giovedì 19 dicembre 2013

baba jaga e ottia

Sto leggendo “Donne di conoscenza”, di Haria..se non sapete chi è, come vive e cosa scrive, cercatela online.. vi auguro di trovarla (diciamo che preferisce stare nascosta.. ecco ve la spiego così per non rovinarvi la sorpresa). Ovviamente le donne di conoscenza hanno avuto vari altri nomi, nei secoli. “Streghe” è il più adoperato. Fra coloro di cui si legge in questo libro, splendido come tutti quelli di Haria che ho letto, ce n’è una, Ottia, che mi ha tanto ricordato la strega che sto cercando di “studiare” in questo periodo.. vi riporto il passo.
“Non so chi fosse mia madre. Qualcuno – forse una vecchia del villaggio di fango e sterpi dove crebbi – mi impose il nome Tara, e per questo io mi dico figlia di Taro, il sacro torrente dei druschi, il mio popolo sconfitto da miseria e sogni infranti.
Bambina, sguazzavo nei trogoli fra i maiali di cui ero guardiana; più tardi lo fui di cani selvaggi addestrati al combattimento per divertire il tempo irritato di signorotti annoiati, dominatori di Selvòla. Dai cani appresi il ritmo dell’agguato e la forza di resistenza; da Ottia, la strega che un freddo mattino di inverno mi raccolse nel pantano di un recinto alle porte di Volpara, presto ottenni scaltrezza e inflessibilità. Era una vecchia spaventosa ma impeccabile nell’arte della simulazione, qualità che le permetteva di sopravvivere in un tempo in cui la vita di una donna di conoscenza – così definiva se stessa – valeva meno di quella di un cane randagio.
Il primo giorno mi prese a frustate coprendomi di insulti. Rannicchiata contro le travi sconnesse della sua baracca incassata fra due rocce nel fitto di un bosco di castagni ringhiai alla sua violenza, ma non piansi ne’ la implorai di smettere. Mi gettò la frusta addosso, proruppe in una risata irreale e gracchiò che se la mia resistenza era pari alla mia forza d’animo lei avrebbe fatto di me una vera donna di conoscenza.
Ottia non mentiva. Mi lasciò gelare fuori della baracca per due giorni e due notti; al terzo giorno uscì, si stiracchiò, sputò per terra e mi disse che siccome ero ancora lì tanto valeva che mi dessi da fare a raccogliere legna secca per lei. Mi alzai fissandola con aria di sfida. I suoi occhi si socchiusero e un sorriso apparve lungo le linee sottili delle sue labbra.”
Ecco qua. Sarei tentata di chiudere qui e lasciarvi con le parole di chi sa scrivere veramente. Ma provo a dire qualcosa pure io.
Come Baba Jaga, Ottia non va per il sottile, è vecchia brutta ed aggressiva. Mette duramente alla prova la bambina che si sta prendendo in carico. Tara è meno dolce e buona di Vassilissa (ma va detto, ed è importante se come sto provando a fare leggiamo queste storie come storie dell’anima, che Vassilissa è orfana ma la mamma ce l’ha avuta, Tara è figlia dell’abbandono); ne’ lei ne Vassilissa però sono servili con la vecchia, come chi fa il leccapiedi pensando al proprio tornaconto o come chi è debole e sottomesso. Entrambe le ragazze, ognuna con i propri modi, eseguono gli ordini ma non anticipano la vecchia come a voler farle piacere.
Aspettano. Questo è un punto difficile, per me. Anche aspettare è importante. Non è detto che sia sempre giusto “prendersi avanti”. Magari la Megera ci sta facendo aspettare, al freddo ed al buio, perché quello, per noi, è e deve essere il tempo dell’attesa. Siccome non è affatto un’attesa confortevole, e siccome intuiamo che quella strega sarà decisiva per noi, vorremmo bruciare le tappe, o perlomeno non essere lasciate lì come pirla ad aspettare i suoi comodi. Ecco, questo non vale quando si tratta della Donna di un milione di anni. Ci ha aspettato tanto, ed ora ci accorgiamo che è lei a decidere i tempi. E se è tempo di stare fuori al freddo, o seduta zitta finché lei mangia, allora se vogliamo rimanere con lei dobbiamo rassegnarci. Non è mai, lo ribadisco, una rassegnazione debole o menefreghista. Durante questo tempo Vassilissa pensa alle domande per Baba Jaga, e Tara elabora la sua rabbia e la fa diventare Intenzione.
Ottia frusta e impreca, come Baba Jaga piomba addosso urlando. Lulù chiama questo genere di cose “schiaffoni terapeutici”. A volte servono, anche se ammetto di faticare a capire perché, a discernere quando è accettabile da parte dell’anima essere presa a scossoni. Ma è innegabile che è meglio capire subito che il tempo con la strega non sarà facile, e che dobbiamo saper capire quando, anche se subito non siamo accolte, vale la pena di rimanere ed insistere, e quando invece è meglio mandare tutto a fanculo ed andarsene. Questa anche è una sfida difficilissima per il nostro orgoglio e per la nostra capacità di discernimento.
Ottia non mente, come Baba Jaga rispetta i patti. Pur esperta simulatrice, non è sleale con chi è degno. E’ per questo che dobbiamo fidarci della nostra anima selvaggia più nascosta ed antica. E non è facile, perché ci hanno insegnato a non farlo. Inoltre, è arduo attraversare tutti gli strati di bugie e maschere che abbiamo piazzato addosso a noi stesse, alla nostra visione delle cose, all’essenza delle cose stesse, che viene da dire “ma siam sicuri che questa è davvero la mia interiorità vera e profonda, o è solo l’ennesima cazzata che mi sto raccontando?”. Forse può aiutarci ammettere con noi stesse, e tenere a mente, che la Donna di un milione di anni che sta dentro di noi è brutta, incazzata, vecchia, dura e pura. Non risponde a nessun canone di bellezza ed educazione che ci hanno insegnato. Non rispetta nessuna delle regole di quieto vivere che applichiamo per poter stare in società. Sta bene per conto suo, ed è una eccezione quella che fa, se accetta di insegnarci, di donarci il fuoco. Non è la “nostra parte cattiva” nel senso superficiale. Non è quella che vorrebbe farla facile, imbrogliare chi è meno furbo, inveire contro gli extracomunitari ed evitare di pagare il canone. Non è la parte “politically uncorrect”, è di più. E’ quella che ti fa sognare di entrare in casa e trovare un topo morto. E’ quella che viene percepita dal tuo gatto, quando sei incazzata e lui o ti sta lontano e se ne frega di te oppure ti sta vicino solo per saltare e mordicchiare, ma di certo non per stare quieto, sereno e coccolone. E’ quella che ti fa vibrare più forte in certi punti del corpo, che ti fa sentire dolore in certe zone a seconda di con chi sei incazzata o per chi sei triste. E’ quella che è uscita fuori quando hai partorito, se avevi una buona ostetrica, e mai avresti creduto di saper urlare in modo così gutturale.
E’ quella con cui puoi incazzarti, e lei non fa una piega. Tanto tornerai. E se non torni, sarai sempre più perduta.

