fa nemmeno pena, come recita il romanzo). Tutto il resto, tutti i dispiaceri ed i (rari) piaceri della sua vita sono filtrati, tradotti, correlati al fatto che Rebecca è disperatamente consapevole della sua bruttezza tremenda, che fa sì che la bidella a scuola si faccia il segno della croce al suo passaggio, fa sì che la famiglia non la mandi all'asilo, fa sì che le passeggiate in città per i primi anni della sua vita siano fatte di sera, sera tardi, e lungo strade dove passa meno gente possibile. Sono pochissime le persone che vogliono bene a Rebecca, perché il sentimento che lei di solito riesce ad ispirare è al meglio la pietà. Non certo l'accettazione, l'amore, l'interesse, l'affetto.
Il modo di trattare questo argomento, e di raccontare tutta la storia, è delicatissimo e partecipe, ma di una partecipazione non urlata e "pasionaria", bensì contenuta e lieve, come in punta di piedi, per non disturbare..Perché il dolore, quando è grande e declinato in molti modi, necessita spesso di rispetto, di silenzio, di empatia. E' la piccola, brutta, triste e terrorizzata Rebecca la protagonista, e lei attraversa la vita in punta di piedi, facendosi notare il meno possibile, per non dar fastidio col suo aspetto e la sua presenza. Quindi anche lo stile di scrittura è così, come lei.
Ora, secondo me una cosa è fondamentale capire quando si leggono storie dure e particolari come questa: che quando un dispiacere è grande, allora niente, NIENTE è uguale a come lo vivono gli altri.Tutto è condizionato da quel dispiacere. Penso a Sepulveda quando scrive "Il Sudamerica confina a Nord con l'odio e non ha altri punti cardinali". Penso a "Se questo è un uomo" di Levi. Penso alle volontarie della Lega Tumori, tutte delle sopravvissute. Il dolore condiziona tutta la tua vita e tutte le tue scelte. Questo lo rende sempre personale, e contemporaneamente simile a tutti gli altri dolori gravi. Quindi ti isola dal mondo e allo stesso tempo, in un certo senso, ti accomuna a molti altri.
Rebecca è nata brutta. Nella mia testa, la Veladiano ha scelto come caratteristica negativa la bruttezza per non rendere "politica" la sua storia. Leggendola, proviamo pietà, ma anche disprezzo per gli ipocriti, e poi empatia, affetto, partecipazione emotiva, sentimenti intensi. Capiamo con il cuore prima che col cervello che Rebecca è una persona degna di amore, rispetto, lealtà, e che il suo essere brutta non deve influire su questo. Ora, solo ora che ci siamo affezionati a lei, potremmo scrivere al posto della parola "brutta" anche altre parole. Come "nera". "Donna". "Disabile". "Povera". "Gay". "Straniera". "Ebrea". E altre. Ma ormai non serve più che io scriva altro per far capire a me stessa ed ai pochi coraggiosi che leggono le mie cazzate, quanto potente sia un libro così. Che senza pretese, senza ideologie, senza sparare alto, senza cercare parole o concetti troppo difficili, tratta l'argomento in assoluto più difficile della storia dell'Umanità. La tolleranza.

domenica 16 ottobre 2011

dietro la porta


Mi sono resa conto di essere vecchia, leggendo questo romanzo. Perchè il protagonista è un ragazzo di sedici anni, e come co-protagonisti ci sono altri ragazzi della sua età. Il ragazzo scopre che un altro, il quale fingeva di essergli amico, in realtà dice le cattiverie più crudeli ed assurde alle sue spalle. Fra queste innumerevoli malelingue ce ne sono alcune su sua madre, sul fatto che appaia come una donna..diciamo calda, passionale, quando la sua sola colpa è invece essere ancora bella ed essere sorridente e gentile. A questo punto il nostro protagonista si rende conto che anche i suoi genitori probabilmente fanno sesso. Dato che ha altri due fratelli, sicuramente mammina e papino sono andati a letto insieme almeno tre volte. E questa scoperta sconvolge un po' tutto il suo mondo.
Ci siamo passati tutti, a età diverse e con reazioni diverse ma sempre, almeno all'inizio, con un certo piccolo o grande stupore, e diciamocelo, anche un po' di schifo all'inizio. Dopodiché nel nostro animo abbiamo benedetto anche i nostri genitori, e lascia che scopino pure loro poveri cristi. Il motivo per cui mi sento vecchia, al di la' del fatto che i sedici anni li ho superati da un pezzo, è che mi sento impersonificata dalla madre del protagonista, una donna dolce e affettuosa che all'improvviso viene vista con ribrezzo dal figlio. Mi fa una tenerezza..Sono proprio anziana..
Comunque. Bassani scrive da dio, e il libro è asciutto e non tergiversa in lunghissime e noiose descrizioni di cose inutili o riflessioni troppo filosofeggianti. Un po' come Pirandello (anche se io preferisco, appunto, Pirandello). Questo fa sì che questo libro, che pure racconta della vita più o meno quotidiana di alcuni ragazzi di liceo nel periodo fascista, non risulti un mattone alla Cuore.
E' stupefacente leggere qual era il livello dell'istruzione allora. Soprattutto perché non puoi fare a meno di paragonarlo a quello di adesso, e di conseguenza non puoi fare a meno di fare un sospiro, metterti una mano nei capelli e pensare a quanto gradualmente stiamo diventando delle capre, di generazione in generazione.
Ancora, quasi mi commuovo a leggere di questi adolescenti che di sesso non sanno niente, o di quelli fidanzati in casa, con tanto di anello e visite serali alla morosa nel salotto buono con mamma e papà che assistono all'intero incontro. Non è che ho gli impeti nostalgici, anzi ovviamente quelli che mi stanno più simpatici fra tutti i personaggi del libro sono i due pluriripetenti che sono degli abituées dei due bordelli della città. Però provo tenerezza a vedere questa "innocenza", questa ingenuità che sono sicuramente esagerate e causate da un bigottismo (si dice così?) odioso, ma sono comunque dolci, in un certo qual modo.
La nostalgia invece la sento eccome a leggere di questi ragazzi che girano Ferrara in bicicletta, che sono sinceramente felici a farsi una bella partita a calcio in un cortile, che leggono con passione Salgari e Kipling, che si trovano insieme a fare i compiti. Mi piace tutto questo. Mi piace più dei motorini, dei videogames, di YouTube, dei film di Twilight. Mi piace che a sedici anni si sia spaventati all'idea di crescere e di affrontare il mondo, e non perché si è dei tonti mammoni ma perché ci si rende conto di quanto effettivamente il suddetto mondo sia grande, difficile e cattivo, e quindi se ne ha una giusta paura.
Mi piace che, nonostante tutto, quando la mamma ti chiama e ti dice "allora, me lo vieni a dare un bacio?!", anche a sedici anni si scenda e la si abbracci.
Lo so, me lo sono detto da sola, sono vecchia. Ma tant'è.