lunedì 2 dicembre 2013

Fuoco e Misteri


Ci sono cose, per l’anima, che si possono trovare in parecchie fonti diverse. L’esperienza, i consigli degli altri, un buon libro, una canzone od una musica.. ecco, questo Fuoco e questi Misteri no. Questi da fuori non arrivano mica. Arrivano da profondità interne ed ataviche. Da anfratti segreti e bui dentro di noi. Da fuori possono arrivare dei suggerimenti per interpretare quello che viene da questi luoghi che siamo noi ma che noi stessi non conosciamo, e ciò spesso si esprime con un linguaggio misterioso, metaforico, esoterico, difficile da comprendere.
I Misteri che ci rivela Baba Jaga sono solo alcuni di quelli che Lei conosce, perché noi mortali non siamo fatti per la Certezza. Siamo fatti per la Possibilità, per il Dubbio. La vita mortale non è caratterizzata dai punti fermi, bensì dalle occasioni. Perciò certi Segreti devono restare tali. Ognuno può conoscerne alcuni, ma nessuno li può conoscere tutti. “Se troppo saprai, presto invecchierai”, dice infatti la strega. Chi crede di poter sapere tutto, di poter controllare tutto, di avere in mano tutto e dominarlo, non solo è miope a livelli, diciamocelo, imbarazzanti. Chi crede di potere o dovere sapere tutto per vivere bene, si avvicina velocemente alla vecchiaia, ma non alla saggezza. Secondo me Baba Jaga non parla di quella vecchiaia che caratterizza tutte le Grandi Madri, ma della vecchiaia che precede la morte. E, fra l’altro, neanche una morte con una rinascita tanto prossima. Perché più cose si cercano di sapere, più si cerca di avere il controllo, più si ambisce alla quiete, più si limita il movimento. Si crede che stare tranquilli e fermi sia la cosa più giusta da ricercare, nella vita. Ma come dice Lowen, ciò che è completamente fermo è morto. E Baba Jaga, che non è tipo da indorare pillole, ce lo dice abbastanza chiaramente. E possiamo essere certe che se non gestiremo con saggezza il nostro desiderio di conoscere i Misteri e la nostra smania di controllo, ne pagheremo gravi conseguenze.
La Conoscenza a cui possiamo (dobbiamo.. dovremmo) ambire è quella dell’Anima. La conoscenza di noi e di ciò che è buono per noi. La Conoscenza che fa dell’Intuito la più saggia delle guide. Questa conoscenza è data dal Fuoco che la Maga dona a Vassilissa. Non a caso brucia in testa, e negli occhi. Questa Conoscenza vede laddove è buio, brucia laddove è freddo, ci protegge laddove siamo minacciate. Dobbiamo trovarla, guadagnarcela, e fidarci di lei come ci siamo fidate della nostra bambola/intuito. Questo teschio infuocato fa ben più paura della bambola, ma possiede poteri ben maggiori, trasforma le intuizioni in consapevolezze, accompagna attraverso sentieri nuovi, vede tutto quello che ci riguarda e sa scegliere il Buono.
Il fuoco di Baba Jaga si ottiene dando tutte noi stesse. Corpo, ragione, intuito, paura, coraggio, amore, rispetto. La Conoscenza, la Consapevolezza, non si raggiungono se si evita di buttare nell’impresa qualcosa di nostro. O tutto o niente, in questa avventura. Si lascia andare ogni sicurezza per il Vuoto.. qualcosa ci dice che “è questa la casa che cerchiamo”.. qualcosa ci dice che tutto andrà bene, ma quello che dobbiamo investire e giocarci, siamo noi stesse nella nostra interezza. Con impeto, e ben poca razionalità. Ecco che allora le cose prendono a funzionare, con Lei. La Maga rimane severa e non ci sorride, ma chiamarla “Nonna” ci viene più spontaneo. Restiamo spaventate, ed è giusto che sia così, ma iniziamo a comprendere che se rischi tutto, puoi prendere tutto. Tutto quello che serve. Non mettiamoci avidità, in questa Cerca, perché non porta lontano. Volere tutto, qui, è necessario come lo è dare tutto. Ma, ripeto, parlo di volere ed eventualmente ottenere tutto ciò che serve, non tutto ciò che si vuole, non tutto ciò che si riesce ad accaparrarsi, non tutto ciò che capita.
Il Fuoco. Ecco “tutto”.

giovedì 28 novembre 2013

chi ha paura della strega?

Vassilissa accetta la Maga, accetta di servire l’irrazionale, che di fatto la tratta con più giustizia di come la trattavano coloro che avrebbero dovuto amarla (la matrigna e le sorellastre) ma che in realtà sfruttavano la sua debolezza. Non che la strega la tratti con tenerezza. Solo con equità.
Baba Jaga non vuole i deboli. Se li mangia. E’ bene ricordarlo. Non è la Paura da deboli quella che è dovuta a Baba Jaga. Le è dovuta la Sacra paura dell’Ignoto, la paura di coloro i quali tremano, ma non si paralizzano. Chi è paralizzato, o addormentato, da quella paura da omuncoli, non riesce a muoversi per portare a termine il lavoro che Lei assegna, e quindi è destinato a perire.
La paura della Realtà fa sghignazzare Baba Jaga. Se temi la realtà quotidiana, come sopporterai la visione di Lei? Come farà a non venirti da vomitare quando la sua casa ballerà con te dentro? Come farai a fare tutto ciò che Lei ti chiede, se avrai così tanto timore della Realtà da non arrivare neanche a capire che esiste un intuito da ascoltare per rendere tutto più veloce? Se a malapena cammini, a causa della tua impaurita lentezza, come potrà lei, magari un giorno, portarti a volare sul suo mortaio?
Baba Jaga, la Donna Selvaggia, entra nella realtà di tutte noi. Più o meno consciamente, avvertiamo i suoi messaggi. Un sogno di un certo tipo, spesso macabro. Digrignare i denti mentre si dorme. Un incontro che smuove qualcosa di strano senza quasi sapere come quella persona si chiama, un incontro che spesso spaventa e che mai ci fa sentire rilassati.


Non esiste un “momento giusto” con lei. Spesso molti di noi temono la Realtà, e chiamano questa fifa “non sentirsi pronti”. Anche di questo Lei ride sguaiata. Se la Vita ti ha messo davanti qualcosa adesso, allora quella cosa è di adesso. Se Baba Jaga ti ha dato del lavoro da fare, devi farlo o la pagherai. Non è che puoi farla tanto aspettare. Spesso la vita ci mette davanti prove difficili, altre volte possibilità di essere felici. Essere spiazzati può capitare. Ma starsene immobili adducendo motivi quali “non è un buon momento”, non aiuta, e soprattutto non fa mica sopraggiungere quel tanto agognato momento. Se quello che ci sta capitando è un dispiacere, e non lo affrontiamo, quello presto o tardi ci arriverà comunque addosso, e forse ci sommergerà. Se quello che ci sta capitando è una possibilità di essere felici, non afferrarla la farà svanire, e renderà noi degli idioti. Non arriveremo da Baba Jaga, o lei non ci vorrà. Non avremo il Fuoco, e la nostra Casa sarà ancora più buia e fredda. Non potremo cucinare per nutrire il nostro intuito e la nostra personalità.
Vivere nella Realtà con coraggio, respirare stare in piedi parlare in modo integrato e vero, prendere quello che la Vita ci offre tenendo bene a mente che la Certezza non è fatta per noi mortali, ma che siamo destinati al dubbio, che è un'altra parola per dire Possibilità, Opportunità.. fidandoci del nostro intuito e rimanendo integre nella nostra vita, allora raggiungeremo la Selvaggia e saremo abbastanza solide e sagge per fare ciò che chiede, come lo chiede. Lei ci preparerà. Ci insegnerà a vivere ad un altro livello. Ci darà il Fuoco.
E noi splenderemo, bellissime roventi luminose e terribili.

Baba Jaga e la sua casa

Baba Jaga e la sua casa fanno parte del mondo istintuale. La Pinkola Estés definisce questa strega come “il midollo della psiche istintiva integrata”. Baba Jaga conosce il passato (sa chi sono Vassilissa ed i suoi). E’ custode degli Esseri che regolano il ciclo del Tempo ( i tre uomini a cavallo). Possiede un fuoco che divampa da solo, dai teschi e nei teschi. E’ terribile e saggia. E’ brutta perché contiene in se’ il Fuoco nella Morte. La primordialità del passato archetipo. Fa paura perché ha a che fare strettamente con il ciclo Vita/Morte/Rinascita che costituisce forse il nucleo, il cuore del nostro concetto di Ignoto. Baba Jaga incute un terrore primordiale, ed estremamente vivificante. Il terrore per il quale tremi forte.
La sua casa, come lei, non sta mai ferma. E se anche sta ferma, esattamente come Baba Jaga questa casa freme. E’ piena di energia e di entusiasmo, e se le va balla come una gallina pazza che non riesce a contenere la propria esplosività. La Estés, di nuovo, suggerisce che se questa storia raccontasse un sogno compensatorio, potremmo pensare che per Vassilissa, partita da una vita piatta e spenta, una casa come questa serve a compensare la sua incapacità di volteggiare, la sua sostanziale apatia.


Il magico, spaventoso e incredibile mondo di questa strega è un mondo dove nulla è come sembra o come ci si aspetta, un mondo in cui le cose che si credono inanimate si muovono, in cui la Morte crea il Fuoco, in cui una vecchia è l’Essere che tutto può. Essa è la Madre Selvaggia, che si sostituisce alla Madre Amorevole dell’infanzia, colei che aveva donato a Vassilissa la preziosa bambola, e che ad un certo punto della storia deve morire. La bambola, emblema dell’Intuito, funziona bene, ma Vassilissa non farà passi avanti senza essere messa alla prova ed addestrata dalla Vecchia Selvaggia.
Baba Jaga è severa e minacciosa, ma giusta. Se la si ascolta lei non punisce. Il timore verso di Lei è giusto e non va espresso in piaggeria o accondiscendenza, bensì in rispetto onesto. Mostrandosi lealmente per ciò che è, e rispettando la Nonna per ciò che anche Lei è, Vassilissa ottiene di rimanere illesa, di apprendere alcuni Misteri e di ricevere il Fuoco che riaccenderà la sua vita.
Insomma, Baba Jaga e la sua casa non sono per tutti. O almeno, non ci si arriva subito. Prima di arrivarci, Vassilissa affronta la morte della madre, lo sfruttamento della matrigna e delle sorellastre, l’abbandono della casa natale, un lungo cammino nella foresta. Sono tutti passaggi da fare, per l’anima con l’aiuto essenziale dell’intuito.
E quando arriviamo? Lei ci piomba addosso urlando. Ci sgrida e ci scruta e mostra di conoscere noi e la nostra storia e di controllarci molto da vicino. E’ brutta e sporca, e la sua casa fa spavento. Ma l’Intuito, dalla tasca del nostro grembiule, ci dice “Rimani. E’ questa la casa che cerchi.”
Rimani. E’ questa la casa che cerchi.

lunedì 25 novembre 2013

Tremate tremate 1: Baba Jaga

Baba Jaga per i popoli baltici (Russi, Rumeni, Polacchi, Iugoslavi..) è la strega per eccellenza. Quando si vuole un cattivo di spessore, e lo si vuole femmina, allora si chiama in gioco lei. La storia per la quale tutti o quasi, in giro per il mondo, la conoscono, è quella di Vassilissa.
La riporto nella versione raccontata da Clarissa Pinkola Estés in “Donne che corrono coi lupi”, anche se con alcuni tagli e alcune parti riassunte per non allungare troppo il post; Clarissa a sua volta racconta la versione narratale da sua zia Kathé.