venerdì 14 ottobre 2011

noi che ci vogliamo così bene


Marcela Serrano racconta le donne. In questo suo primo romanzo come in tutti gli altri, che ho letto ed amato uno per uno.
Ci sono anche gli uomini in questo romanzo, ed alcuni sono anche delle figure positive, ma è impossibile non capire che sono solo dei gregari, e che le donne, come sempre per lei, sono le vere, uniche, meravigliose, indiscusse protagoniste.
Donne diverse. Ognuna con una storia, ognuna con un carattere, alcune coraggiose altre per niente, alcune ipocrite altre sincere e ribelli, alcune armate, alcune innamorate.
Donne in fondo uguali. Tutte con almeno un segreto, perché non esiste donna che non ne abbia almeno uno. Tutte con una vita difficile, pur magari in modi diversi. Tutte con in comune una patria, il Cile, che è sempre co-protagonista nei racconti della Serrano.
Il Cile di Allende e di Pinochet, il Cile della paura e della lotta, il Cile degli esiliati e dei giornali clandestini. Un Cile dai sapori e valori contrastanti, come tutti i paesi sudamericani che hanno conosciuto il marxismo e la lotta armata negli ultimi sessant'anni, e come tutti gli altri pieno di dolore e di passione, un Cile solidale e crudele.
Le storie di quattro amiche che si rivedono dopo anni si intrecciano alle storie delle loro amiche, sorelle, cugine.
Il tempo c'è, ma non è così importante. Il tempo è tendenzialmente maschilista. E' più generoso con gli uomini, mentre lo donne ce l'hanno spesso contro: contro la loro bellezza, contro la loro capacità di fare figli, contro le loro mille incombenze quotidiane, contro la loro possibilità di crescita professionale. Forse è anche per questo che gli eventi narrati si intrecciano così, da una pagina all'altra da un paragrafo all'altro si salta da un episodio del mese scorso ad uno di dieci anni fa, così come si salta dal racconto di vita di una donna a quello di un'altra. Se il tempo ci bistratta, si disinteressa a noi ed ai nostri tempi interiori,allora anche noi freghiamocene un po' di lui.
Il femminismo è profondo, intenso, impossibile da evitare. Non è mica così ovvio, solo perché le protagoniste sono donne e l'autore pure, che uno scritto sia femminista nel senso più intimo, non di propaganda (a parte che, di questi tempi, mi piacerebbe anche se fosse propaganda, se ce ne fosse un po'). Non è così ovvio che leggendo tu sia portata a fermarti e pensare che, cazzo, è vero, perfino gli spazi delle abitazioni sono progettati pensando agli uomini come detentori del potere; cazzo, è vero, ancora spessissimo si vedono donne sacrificare se' stesse (lavorativamente, intellettualmente, sessualmente, socialmente) per degli uomini che non notano quanto sia arduo lavorare, mandare avanti una casa, allevare dei figli, mantenersi belle e interessanti per il marito, risolvere i problemi quotidiani che si presentano continuamente, gestire le piccole grandi crisi di tutta la famiglia (dimenticando o non vedendo le proprie), fare in modo che tutto funzioni senza che nemmeno si noti; cazzo, è vero, ancora adesso le donne spesso non sono capaci di dire ad un uomo cosa vogliono a letto, e si accontentano del sesso fatto male; cazzo è vero, una donna in carriera viene sempre guardata con sospetto; cazzo è vero, una donna che viaggia da sola fa strano. E potrei andare avanti.
E c'è l'amore. In tutte le sue forme. Amicizia, amore materno, amore di coppia, monogamo o poligamo. Amore che fa male, sempre e comunque tutte le volte, anche se regala gioie enormi a volte, e fa scoprire parti impreviste di noi. Amore che raramente dura, ma che lascia tracce eterne. Perché è inutile, non puoi farne a meno, qualsiasi sia la forma nella quale lo vivi. E se qualche volta, o magari spesso, paghi un prezzo gravissimo per il tuo amore, alla fine va bene. Non dico che se ne esca sempre, dai debiti. Dalla depressione come dal fuoco. Dalla paura come dall'abitudine. I modi di pagare sono tanti, e non è detto che si riesca a pagare tutto il dovuto e poi ricominciare. A volte si resta invischiati. Però, lo ripeto, va bene.
Mi fa perdere l'equilibrio, Marcela Serrano. Letteralmente, scivolo e barcollo in dubbi, pensieri tristi e pericolosi per la mia anima già instabile, inciampo in paure che credevo più o meno sopite, se non superate, arranco in un labirinto di incertezze come se stessi facendo dieci piani di scale, mi trovo col culo per terra pensando a gente alla quale non ripensavo da un pezzo..la costante indagine nella femminilità della Serrano ha risvegliato tutti i miei lati femminili, anche i più difficili da gestire e apprezzare. Che casino. E' tutta la mattina che, per ritrovare un minimo di centro (se sapessi mai cos'è un centro, e dov'è...), ascolto Frank Sinatra, per darmi un po' di puro testosterone.
Leggetelo, leggeteli tutti perché sono uno meglio dell'altro. E procuratevi un cd di Frank.

giovedì 13 ottobre 2011

di nuovo marcela..


"Sarò anche una puttana, coglioni, ma non fatevi illusioni, perché mai nella mia vita farò la puttana con uno di voi."


Geniooooooooooooo...............

marcela serrano


"E loro, credono di essere esonerati dalla paura? Si sentono meno in pericolo?"
"Neanche per sogno! Il pericolo esiste per tutti, fantasie o no, e proviene dalle parti più recondite del nostro essere."