C’era una volta, e una volta non c’era, una giovane madre che giaceva sul letto di morte. Chiamò a se’ la figlioletta Vassilissa. “Ecco, questa bambola è per te, tesoro mio”, sussurrò la donna, e da sotto le coperte tirò fuori una bambolina vestita come Vassilissa.
“Sono le mie ultime parole, bambina mia. Se ti perderai o avrai bisogno di aiuto, domanda a questa bambola, e sarai assistita. Tienila sempre con te. Non parlarne a nessuno, e nutrila quando ha fame. Questa è la promessa fatta a te da tua madre, questa è la mia benedizione, cara figlia.” E il respiro le ricadde nelle profondità del corpo, dove raccolse l’anima e sfuggì dalle labbra: la mamma era morta.
La bambina e suo padre a lungo piansero e si disperarono. Ma poi, come il campo crudelmente sconvolto dalla guerra, la vita del padre rinverdì, e l’uomo sposò una vedova che aveva due figlie. Sebbene la matrigna e le sue figlie avessero modi educati e sorridessero sempre come vere signore, dietro i loro sorrisi c’era qualcosa del roditore che il padre di Vassilissa non notava.
Quando le tre donne erano da sole con Vassilissa la tormentavano, la costringevano a servirle. La odiavano perché in lei c’era una dolcezza ultraterrena. Si rendeva utile senza mai un lamento.
Un giorno la matrigna e le sorellastre non la sopportarono proprio più. “Facciamo in modo.. che il fuoco si estingua, e poi mandiamo Vassilissa nella foresta da Baba Jaga, la strega, a chiedere il fuoco per la terra. La vecchia la ucciderà e se la mangerà.”
Così quella sera, quando Vassilissa tornò dopo aver raccolto la legna, la casa era tutta al buio.
Disse la matrigna: “Soltanto tu puoi andare a cercare Baba Jaga e chiederle un carbone per riaccendere il fuoco.”
Vassilissa si avviò. Nel bosco l’oscurità fitta e i ramoscelli che scricchiolavano la riempivano di paura. Infilò la mano nella profonda tasca del grembiule, accarezzò la bambola e disse “Solo a toccarla, già mi sento meglio”.
E a ogni biforcazione, Vassilissa infilava la mano in tasca e consultava la bambola, che indicava in quali direzioni andare. La ragazza le diede un po’ del suo pane e seguì quanto sentiva provenire dalla bambola. Improvvisamente un uomo vestito di bianco su un cavallo bianco passò al galoppo, e si fece più chiaro. Poi passò un uomo vestito di rosso su un cavallo rosso, e sorse il sole. Cammina cammina, Vassilissa arrivò alla tana di Baba Jaga, e proprio in quel momento un cavaliere vestito di nero arrivò al trotto su un cavallo nero, e penetrò nella baracca. Subito si fece notte. Lo steccato di ossa e teschi attorno alla baracca prese ad ardere di un fuoco interno, e la radura nella foresta fu dunque illuminata da una luce fantastica.
Baba Jaga era una creatura veramente spaventosa. Viaggiava in un mortaio che si spostava da solo. Guidava questo veicolo con un remo a forma di pestello, e intanto cancellava le tracce alle sue spalle con una scopa fatta con i capelli di una persona morta da gran tempo.
E il mortaio volava nel cielo con i capelli grassi di Baba Jaga che svolazzavano dietro. Il lungo mento era ricurvo verso l’alto e il lungo naso verso il basso, così si incontravano al centro. Aveva una barbetta a punta tutta bianca e verruche sulla pelle per il suo commercio con i rospi. Le unghie nere erano spesse e ricurve e tanto lunghe che non poteva chiudere la mano a pugno.
Ancora più strana era la casa di Baba Jaga. Posava su un mucchio di zampe gialle di gallina, camminava da sola e talvolta volteggiava come una ballerina in estasi. Le maniglie delle porte e delle finestre erano fatte con dita di mani e di piedi umani e il chiavistello della porta d’ingresso era un grugno dai denti appuntiti.
Quando Vassilissa chiese, la bambola rispose “E’ questa la casa che cerchi”. E d’improvviso Baba Jaga nel suo mortaio calò su Vassilissa urlandole: “Che cosa vuoi?”
La fanciulla tremava. “Nonna, sono venuta per il fuoco.. ho bisogno di fuoco.”
E Baba Jaga di rimando: “Oh, sììì, ti conosco, e conosco i tuoi. Dunque, essere inutile.. hai lasciato spegnere il fuoco. Non è una bella cosa da farsi. E, per giunta, che cosa ti fa pensare che ti darò la fiamma?”
Vassilissa consultò la bambola e si affrettò a rispondere: “Perché chiedo.”
Baba Jaga disse soddisfatta: “Sei fortunata. E’ la risposta giusta”.
Baba Jaga entrò rumorosamente nella catapecchia e si sdraiò sul letto e ordinò a Vassilissa di portarle quel che stava cuocendo nel forno. Nel forno c’era cibo sufficiente per dieci persone, e Baba Jaga se lo mangiò tutto, lasciando una piccola crosta e un cucchiaio di minestra per Vassilissa.
“ Lavami i vestiti, scopa il cortile, pulisci la casa, preparami da mangiare, separa il grano buono da quello cattivo e vedi che tutto sia in ordine. Tornerò a controllare quel che hai fatto più tardi. Se non avrai finito, sarai tu il mio banchetto.”
Non appena Baba Jaga se ne fu andata, Vassilissa si rivolse alla bambola, la nutrì e quella la rassicurò dicendole di andare a dormire. Al mattino, la bambola aveva fatto tutto e non restava che da preparare il pasto. La sera Baba Jaga tornò e trovò che non era rimasto nulla da fare. Un po’ soddisfatta e un po’ no, perché non c’era nulla da ridire, chiamò i suoi fedeli servitori perché macinassero il frumento, e tre paia di mani comparvero a mezz’aria e cominciarono a svolgere il lavoro. Quando fu tutto finito, Baba Jaga si sedette, mangiò per ore e ordinò a Vassilissa di pulire di nuovo tutta la casa, di scopare il cortile e lavarle i vestiti.
Baba Jaga indicò un gran mucchio di sporcizia in cortile, nel quale stavano anche milioni di semi di papavero. “Per domattina voglio un mucchio di semi di papavero e un mucchio di sporcizia, ben separati. Hai capito bene?”
Vassilissa disperata consultò la bambola, che ancora la rassicurò, ed ancora fece tutto il lavoro mentre Vassilissa dormiva.
Il giorno dopo Baba Jaga chiamò i suoi fedeli servitori per spremere l’olio dai semi di papavero, e di nuovo apparvero le tre paia di mani.
Mentre Baba Jaga mangiava, Vassilissa le stava accanto. “Allora, che cos’hai da guardare?” grugnì.
“Posso farti qualche domanda, nonna?”
“Domanda pure”, ordinò Baba Jaga, “ma ricordati che se troppo saprai, presto invecchierai”.
Vassilissa chiese chi fossero i tre uomini e Baba Jaga rivelò che il Bianco era il suo Giorno, il Rosso era il suo Sole Nascente, il Nero era la sua Notte.
Vassilissa avrebbe voluto sapere delle tre paia di mani, ma la bambola dalla tasca le suggerì di non chiedere altro, e Vassilissa ubbidì. Baba Jaga, stupita da tante prove riuscite, e dalla grande saggezza della pur giovane Vassilissa, chiese alla ragazzina come avesse fatto a diventare così. Quando la piccola rispose “Grazie alla benedizione di mia mamma”, Baba Jaga urlò che non c’era bisogno di benedizioni lì attorno, e disse a Vassilissa di andarsene, spingendola fuori nella notte. Le diede però ciò che avevano pattuito, perché la ragazza aveva svolto tutte le sue mansioni al meglio. Prese un teschio dagli occhi ardenti dal recinto e lo infilò su un bastone. “Ecco! Prendi questo teschio sul bastone e portatelo a casa. Ecco il tuo fuoco. Non aggiungere una sola parola. Vattene.”
Vassilissa corse verso casa seguendo il percorso che la bambola le suggeriva, con il teschio davanti a se’ dal quale usciva fuoco dalle orecchie, dagli occhi, dal naso e dalla bocca. D’improvviso provò paura per quel peso e quella luce fantastica e pensò di gettarlo, ma il teschio le parlò, la invitò a calmarsi e a proseguire.
All’ avvicinarsi di Vassilissa, inizialmente la matrigna e le sorellastre, credendola ormai morta, non la riconobbero. Quando la riconobbero le corsero incontro dicendole che erano rimaste senza fuoco dal giorno in cui se n’era andata, e sebbene avessero più volte cercato di accenderlo, non aveva mai attaccato.
Vassilissa entrò in casa con un senso di trionfo, perché era sopravvissuta al periglioso viaggio e aveva riportato il fuoco nella sua casa. Ma il teschio sul bastone osservava ogni mossa delle sorellastre e della matrigna, e il mattino dopo aveva bruciato e ridotto in cenere il malvagio terzetto.