domenica 9 ottobre 2011

povera piccina


La biografia corredata di numerose fotografie di Belle Poitrine, attrice di cinema e teatro, ballerina, cantante, donna di mondo, stella della vita culturale americana dagli anni venti fino a dopo la seconda guerra mondiale..dice lei. In realtà una donna gretta, egoista, attaccata solo al potere ed al denaro, ignorante come nessuna e furba anche se apparentemente scema, e soprattutto una delle più grandi puttane della storia del mondo.
Tu inizi a ridere alla pagina uno, e finisci un tantino dopo aver concluso la lettura del libro. Il personaggio migliore di Patrick Dennis rimane probabilmente zia Mame, almeno per me, ma pure questa donna è una trovata straordinaria. Tutto quello che le capita nella vita, ed il suo modo assurdo e divertentissimo di affrontare gli eventi, tutte le sue convinzioni da megalomane, tutte le sue interpretazioni di feroci critiche come se fossero sinceri complimenti, tutta la falsità con cui riveste la propria vita, tutte sono trovate straordinarie. E sotto, fra una risata e l'altra, ti accorgi che Dennis sì ha giocato di fantasia, sì ha esagerato, ma si è ispirato a persone che tutto sommato, con le dovute differenze, esistono eccome. Tutti conosciamo qualcuno più o meno così.
Egoisti. Arroganti. Venali. Menefreghisti verso tutto ciò che è fuori di loro. Bugiardi. Incapaci di amare per la maggior parte della vita, o forse per tutta. Disinteressati a qualsiasi ideale che non sia il proprio profitto. Vi viene in mente qualcuno, sì? Leggendo il romanzo, tu senti una certa amarezza pensando alla cattiveria di questa allucinante donna, e soprattutto pensando al fatto che non è poi così irreale. Ma l'autore è talmente creativo, tagliente, sarcastico, sveglio da farti ridere di gusto per tutto il tempo, leggendo le peripezie di Belle, la Povera Piccina. Il merito di Patrick è proprio quello di farti impazzire dalle risate mentre racconta la vita di quel mostro di donna che farebbe venire la pelle d'oca per l'orrore, in se' e per se'.
Mi viene da pensare che, forse, questo è un buon modo di affrontare la gente così. Certo, non quando combinano qualcosa di veramente grosso, ma per quanto riguarda i comportamenti meno "gravi", ma quotidiani e iper fastidiosi di questa gente, forse la soluzione è davvero ridere loro addosso. Pensare a quanto sono dei ridicoli falliti. Non ha importanza se nella realtà pratica sono persone di successo, o ricche e famose, non importa se sono il tuo capo, un tuo parente, l'ex della persona che ti piace, o ancor peggio l'Ufficiale della persona che ti piace. Non importa se sono la persona in fila con te alla Posta o quella che viene in libreria e chiede "ma precisamente cosa sarebbe un romanzo?", non importa se sono critici d'arte o cassiere stronze di supermercato. Sono così insopportabili che la sola cosa che puoi fare per sopravvivere loro è fingere che siano personaggi di Patrick Dennis. Ridicoli.
Una risata li seppellirà.

venerdì 7 ottobre 2011

la bottega del caffé


Goldoni mi piace perché mi fa sentire bene.
Primo, è divertente, di quel sarcasmo settecentesco e veneto che forse, da veneta, apprezzo particolarmente. E' tagliente e mai volgare, è allegro e non banale. E già solo questo non sarebbe poco.
Secondo, anche le storie che sembrano semplici hanno sempre qualche trovata che non ti aspetti, qualche colpo di scena, qualche intervento che ti sorprende. E non è mica così ovvio, dato che Goldoni ha scritto nel 1700, per noi che ci consideriamo tanto smaliziati, "gente che la sa lunga e le ha viste tutte". Ma per carità...
Terzo, mi piace scoprire che da alcuni detti, abbreviazioni, motti di allora derivano parole che usiamo oggi, e credevamo fossero nate più o meno così mentre una volta avevano diverso significato e diversa scrittura.
Quarto, essendo teatro i personaggi sono caratterizzati, pur essendo in parte dei "tipi", e queste loro caratteristiche, questi loro modi di essere ti fanno inevitabilmente immaginare le loro facce, i loro vestiti, il tono della loro voce..e chi un po' mi conosce sa che adoro sentire i personaggi come degli amici.
Quinto, c'è uno straccio di lieto fine. Ma non di quelli che non stanno ne' in cielo ne' in terra, assurdi e svenevoli. Le storie raccontate sono tutto sommato comuni e quindi finisci per crederci, che potrebbe davvero finire bene, non solo nella fantasia. Sì è vero, c'è un po' di buonismo da borghesi del Settecento. Sì è vero, nella vita vera di solito non va così bene. Sì è vero, i "cattivi" vincono sempre, non come qui nel libro. Però.
Goldoni è uno scrittore del Settecento. Non ha visto due guerre mondiali e l'Olocausto. Non era ancora arrivato Berlusconi al governo. Non c'era internet che ti spiattella tutte le risposte e le brutture del mondo. Non ha letto dei libri orrendi che vengono venduti come capolavori. Siamo all'alba della nascita dei diritti umani, c'era ancora la tortura nel Settecento è vero, ma prima che "nascessero" i diritti umani non erano nate nemmeno barbarie come quelle che vediamo oggi. Non aveva ancora vissuto l'incattivirsi della borghesia. Insomma, ci credeva nel lieto fine. Ci credeva che le cose potessero funzionare per il meglio. Ci credeva che i buoni potessero avere una possibilità. Ci credeva che i cattivi vengono puniti, prima o poi.
Perciò mi viene da crederci anch'io. Perché no? Perché almeno qualche fottuta volta non potrebbe funzionare? Se lo dice Goldoni, a me piace.
E se anche non succede, leggerlo scritto così semplicemente, così bene, così sinceramente, in modo così divertente, è una favola.

sabato 1 ottobre 2011

il coperchio del mare


Banana Yoshimoto non delude mai. Con quello stile di scrittura inconfondibile, sempre delicato, pacato, elegante, intenso. Alcuni scrittori, come lei, non avrebbero nemmeno bisogno che fosse scritto il loro nome sulla copertina del libro. Basta che tu legga dieci righe e capisci che sono loro. Adoro.
La storia in se' è semplice, senza grandi sconvolgimenti o emozioni. Ma le profondità che raggiunge sono abissali, pur senza tanti discorsi filosofici. La profondità che percepisci nelle descrizioni di una natura amata davvero, col corpo prima ancora che con il cuore e la mente. La profondità che percepisci nella dolcezza con cui si affrontano temi come la gestione del lutto, ma anche l'effetto che l'avidità e la globalizzazione fatta male hanno sui paesi ed i loro abitanti. La profondità che percepisci dall'analisi dei caratteri e stati d'animo delle protagoniste, e della loro amicizia.
Un'amicizia che nasce per imposizione, si sviluppa in fretta, fiorisce in un'estate, ed è di quelle che non si spezzeranno mai più. Un'amicizia che sa di amore, c'è poco da fare.
Nel libro come nella vita ci si mette un po' a capirlo (almeno io ci ho messo un po'). Anche se con una persona senti quell'intesa ai limiti della telepatia, quell'affetto che a volte neanche i fratelli, quel divertimento che non smetti un attimo di ridere, quelle sensazioni che sono inequivocabilmente amore, non significa che devi per forza averci una relazione, con questa persona. Penso che in certi casi, se invece che come amicizia si fosse sviluppato come relazione, quel rapporto non sarebbe stato affatto così profondo e sincero. Perché se la persona che hai davanti è tua amica, non stai a mascherarti per apparire migliore, non pensi a omettere dai tuoi racconti le cose imbarazzanti o che potrebbero ferire l'altro, non pensi a dimostrare niente. Sei tu, al cento per cento. Forse sono le relazioni migliori queste. Che ti frega del sesso, degli ormoni o della gelosia. Che ti frega di dover rendere conto di dove vai, con chi sei, come ti vesti. Che ti frega di dire ti amo. Che ti frega di fare la divisione dei beni.
Non voglio sminuire l'amore di coppia, assolutamente. Dico che l'amicizia, se è così, non solo non ha nulla da invidiare all'amore, ma ha da insegnare.
Le due protagoniste di questo gioiello di libro sono anime gemelle e sono perfette insieme. Perché sono come sono, l'una con l'altra. Perfette come il più perfetto dei boccioli di ciliegio. Ce ne ho messo a capirlo. Ma ora che l'ho capito, me lo tengo stretto come un tesoro prezioso.