progetto nuovo: tremate tremate..


Questo è un progetto che avevo in mente da tempo. Ci ho messo qualche anno a raccogliere materiale sufficiente per avere almeno le basi..le ossa che spero di riunire con il mio canto come fa la Loba..chissà se oltre ad uno scheletro saprò, almeno qualche volta, darvi di più..non dico un lupo vivo e vegeto ululante alla luna..ma almeno mi piacerebbe riuscire a metterci un po' di carne addosso, a queste ossa..poi potrete farle vivere voi, nella vostra interiorità.
Dunque come avrete intuito quest'anno parlerò di streghe. Ancora non so se mi dedicherò "solo" a quelle delle fiabe o se scriverò anche di qualche strega realmente esistita.
Mi piacerebbe, in parallelo, scrivere anche Dentro le Nebbie della stessa strega di cui parlerò qui, di volta in volta..ma Dentro le Nebbie tutto è diverso e sono ancora meno sicura di farcela..non vi prometto niente ne'.
Come al solito sono graditi contributi, idee, commenti e proposte.


Partirò da Baba Jaga.
Ma devi proprio cominciare con quella che fa più paura di tutte? Sì.
Per me, per il mio percorso di vita finora, lei è stata ed è fra le più spaventose e anche fra le più potenti. Quindi meglio affrontarla subito, perché non la si “risolve” certo in un mese di post insulsi. Credo proprio che tornerà, come torna nei miei sogni e nelle mie intuizioni improvvise.

Quindi tremate tremate..

martedì 12 novembre 2013

le vedi camminare insieme nella pioggia o sotto il sole..

Vorrei concludere il mio minimo discorso su Frida, prima di passare al progetto nuovo.
Stasera vorrei parlare di quello di cui forse ci si aspettava avrei parlato subito, conoscendomi. Ovvero della forza come solitamente la intendo io. La forza della testardaggine, ma anche dell’integrità, il coraggio o forse la follia di non mandarle mai a dire. Vorrei parlare di quanto seppe essere radicale, non solo nell’arte, questa Donna Selvaggia. Del fatto che, a costo di passare per stronza, disse ogni volta ciò che aveva da dire, nel bene e nel male, con un linguaggio ben chiaro, talvolta caustico, mai banale ma sempre esente da fronzoli. Barocca nell’abbigliamento e a volte anche nei dipinti, pulita e limpida e diretta nelle idee. Se dovessi identificarla con un rumore, penserei ad un rombo.