domenica 25 settembre 2011

jean paul sartre


Ma (se) la maggior parte del tempo fuggiamo l'angoscia nella malafede...la legge della mia libertà...fa sì che non possa essere senza scegliermi.

le braci


questo romanzo mi lascia qualcosa di indefinito, come tutti i romanzi nei quali non succede niente ma si viaggia nel tempo, nella memoria, negli eventi passati dei protagonisti e nei loro pensieri. Come Il vecchio e il mare, presente? Che tu leggi, non accade niente, però quello che accade nella mente dei protagonisti, e nella tua, è già tutto.
Ecco. Sàndor Màrai mi ha dato questo. Passi il tempo della tua lettura, ed anche un po' di tempo a libro chiuso, a rimuginare, ed a pensare a quanti incredibili misteri può nascondere la vita. Perché questa è la storia di un mistero, custodito da due amici che si ritrovano dopo quarantuno anni, e tentano di chiarirsi. Non si può dire che ci riescano, ma d'altra parte quando mai è tutto veramente chiaro nella vita? Quando mai una scelta si rivela inequivocabilmente risolutiva? Quando mai le colpe ed i meriti sono da una parte sola? Quando mai l'amicizia è senza ombre, e l'amore non ne parliamo?
Il linguaggio è preciso ed elegante, forse leggermente prolisso in alcuni punti per i miei gusti, ma non noioso. Quello che esprime spinge a riflettere così profondamente che, in un certo senso, ti aiuta se sei in una fase della tua vita in cui stai ridiscutendo tutto. Ti aiuta perché capisci che non si finisce mai di porsi dubbi e domande, e non si arriva mai o quasi alla verità. Ti aiuta perché ti accorgi che non sei sola al mondo ma che tante e tante persone riflettono fino a perderci la testa eppure non cavano un ragno dal buco, proprio come te. Ti aiuta perché anche i romanzi a volte danno delle risposte. Oppure, ed è ancora meglio, pongono altre domande, e sarà stressante ma ti permette di allargare il punto di vista su questo immenso quadro.
La storia, anche se non "succede" niente, crea molta tensione perché ti cattura come un ragno nella sua tela e non puoi non lambiccarti il cervello a chiederti "ma quindi cos'è successo? e poi com'è andata? e adesso?". L'intensità è indiscutibile ed il mistero si fa sentire con tutta la sua dose di tensione.
E poi ci sono loro, i personaggi. Li ami tutti, c'è poco da fare. Nini, amore di vecchia, ti entra nel cuore ed assume il volto di tutte le nonnine adorabili che hai conosciuto ed alle quali ti sei affezionato. Il protagonista, il generale, così freddo ed incattivito, non puoi avercela con lui dato ciò che gli hanno fatto. E poi, è un grandioso pensatore, e si sa le persone intelligenti e colte hanno sempre il loro fascino, anche quando sono personaggi fittizi. Konrad, come fai a non volergli bene? Disadattato tutta la vita, fragile, spaventato, che a volte non ce la fa a resistere alla passione, per la musica o per la sola donna che ha amato. Anche se ha una colpa enorme, non riesci a non affezionarti. E naturalmente c'è Krisztina, che credeva di farcela a vivere una vita sobria e senza scossoni, credeva di volerla veramente, ed invece col tempo si rende conto che per lei non funziona. Krisztina che, sì, tradisce, ma poi viene abbandonata dai suoi due grandi amori in modi differenti ma entrambi irrevocabili, crudeli, senza appello e senza cuore. Poveraccia.
Ti fa sentire la tristezza e la stanchezza questo libro, ma senti anche con chiarezza che, forse, le sole cose che non muoiono mai sono le passioni umane. Anche quando le credevi spente o domate, rimangono, appunto, le braci.

domenica 18 settembre 2011

la forza dell'empatia


visto che avevo postato un libro che non mi era piaciuto e che avevo dovuto studiare comunque, ora posto un libro che ho dovuto studiare e che per fortuna mi è piaciuto assai.
Lynn Hunt percorre, dal Settecento ad oggi, il persorso fatto dalle persone europee ed americane sulla strada, difficile e tortuosa ma positiva e virtuosa dei diritti umani. L'autrice sostiene che c'è stata una serie di piccoli cambiamenti nel pensiero comune in merito alla concezione del corpo di ognuno, alla possibilità e libertà di scegliere sul proprio corpo, alla partecipazione emotiva che la lettura di romanzi e pamphlets (diffusi grazie all'avvento della stampa) ha permesso nei confronti delle disavventure di persone sconosciute o immaginarie, anche di classi sociali, religione o sesso diversi dal lettore. Questi cambiamenti insieme ad altri hanno pian piano portato il pensiero "comune" ad essere più sensibile verso gli orrori della tortura, della schiavitù, dell'oppressione..fino ad arrivare alla Dichiarazione d'Indipendenza di Jefferson nel 1776, alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo dei rivoluzionari francesi nel 1789, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948.
Leggere alcune delle pagine più rivoluzionarie e stimolanti della storia umana, capire (o almeno provarci) le origini della nostra realtà, nel bene e nel male, rileggere le tre Dichiarazioni che ho citato, sentire i brividi quando penso a cosa abbiamo oggi e cosa c'è stato ieri, riflettere sulla grandezza e sul coraggio di tutti coloro che queste cose le hanno vissute, scritte, credute, ci hanno lottato, litigato, pianto, ne sono morti...è impagabile. Come lo sono la Libertà, l'Uguaglianza, il Rispetto, la Fratellanza, la Correttezza, la Solidarietà, il Diritto.
Riscopro che indignarsi va bene. Che credere in qualcosa di universale non è utopia bensì è, davvero, la base per cambiare le teste, per cambiare le consuetudini, per cambiare il mondo. Non avrà mai fine il male, ma nemmeno avrà mai fine tutto questo. Perché tutto questo sono io. Sei tu. E' l'intero genere umano.
Leggetevele, o rileggetevele. Guardate quanto ancora, oggi, c'è da fare, e scoprite con timore e gioia che le stesse parole di quegli anni sono quelle che possiamo, che dobbiamo avere impresse a fuoco nella mente e nel cuore per migliorare adesso e domani. Pensiamo. E agiamo di conseguenza.

sabato 17 settembre 2011

dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, 1789


Art. 2 : Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell'uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione.

martedì 30 agosto 2011

carne di cane


Torno a parlare di Pedro Juan Gutierrez, perché in qualche modo Cuba è tornata prepotentemente nella mia vita, tramite la vita della mia migliore amica.
E così, lei è la' che si legge "Trilogia sporca dell'Avana" ed "Il re dell'Avana" ed io mica potevo leggerli per la terza volta: col blog che mi aspetta e la vita che non aspetta per niente, mica posso passare il tempo a rileggere quello che già conosco.
Carne di cane è venuto dopo gli altri due. P.J. è più vecchio, un po' più ricco, scrive in maniera stabile. C'è un po' meno sesso, un po' meno violenza, forse c'è un po' più di rassegnazione, di "male di vivere", anche se declinato alla cubana. Declinato alla cubana significa che è sempre e comunque più vitale sensuale spinto e crudo della maggior parte della gente che conosci.
Come negli altri libri di questa serie, P.J. parla delle sue giornate, di cose che gli capitano, e come negli altri la storia è un po' di fantasia un po' autobiografica, ma sempre e comunque maledettamente reale.
Chi è stato a Cuba, in particolare all'Avana, non può non sentire la febbre da cubanite che sale di riga in riga, non può non avere negli occhi quelle strade, quella miseria, quella sensualità rovente e feroce, quella gente senza libertà e senza paura, almeno per molti versi, quel mare caldo dove dio quanto è figo scopare, quelle mulatte e quei mulatti....Chi non è mai stato a Cuba un po' ne è attratto, inevitabilmente, incuriosito come una falena da quel fuoco che brucia e brucia e brucia; contemporaneamente, si chiede che ci troveranno i malati di cubanite in quel delirio di sporco, povertà, violenza e troie.
Che vuoi che ti dica? O la ami o la odi. Però, se ci vai, se la vivi, la ami. Poco da fare.
P.J. ti fa capire tutto questo e anche di più, ti fa sentire ogni battito, tutto il pulsare del dolore e del sesso, tutta la merda il rum il vento l'eccitazione lo schifo la generosità la malizia i ricordi.
C'è molto di me, qui. C'è una pagina, in particolare, in cui P.J. fa una descrizione di se' stesso che mi ha fatto venire la pelle d'oca perché, con le dovute differenze, sono io. Fanculo.Evviva. Non so nemmeno cosa dire perché per certi versi mi piace essere così, per altri ne farei volentieri a meno.
Mi piace il linguaggio, grezzo e scurrile e smozzicato ma che calza come un guanto alla storia che narra ed alla realtà che descrive.
Mi piacciono i personaggi, tutti, anche i brutti e cattivi, perché sono veri come ognuno di noi.
Mi piace che non ci sia una storia ma che ce ne siano tante, perché più vai avanti con la vita meno lei sembra una storia unica e univoca, quanto piuttosto un insieme di pezzetti diversissimi fra loro che non si sa come compongono il quadro più grande, cioè la tua vita appunto.
E mi piace il finale cazzo. Praticamente tutto il libro parla dello schifo che è la vita, di come sia difficile o impossibile uscire dalla merda, di come P.J. si sia non dico assuefatto ma arreso..e invece. Il finale è un inno alla speranza, proprio quando credevi che non ce ne fosse più neanche un briciolo, ecco che l'autore, benedetto uomo, te ne butta lì una secchiata che sembra come dell'acqua fresca a pulire almeno un po' tutto il lercio. Grazie.
Perché anche i perdenti hanno questo diritto, non dico di sperare in qualcosa di meglio, ma di prendere una delle poche cose buone che hanno e scoprire quanto è enorme il suo valore.
Quanto vale una notte di sesso fatto con un po' di affetto in questo delirio di storie del cazzo e scopate a caso..Quanto vale un'ora a parlare con la mamma quando ti sentivi sperduto..Quanto vale una nuotata alle sette di mattina e il mare è ancora tiepido e non c'è nessuno quando avevi bisogno di silenzio solitudine e riflessione.. Quanto vale il rum quando..beh, sempre. Quanto vale, in mezzo al pianto e alla distruzione, un abbraccio e un "ci ritroveremo, e sarà grande"..
Tutto. Vale tutto.

martedì 23 agosto 2011

però anche fontana..


Il compito dell'arte nei valori sociali, morali e spirituali è nullo.
L'artista interviene nella società a mantenere viva la ragione di essere uomo.

van gogh non delude mai


Come si diventa mediocri?
Col compromesso e col fare concessioni, oggi su una questione, domani su un'altra, a seconda dei dettami del mondo, e seguendo sempre la pubblica opinione!


Grazie, Vincent

giovedì 18 agosto 2011

l'arte contemporanea


Non ho mai postato manuali che dovevo studiare per i miei esami, qui.
E non ho mai nemmeno postato libri brutti.
Ma quando ci vuole ci vuole. Perché se uno ha delle idee che sarebbero anche buone, ma scrive come se avesse la scienza infusa..beh. Perché se uno per non pagare copywright mette le immagini di quadri e sculture in bianco e nero, piccole, E UNA PERFINO A TESTA IN GIU e non volutamente, e poi parla dell'uso del colore..beh. Perché se uno dedica poco più di una pagina a Van Gogh, e a malapena cita Basquiat e Frida Kahlo..beh. Perché se uno usa paroloni e frasi dalla costruzione complessa ed incasinata perché così mostra quanto è intelligente..beh. Perché se un professore che deve dare la bibliografia di un esame da primo anno, e nei cinque libri di bibliografia mette quattro libri propri, e il solo non suo è questo, e l'esame è di storia dell'arte e non c'è nemmeno un MANUALE di storia dell'arte ma solo saggi di critica quasi senza immagini..beh.
Non cito l'autore, perché non si fa. Ma devo dire cosa sento nei confronti di questo libro.
Io non sono nessuno, il mio modesto quoziente intellettivo certamente non è all'altezza, questo blog fa cagare, e la mia opinione lascia ancor meno del tempo che trova.
Però, dal basso della mia condizione, mi viene in mente una canzone di Bennato, che si intitola "Dotti medici e sapienti". Il ragazzo protagonista è a letto, non si sa se è malato, triste, stanco..boh. E tutti questi professoroni gli si affollano intorno e sputano ognuno la propria sentenza senza neanche guardarlo in faccia, figurati interpellarlo. Finché arriva questo omino e dice:
"Permettete una parola,
io non sono mai andato a scuola,
e fra gente importante io che non valgo niente
forse non dovrei neanche parlare.
Ma dopo quanto avete detto
io non posso più stare zitto
e perciò prima che mi possiate fermare
devo urlare, e gridare, io lo devo avvisare
di alzarsi e scappare! Anche se si sente male!
Scappa!".