Io la immagino con tanti problemi e poche paturnie, Frida. Forte e chiara. La pagò, inutile anche dirlo, ma in fondo possiamo darle torto? La vita è crudele, e quasi nessuno ti tratta davvero con gentilezza, tranne quando vuole ottenere qualcosa. Quindi, perché farsi mille problemi sul come dire le cose, sui tempi, sulla paura che potrebbe fare la nostra irruenza? Perché preoccuparsi così tanto se scompigliamo tutte le carte in tavola a qualcuno, o se lo destabilizziamo nella sua (presunta) sensibilità, o lo mettiamo in fuga con il nostro fuoco? Lo dico sempre e lo ripeto. Vaffanculo.
Certe persone dicono che rispetto significa non forzare mai, agire e parlare adattandosi alle esigenze altrui. Ma io dico che rispetto è dire le cose come sono, belle e brutte, cosicché l’altra persona è VERAMENTE libera di decidere se ciò che facciamo o diciamo le sta bene. Perché sa che ciò che facciamo e diciamo equivale a ciò che siamo. Di conseguenza anche l’altra persona può essere se’ stessa. Voglio poterti dire che sono pazza di te quando e quanto mi pare. Voglio poterti mandare a fanculo quando e quanto mi pare. Ovviamente ho delle ragioni per fare entrambe le cose, se non le avessi non sarebbe questione di rispetto ma di patologia psichiatrica.
Quando qualcuno passa una giornata a coccolarti e poi all’ improvviso sembra dimenticarsi di te, e poi tira fuori la scusa di “non coinvolgerti nei suoi problemi”, quello come lo si chiama? E’ una persona sensibile e confusa o ha la sindrome bipolare? E’ bugiarda o spaventata? Sono tutte possibilità. Perché chi passa il tempo a fare giochetti ha delle possibilità, mentre chi parla chiaro è sempre, irrevocabilmente, una stronza insensibile dai modi perentori?
Gentilezza e delicatezza sono due cose diverse. Essere indecisi e dimostrare poco interesse sono cose diverse.
Frida, come dicevo nel post precedente, dice “Io sono qui”. Molta gente, spesso quella dalla sensibilità facilmente urtabile, crede che queste parole siano seguite da un silenzioso completamento: “per te”.
Ma “Io sono qui” significa anche “Guardami. Sono qui e ci resto. Sono presente a me stessa, al mondo, e anche a te. Non sono invisibile e sono Bellezza.”
Decisi lo si è anche nel senso positivo, come lo fu Frida che amò fino in fondo e anche oltre, e che fu sempre di una generosità meravigliosa. Con una come Frida eri sicuro. Che se ti diceva “Ti amo”, “Sei importante per me”, era vero cazzo. Che se non era sicura di qualcosa, non significava che se ne dimenticava da un minuto all’altro, ma al contrario che ci pensava e ci rifletteva.
Perché, come mi ha recentemente detto Lu, “essere selvagge non preclude la dolcezza”. Dirti stronza non preclude dirti che sono cotta di te. Dirti che voglio star sola non preclude dirti che anche da sola ti penso. Dirti che vorrei accarezzarti non preclude la possibilità di mandarti a cagare. Perché, sempre parafrasando Lu, “essere libera significa non prendere sempre lo stesso sentiero per forza, ma decidere anche, se vogliamo o se ci serve, di prendere il sentiero opposto, senza smettere di essere noi stesse.”


“Io sono quello a cui fai accender sigarette, e sono quello per cui le hai accese tu”, cantava Vinicio Capossela. A volte sono carina e altre sono stronza. Ma sono sempre leale. Non mi nascondo e non dimentico coloro ai quali ho promesso la mia presenza. Credo che anche questo sia “essere Frida”. Ma anche essere Margarita, essere Anne e Mary, essere Michelina, essere Ruth e Margareth, essere Tori, essere Eleonora, essere Clarissa, essere Artemisia, essere Pina, essere Anna, essere Saffo. Essere colei che “morirà con la sua lingua”. Essere Demetra. Essere tutto il contrario de “il sesso debole”.
Forse, in definitiva, essere Strega significa anche questo. Si dice che una strega tace molte cose, ed è una grande verità. Ma non tace sempre. Non tace a caso. Non ha paura di mostrare chi è, se lo ritiene opportuno. Non mente.
Vorrei essere più intrigante e meno evidente. Più silenziosa e meno palese. Più riflessiva e meno esplosiva. Più sfuggente e meno irruente. Non sono tutto ciò che vorrei essere, come probabilmente non lo era nessuna delle Donne di quest’anno.
Ma ciò che siamo, loro ed io, è ben chiaro.
Siamo Selvagge. Streghe. Roboanti. Antiche. Potenti. Spaventose. Amanti. Cariche. Siamo così come ci vedi, e siamo anche molto di più.
Se credi, o speri, che ci scorderemo di te, che rinunceremo ad aspettarti al varco, che eviteremo di picchiarti in testa e poi (o magari anche prima) riempirti di baci.. Se credi o speri che siamo come tutti gli altri e tutte le altre, che presto la paura prenderà anche noi, e lo sconforto, e la voglia di lasciarti sola.. se credi o speri qualcosa del genere.. oh dolcezza, non sai quanto ti sbagli..

martedì 22 ottobre 2013

qui ed ora

Prendi Frida, per esempio. Non stiamo lì a parlare della sua incredibile forza a proseguire metro per metro in una vita davvero dolorosa e triste. Evitiamo anche i discorsi sul fatto che il dolore forse ha tirato fuori la sua arte più di quanto non sarebbe successo senza dolore. Ho voglia di parlare di Frida al di là del suo dispiacere e delle sue sofferenze. Frida mi da l’impressione di una donna che ha sempre più o meno saputo dov’era, come c’era, chi era. Una donna che sapeva che la sua presenza e la sua persona avevano un valore, e che nessuno poteva essere lei. Questo non la faceva sentire migliore, ma risaltava la sua unica originalità. Scegliere di vestirsi come una contadina messicana non la rendeva originale nel senso snobistico tipico di molti europei ed americani. Dipingere come dipingeva non la rese una surrealista simile a tutti gli altri surrealisti. Stare con Diego non la rese debole e fallita e ridicola come si sentono molte donne a star dietro a chi non è poi così certo che valga la pena. La polio prima e l’incidente poi non la resero una storpia inabile e deprimente. I suoi e le sue numerosi/e amanti non la resero una facile.
E mi viene da pensare che tutto questo capitò perché lei, dentro di se’, sapeva che nessun altro poteva essere come lei. Come nessuno può essere come qualcun altro. Perché ognuno è se’ stesso, e può essere solo quello. Anche se ti vesti come altre persone si vestono. O canti le stesse canzoni. O ami le stesse persone. O soffri per il mal d’amore come quasi tutti. O leggi gli stessi libri. O vedi gli stessi luoghi. Puoi dire cose già dette, ma nessuno ancora le ha dette come le dirai tu, se ci metti ciò che sei, se ci metti la tua unicità.