mercoledì 17 agosto 2011

peter pan nei giardini di kensington


quando ero incinta, ricordo di aver scritto nel mio diario alcune cose che avrei desiderato fare con mia figlia nella nostra vita insieme.
In questi giorni ho realizzato uno di quei desideri: ho iniziato a leggerle questo libro, che è uno dei miei preferiti in assoluto. Qui Peter non ha ancora incontrato Capitan Uncino, non ha ancora conosciuto Wendy ed i suoi fratelli, non è ancora il Peter che conosciamo dai film.
Qui c'è il Peter che è appena volato via dalla finestra aperta di casa, perché si è scordato la sua natura di bambino di una settimana ed ha creduto di essere ancora un uccello, come sono tutti prima di nascere, e gli prudevano tanto le spalle dove prima aveva le ali..Peter che ancora ha piena fede nella sua capacità di volare, che non ha ancora paura e quindi vola. Peter che conosce la piccola Maimie, la prima bimba per la quale le fate hanno costruito una casetta perché non morisse di freddo una notte nella quale era rimasta nei Giardini dopo la chiusura dei cancelli. Peter che trova una banconota da cinque sterline, e per fare una sterlina strappa la banconota in cinque parti uguali. E le fate..come adoro le fate di J.M.Barrie, magiche ma anche crudeli, danzanti ma anche antipatiche, amorevoli ma anche violente..come noi. Le fate che sono troppo piccole per contenere più di un sentimento alla volta.
Non sto a parlare di lessico, di costruzione della storia, delle trovate a dir poco geniali di questo scrittore incredibile.
Non ne parlo non perché non siano degne di nota, anzi il libro è straordinario sotto tutti gli aspetti, anche quelli "tecnici".
Ma in questo momento, in ogni momento, tutto quello che riesci a sentire leggendo le storie di Peter è una tenerezza infinita. Senti che la magia, quella vera, ti sta avvolgendo col suo mistero ed il suo amore, e fai di tutto perché non se ne vada, o lo faccia più tardi possibile. Puoi dire solo una cosa quando leggi Barrie, e quando lo leggi a qualcuno che ami. Puoi dire :io credo nelle fate.
Io credo nelle fate. Io credo nelle fate.

l'ultimo inverno


Allora. Sono talmente stupita che non so da dove iniziare.
Vado in libreria un giorno, al che la mia libraia di fiducia si è ricordata di avere ancora un paio di rate dell'università dei figli da pagare e si è sfregata le mani. Comunque. Sono lì che giro fra gli scaffali, e vengo misteriosamente colpita da una copertina in realtà non così appariscente, ne' con un dipinto particolarmente significativo per me. Semplicemente, attrae la mia attenzione, leggo di sfuggita che l'autore ha vinto il Pulitzer lo scorso anno, e anche se io di solito non guardo molto ai premi vinti, penso al fatto che gli autori Pulitzer che ho letto mi sono sempre piaciuti un botto. Il libro gode pure degli sconti estivi, e dato che da settembre gli sconti sui libri ce li scordiamo, ne approfitto e lo prendo.
Ho scritto tutto questo palloso preambolo perché ci si possa rendere conto di quanto tutto nella lettura di questo libro sia stato mosso dal caso.
E, pensa un po' che botta di culo, è un libro STRAORDINARIO.
Delicato nel linguaggio, sognante e poetico. In alcuni passaggi davvero, davvero la sola parola che mi viene in mente è: perfetto. Perfetto perché sono perfetti l'uso e la scelta delle parole, il modo di costruire il discorso, i concetti fumosi eterei immaginifici che leggi. Perfetto perché la storia è meravigliosa.
Perfetto perché le descrizioni ti fanno sentire di volta in volta il freddo nelle ossa, il profumo dei fiori, il morso della fatica, la luce dei lampi e quella dell'alba, il fuoco del tramonto, il cigolio di un carro..
Perfetto perché non riesci a non affezionarti ai personaggi, come se fossero amici tuoi, persone a cui vuoi bene, e vieni coinvolta con la mente e con tutti i sentimenti nelle loro vite.
Perfetto perché non te lo aspetti. Mai. Ti sorprende sia nella storia stupenda che nei salti temporali inaspettati che nelle scelte stilistiche. E di questi tempi, restare stupiti (positivamente) da qualcosa è già di per se' un grande regalo.
Poi leggo la biografia dell'autore (brevissima come piacciono a me), ed arriva l'ennesima sorpresa.
Non bastava averlo trovato per sbaglio. Non bastava che fosse uno tra i migliori libri che abbia letto. Non bastava che avesse vinto il Pulitzer. Scopro che questa perla è un'opera prima. Il primo romanzo. Sono sconvolta. Penso al talento di quest'uomo. Penso alla vita che gli ha dato l'occasione di scrivere, di portare il libro ad un editore che lo ha riconosciuto come un capolavoro, e poi ad un concorso che ha vinto. Penso al fatto che quando l'ho preso in libreria era l'ultima copia. Penso al destino che me lo ha fatto notare. Penso che avrei potuto non prenderlo in mano anche per anni, com'è per vari libri che giacciono sui miei scaffali. Penso che avrei potuto avere una notte brutta al lavoro e non essere riuscita a finirlo tutto d'un fiato. Penso che avrei potuto beccare un periodo meno adatto della mia vita per leggere questo romanzo. E poi torno a pensare che è un'opera prima. La sola parola che mi viene in mente ora è : grazie.

domenica 14 agosto 2011

paul harding che scrive, frida khalo che dipinge, io piccolissima che ammiro..