La guardo in questo quadro, uno dei più famosi. E’ lì davanti. Aspetto normale, vestito normale, e anche il quadro tutto sommato non ha contenuti così “sconvolgenti” come hanno altri suoi quadri. Ma è indomita, sicura, integrata. Nessun altra donna potrebbe stare in quel quadro. Neanche una donna più bella, più intelligente, più dolce, creativa, brava a letto. E’ lei quella perfetta. Perfetta per i suoi quadri. Perfetta per gli abiti che indossa, per come parla, per le sue idee politiche, per tutte le persone che ha amato. Frida non ha avuto bisogno delle cose o delle persone, ma sono state queste ultime ad aver bisogno di lei, perché solo lei poteva funzionare per loro. Lei ne ha avuto bisogno per diventare Bellezza, perché certe cose non le si diventa da soli, neanche se si è Frida Khalo.
Ma la sua solidità, o meglio la sua consapevolezza, mi danno un po’ di coraggio stasera.. mi fanno provare a sussurrare, per ora a bassa voce e solo a me stessa: "Io sono perfetta per questo incarico. Io sono perfetta per fare da madre a mia figlia. Io sono perfetta per questo taglio di capelli. Io sono perfetta per i miei genitori. Io sono perfetta per questo corpo. Io sono perfetta per questo Paese… Io sono perfetta per questa donna”. Senza nulla togliere a nessun altro, in nessun campo. Non sono migliore, come non fu migliore Frida (beh oddio, lei sì probabilmente lo fu). Sono la persona giusta per quello che sto vivendo. Sono irripetibile.

venerdì 18 ottobre 2013

ebbene sì. Donne dududu 12

Manco da qui da parecchio. Il fatto è che in questi mesi mi è sembrato di non aver nulla di neanche vagamente buono da scrivere. Scusate. La Ruota dell’anno ha girato già un paio di volte, nel frattempo, e nelle vostre come nella mia vita sono successe tante cose.. rieccomi, chissà se ho qualcosa di buono da dire adesso..
Per iniziare, vorrei parlarvi dell’ultima donna della mia rubrica. In mega ritardo, lo so. Ma a lei non rinuncio. L’ho tenuta per ultima perché il meglio viene in fondo. Eccovela..


L’avevo già postato questo quadro.. ma è e resta uno dei miei preferiti.. e così arieccolo.
Sono state scritte così tante pagine su Frida Khalo, sono state create icone di stile, recitati film, mandate interviste.. che davvero la sua biografia proprio non posso permettermi di raccontarla. Come faccio quasi sempre in questo blog, parlerò di ciò che sento. Frida colpisce me come colpisce la maggior parte delle donne per la sua passione. Per il pathos warburghiano che ha mosso tutto, in lei. La creatività ed il modo anche tecnico di esprimerla; il rapporto con la famiglia; il credo politico; lo stile nella scelta di abiti ed accessori; il modo di affrontare gli innumerevoli problemi di salute; la scelta delle persone con cui andare a letto; e ovviamente la scelta di stare con Diego Rivera. Colpisce perché da una donna del genere te lo aspetti e non te lo aspetti, che viva un amore così.. te lo aspetti, perché di certo fu un amore passionale ed appassionato, perché tutto sommato un po’ di dramma latino piace a tutti e certamente piaceva a Frida, te lo aspetti perché Diego era un uomo tanto brutto esteriormente quanto affascinante interiormente, oltre che essere stato un mentore per la nostra pittrice. Ma non te lo aspetti che una donna come lei, libera, indipendente, decisa, ribelle, profonda, abbia scelto in modo reiterato di stare con una persona che contribuì fortemente a riempire la sua vita di dolore. Non te lo aspetti, lei che poteva avere, ed ebbe, chi voleva, uomo o donna, ricco o rivoluzionario, possa aver continuato a cercare colui che la tradì tutta la vita, che la fece sentire umiliata e distrutta.
Una persona che conosco ha definito Diego la dimostrazione del fatto che la Khalo era profondamente debole, e mentalmente disturbata. Un'altra ha definito la loro relazione paragonabile a quella fra Hannah Arendt e Martin Heidegger.
Non lo so. La relazione fra i due filosofi, o meglio il tradimento profondo di lui e l’accettazione di quest’ultimo da parte di lei, oltrepassò i confini, privati e mai giudicabili, della coppia. Lui si schierò con coloro i quali massacrarono il popolo della donna che diceva di amare, ed avrebbero catturato anche lei se non fosse fuggita.. la Arendt difese per tutta la vita Heidegger dalle accuse di nazifascismo. Oltre a questo ci furono le dinamiche di coppia, quali accettare di essere sempre e solo la sua amante, subire senza una parola l’indifferenza di lui, vederlo stare con altre donne quando le promesse erano state ben diverse. Ecco, Frida vide questo, visse il dispiacere e gli scontri ma questi non ebbero mai risvolti “socio-politici”. Forse anche per questo ci identifichiamo di più in lei che in Hannah..perché, secondo me, il tradimento di Heidegger fu troppo imponente per poterlo anche solo capire, figuriamoci accettare. Il tradimento di Diego ed il dolore di Frida rimasero all’interno dei confini della coppia, e la coppia noi riusciamo a capirla meglio. Ma abbiamo capito la coppia Diego/Frida? Abbiamo chiari i significati di coloro che si vedono a spizzichi e mozzichi per anni, per una vita, ma non smettono mai di amarsi? Sappiamo qualcosa di coloro che cambiano tutto della propria vita quando incontrano una certa Persona? Prosaicamente, Carrie che ancora torna con Mister Big l’abbiamo capita? Fantasticamente, Aragorn e Arwen li abbiamo compresi? Esotericamente, Morgana e Artù come ce li spieghiamo? Ereticamente, una coppia come Maddalena e Gesù cosa vorrà dire davvero?