Quelle mattine gelide sono cariche di disperazione all'idea che, per quanto possiamo trovarci a disagio in questo mondo, è comunque tutto ciò che abbbiamo, ci appartiene ma è pieno di affanni, e tutto ciò che possiamo chiamare nostro ci è sempre conteso; ma è comunque meglio di nulla, o no? E quando spacchi la legna imperlata di brina con le mani rese insensibili dal freddo, devi gioire, perché la tua incertezza è la volontà di Dio e il segno della Sua grazia, e questo è bellissimo, e parte di una certezza più grande, come diceva sempre tuo padre nei suoi sermoni o direttamente a te, in casa. E quando l'ascia penetra nel legno, devi trovare conforto nel fatto che il dolore nel tuo cuore e la confusione nella tua anima indicano che sei ancora vivo, anche se non hai fatto nulla per meritarlo. E quando il dolore nel tuo cuore ti colma di risentimento, ricorda:
Ben presto sarai morto e sepolto.

lunedì 8 agosto 2011

i vangeli gnostici


conoscevo Elaine Pagels di nome naturalmente, ed avevo letto alcuni suoi interventi in un libro in cui si analizzava la figura di Maria Maddalena.
Questo, il suo scritto più famoso, era sulla mia libreria da quasi un paio d'anni, non so perché non l'avevo preso in mano prima.
Comunque.
E' troppo interessante ragazzi...già di mio, curiosa come sono, adoro imparare cose nuove, e capire cosa c'è sotto a certe frasi, certe tecniche, certe linee di pensiero..e qui ce n'è da scavare! Alcuni tra i più grossi segreti della nostra storia sono nella storia del cristianesimo, e non posso non esserne tremendamente affascinata..
La Pagels, che insieme ad altri è stata una di quelli che hanno avuto accesso ai vangeli cosiddetti apocrifi trovati a Nag Hammadi negli anni 50 e li ha tradotti, la Pagels dicevo analizza uno per uno i pilastri che tengono in piedi la Chiesa da venti secoli: come interpretare la morte e la resurrezione di Cristo, il monoteismo, la natura maschile di Dio, il ruolo del clero, delle Scritture e delle regole della dottrina.
Capisco quante diverse idee circolavano nel periodo tra la nascita di Cristo e il secondo secolo circa, idee che per vari motivi legati comunque sempre ad una presa di potere della chiesa "ortodossa" sono state soppresse. Idee interessanti, alcune modernissime ed estremamente più convincenti di quelle ufficiali, se posso dirlo. (e anche se non posso, ormai l'ho detto).
Eppure queste idee non sono durate nel tempo, anche se erano buone o magari anche migliori di quelle ufficiali. Perché il cristianesimo "ortodosso" è così vincente? Quale enorme e complessa macchina politica e sociale è stata fatta funzionare in modo che le regole e le affermazioni del clero sembrassero derivate solo dalla parola di Cristo e dall'illuminazione divina?
Come tutti i saggi scritti da storici seri, questo libro non si aspetta certo di trovare verità assolute, e nemmeno prende posizione in favore dello gnosticismo o dell'ortodossia. Semplicemente racconta quello che è uscito, e sta uscendo, da una scoperta straordinaria come quella di Nag Hammadi.
E ti poni delle domande, per fortuna direi. E come spesso accade non è affatto detto che troverai risposte, ma forse non è nemmeno così fondamentale trovarle. Le domande sono la parte importante.
Perché se non arrivi a portele, beh, chiudi pure il libro e accendi il TG4.

mercoledì 3 agosto 2011

4 agosto


dato che non avrò accesso ad internet nei prossimi giorni, scrivo con un giorno di anticipo e mi autoregalo la mia canzone preferita, che per come sto messa e per quello che ho letto su "Galleggiando nel mare di occhi", ci vuole e ci sta. Mi regalo Guccini, come l'anno scorso.

"Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,
imprese di vittorie dei giusti sui prepotenti
per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza
come un vigliacco ozioso sordo ad ogni sofferenza!
Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia,
ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia,
proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto
di uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto!
Vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso
l'ho promesso alla mia bella: Dulcinea del Toboso!
E a te, Sancho, io prometto che guadagnerai un castello
ma un rifiuto non lo accetto, forza sellami il cavallo!
Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante,
e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante,
colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte
com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte!"

"Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore!
Contraddirlo non conviene, non è mai di buonumore;
è la più triste figura che sia apparsa sulla terra
cavalier senza paura di una solitaria guerra
cominciata per amore di una donna conosciuta
dentro una locanda a ore dove fa la prostituta!
Ma credendo di aver visto una vera principessa
lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.
E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,
non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere,
e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini!
E' un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello
io che sono più realista mi accontento di un castello:
mi farà governatore e avrò terre in abbondanza,
quanto è vero che ho anch'io un cuore e che mi chiamo Sancho Panza!"

"Salta in piedi, Sancho, è tardi! Non vorrai dormire ancora?
Solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora:
per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori,
e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri.
L'ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,
anche l'anima dell'uomo ha toccato spesso il fondo!
Ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa
il nemico si fa d'ombra e s'ingarbuglia la matassa.."

"A proposito di questo farsi d'ombra delle cose:
l'altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese
le ha attaccate come fossero un esercito di mori,
perché alla fine ci mordessero, oltre ai cani, anche i pastori!
Era chiaro come il giorno, non è vero mio signore?
Io sarò un codardo e dormo ma non sono un traditore,
credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane
il solo metro che possiedo, com'è vero che ora ho fame!"

"Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista,
ma ormai oggi me ne frego e anche se ho una buona vista
l'apparenza delle cose, come vedi, non m'inganna.
Preferisco le sorprese di quest'anima tiranna
che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,
ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti!
Prima d'oggi mi annoiavo e volevo anche morire,
ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire!"

"Mio signore, io purtroppo sono un povero ignorante
e del suo discroso astratto ci ho capito poco o niente.
Ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,
riusciremo noi, da soli, a riportare la giustizia
in un mondo dove il Male è di casa e ha vinto sempre,
dove regna il Capitale oggi più spietatamente?!
Riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero
al Potere dare scacco, e salvare il mondo intero?!"

"Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmii indietro
perché il Male ed il Potere hanno un aspetto così tetro?
Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità?
Farmi umile e accettare che sia questa la realtà?"

"IL POTERE E' IMMONDIZIA DELLA STORIA DEGLI UMANI
E ANCHE SE SIAMO SOLTANTO DUE ROMANTICI ROTTAMI
SPUTEREMO IN FACCIA ALL'INGIUSTIZIA GIORNO E NOTTE!
SIAMO I GRANDI DELLA MANCHA: SANCHO PANZA E DON CHISCIOTTE!"

lunedì 1 agosto 2011

bestiole e bestiacce


Ci sono momenti della vita in cui puoi credere che ormai ben poche cose possano stupirti.
Poi, per fortuna, arriva l'arte. Arrivano i tagli di Fontana. Arriva Palazzo Schifanoia (finalmente l'ho visto davvero dopo averlo tanto studiato!lo adoro..). Arriva la Basilica del Santo. Arriva un quadro di Hopper. Ne arriva uno di Bellini che ancora non avevi visto. Arrivano Omero, e Dante, e Shakespeare, e Doyle...
E arriva, nel suo piccolo, nella sua veste di irresistibile irriverente sarcastica comicità, anche David Sedaris. Nel suo piccolo un par di palle penserete voi, dato che è considerato un grande classico contemporaneo americano. Effettivamente, dico nel suo piccolo visti gli altri personaggi a cui l'ho messo vicino, ma Sedaris merita tutti, proprio tutti gli elogi che riceve.
Ne ho letti di libri comici. In alcuni casi mi sono annoiata, in altri ho riso sinceramente, ma di pochissimi ricordo le battute, le storie, lo stile di scrittura. Se devo pensarci, così su due piedi mi vengono in mente Benni, qualcosa della Kinsella, il libro "Come uccidere il marito e altri utili consigli domestici" di cui non ricordo l'autrice, la Gasperini. Ci sono molti passi di molti libri che mi hanno fatto ridere fino alle lacrime, ma di libri scritti per far ridere prima che per raccontare una storia, che mi siano rimasti dentro, ci sono solo quelli di questi autori qua per me.
Questo, nella mia testa, significa che questi non sono "solo" comicità, sono letteratura.
Sedaris fa ridere, ma lo fa in modo diverso da tutti quanti, in modo nuovo, moderno, tagliente, inconfondibilmente suo.
Sedaris qui ha scritto una raccolta di favolette in cui i protagonisti sono sempre animali. Un po' come Fedro. Ma Sedaris vive adesso, nel Duemila, e mette nei suoi piccoli pelosi protagonisti le anime di noi grossi e meno pelosi esseri umani di oggi.
Una serie indimenticabile, spassosa, cruda di stronzi assoluti.
Eccoci lì, fra cicogne cani gufi cavie da laboratorio.
Pochi si salvano, grazie ad un'animo un po' più gentile e profondo degli altri, un animo che permette loro di rispettare il prossimo il più possibile, e di imparare dalla vita anche se le cose che imparano non è detto che gli serviranno in senso pratico.
Tutti gli altri sono vuoti, cattivi, stupidi, menefreghisti, ignoranti, egoisti, anche se spesso sono loro quelli considerati vincenti. Spesso, ma non sempre. E allora sogghigni anche tu quando la gallina bigotta ne subisce anche lei di tutti i colori, pur tenendosi lontana dal "peccato". Sogghigni anche tu quando il maialino panciuto conquista la pappagallina piena di boria con la gentilezza, ma quando è il suo momento se la ripassa alla grande. Sogghigni anche tu quando il coniglio nazi sta per essere sbranato dai lupi. Ridi di gusto leggendo i discorsi del setter fedele, che ti ricorda qualcuno che conosci. E la mucca stronza, che ti ricorda una tua collega altrettanto stronza? Ora che leggi qui i suoi discorsi, ti accorgi che sono scemi in modo indecente e che la fanno apparire chiaramente per quello che è, una totale ridicola idiota. E allora perché ne hai sofferto tanto? Ma soprattutto, perché pensarci ancora?
Una divertentissima carrellata di personaggi che descrive perfettamente il nostro tempo. Potresti stare a pensarci, potresti stare a riflettere, perché il libro te ne da la possibilità. Ma non lo so se Sedaris è interessato a far riflettere gente insignificante come noi.
Così rifletto, ma non troppo, e anche quando rifletto non lo racconto tanto in giro.
Quello che faccio è prendere il buono dei personaggi positivi, e per il resto me la rido.
Me la rido alla grande, e mi faccio aiutare a sdrammatizzare la mia vita.

le voci di marrakech


E' estate, perché non leggere un diario di viaggio?, ho pensato. Siccome almeno dal punto di vista delle scelte letterarie sono una che si tratta bene, non ho preso un diario di viaggio qualunque, ma ne ho scelto uno d'eccezione.
Elias Canetti ha trascorso un breve periodo della propria vita in Marocco, e dato che la scrittura di "Massa e potere" era in fase di stallo, ha pensato bene di rilassarsi buttando giù qualche impressione su Marrakech. Essendo Elias Canetti però, ne è uscito un libriccino che per tanti, tantissimi scrittori sarebbe il libro della vita.
Primo, partendo dagli aspetti più evidenti, per il linguaggio, che non è solo ineccepibile. E' perfetto e personale, è scorrevole e ricercato, è preciso e d'effetto. Come il linguaggio della maggior parte dei grandi, è inconfondibile. Come quando leggi Calvino o Pirandello o la Allende, o vedi una scultura di Donatello o di Moore o di Manzù, un dipinto di Van Gogh o di Caravaggio o di Tiziano. Anche se non sai ufficialmente che l'autore è quello, non puoi sbagliare.
Secondo, per andare ad un livello appena più profondo, perché mentre lo leggi non solo capisci com'è il luogo di cui sta parlando, ma in più ne senti l'atmosfera, le vibrazioni, il segreto o almeno una sua parte. E già solo per questo vale la pena, perché è "solo" un diario di viaggio ma ti fa pensare, oltre che sognare di partire anche tu.
Terzo, perché Canetti descrive le cose in modo molto chiaro e non prolisso, ma il bello, il lato speciale delle sue descrizioni, è che tutto, ogni angolo persona aneddoto panorama di cui lui parla, acquistano una sfumatura poeticamente, inequivocabilmente, assolutamente...personale.
Non personale come certi modi di scrivere intimistici, per i quali tutto è raccontato attraverso i sentimenti dell'autore, i suoi stati d'animo. O forse il modo è proprio quello, ma i sentimenti e gli stati d'animo di Canetti sono di un livello superiore alla media. Comunque l'impressione non è di stare leggendo un diario. Canetti non interpreta quello che vede. Canetti DIVENTA quello che vede. Si identifica nei personaggi che incontra. Vive nelle loro vite. Li accetta così incondizionatamente per come sono da non formulare alcun giudizio su nessuno di loro, quanto piuttosto da sentirsi impersonificato in ognuno. Tutti sono talmente speciali che costituiscono un tassello assolutamente imprescindibile della sua vita. Tutti sono vivi, esattamente come lo è lui (esattamente come lo sei tu, lo sono io, lo siamo tutti), e questo da solo li rende importanti, belli, da ricoprire di amore.
E' questa la fratellanza? Per me, sì.