Quando una coppia reale, di persone vere, prende ad assomigliare tremendamente ad una Dea e al suo Paredro, noi iniziamo a non capire.. ad aver paura.. forse ad intuire che l’Ignoto, l’Infinito del quale loro vedono un barlume o qualcosa di più, potrebbe risucchiarci tutti.. crediamo di non avere gli strumenti, per capire. Perciò adoperiamo quegli strumenti che abbiamo a disposizione, che conosciamo, che ci fanno sentire a nostro agio o che ci fanno comodo. Li giudichiamo parlando di diritti, di psicologia, di dinamiche di coppia.. Li consideriamo una coppia “normale”. Beh, forse non lo sono. Ogni coppia dovrebbe, o potrebbe, essere una versione terrena della coppia Dea/Paredro, ma di fatto quasi nessuna, soprattutto in questi tempi, lo è. Di questi tempi pochissimi sanno cosa siano, una dea ed un paredro, a dirla tutta.
Comunque. Se non abbiamo mai nemmeno guardato in quell’Abisso, per paura o per condizione o altro, possiamo credere di capire chi in quell’Abisso ci è dentro, e magari pure scava per andare più a fondo?
Non dico che non esistano la slealtà, le coppie completamente squilibrate, la violenza.. chi mi conosce o anche chi ha letto qui almeno un paio di volte sa che non giustifico mai chi tratta male le donne. Non giustifico Diego Rivera, e fatico a capire Frida che accettò tutto il dolore che lui le provocò. Ma comprendo che un certo tipo di Amore lo si trova una sola volta, probabilmente attraversa i secoli e non è detto che lo reincontriamo in ogni nostra reincarnazione.. l’ho scritto e detto tante volte. Perciò da questo punto di vista comprendo, mi pare, la mia amata pittrice.. perché certe volte, anche quando il Male è tanto, il Bene lo prevarica, lo ricopre ed avvolge, e riesce ad averla vinta.. forse essere per Diego collega, amica, ma anche sorella, e madre, oltre che amante e poi moglie, fu la chiave e non la rovina per loro. .forse, per Diego, Frida fu la Donna.. in tutte le sue accezioni. Forse essere “tutto” è stato il modo per avvolgere, ed anche accogliere come proprio ed imprescindibile, il Male, il Buio.. e far sì che il Luminoso abbraccio facesse miracolosamente tornare l’Equilibrio.. allora forse Frida e Diego sono, oltre che emblema di passione distruttiva, anche segno.. ma sì, di Speranza. Come il primo quadro.. che si intitola The Tree of Hope. Come il secondo, anche questo già postato in precedenza qui, che si chiama The Love Embrace of the Universe.
Forse la fierezza, l’orgoglio, la stranezza, l’inseguire ciò che sembra sbagliato, il pathos.. forse, a volte, sono un altro modo di Sperare.

giovedì 8 agosto 2013

LA LINGUA

Scrivo ancora da un computer che non mi permette di caricare immagini. Un delirio.
Ma scrivo lo stesso per pubblicare un racconto che Lulù, quella del blog I fiori neri di Artemisia, mi ha donato..come spesso mi capita nella vita, questi giorni sono difficili. Giorni nei quali forse la strada più facile sarebbe tacere, abbassare lo sguardo e accettare l'aggressività di chi credevo e speravo mi avrebbe dato accoglienza e comprensione. Giorni nei quali le lacrime affiorano spesso, e ad affrontarle con me, a tollerarle con me, a dar loro un senso con me, ci sono due persone che, per motivi diversi, non mi aspettavo ci sarebbero state. Una è la mia bambina, che nella sua dolcezza e nel suo candore si è messa a consolare sua madre (ps che madre di merda). L'altra è una Donna che è da così poco nella mia vita eppure tiene in mano così tanto di me (ps che paura fottuta ne ho).
E infine, arriva Lulù, con il suo racconto. Così ad hoc per questo mio momento. Così doloroso ma coraggioso. Così suo ma anche mio. Non posso credere che sia un caso, non posso credere che una mano invisibile ed una mente sottile non abbiano guidato le mani e la mente di Lulù.
E così, previa la sua autorizzazione, lo pubblico qui. Prendetevi cinque minuti, perché come dico sempre questo blog è un contenitore abbastanza scadente ma a volte contiene cose belle (terzo ps: soprattutto se non le scrivo io).

LA LINGUA

Quando LUI ha socchiuso gli occhi ho osato alzare lo sguardo pieno di speranza. Mi sbagliavo. LUI ha abbassato il capo alle parole del Gran Visir e il magnifico non ha perso tempo: ha dato subito ordine ai soldati di portarmi nelle segrete. LUI però ha sentito e ha subito alzato il braccio.

«Non oserete farle questo.»
«Certamente Vostra Grandezza» un inchino di perdono «come preferite, dormirà nell’Harem.»
«Ricordate Visir, lei è mia moglie come le altre.»
«Lo ricorderò sempre, Vostra Grandezza.»
«All’alba mozzatele la lingua e…»
Si interruppe, forse per il mio pianto di sincero pentimento. Cominciai a tirarmi i capelli per attirare l’attenzione. Tutto inutile.
«Ogni Vostro desiderio è un ordine, Vostra Grandezza.»
«Non fatele male. Lei dovrà sopravvivere alla condanna o pagherete con la vostra vita.»
«E’ un onore servirvi e ricevere la Vostra infinita saggezza, Vostra Grandezza.»

Alycia e Vassilissa erano sul portone e mi aiutarono ad alzarmi. I loro capelli profumavano di passiflora e mandorla. Mi sembrarono angeli con vesti bianche e occhi pietosi per me che avevo osato contraddire la parola del Gran Visir. Dovevo essere impazzita quella mattina. Cosa credevo? Ero accecata a pensare che l’essere stata scelta per tante notti e sentirmi dire dalle sorelle che ero la preferita di LUI, questo facesse di me una regina. Eccomi precipitare dall’alto della mia sciocca arroganza di donna. Se vivrò lo devo soltanto alla magnanimità della Legge del contrappasso che esige l’asportazione della parte che ha recato l’offesa. Alycia mi stringe il braccio, ha sentito anche lei la condanna e mi sembra che le sue guance siano umide. Quando saremo da sole nel salone e ci toglieremo il velo, potrò guardarle gli occhi e capire di più. Ci incamminiamo nei corridoi adorni di tappeti rossi che mi ricordano i tempi in cui a testa alta avanzavo nella notte orgogliosa, fiera come la luna per aver giaciuto con LUI e avere il suo seme dentro. Due settimane dall’ultima volta e sembra una vita fa.
Mentre Vassilissa apre il portone mi viene da pensare che il sangue terribile di bambina innamorata del sole rosso deve avermi permesso l’oltraggio di cui sono colpevole: ho contraddetto il Gran Visir. Mi volto indietro, vorrei tornare nella stanza del consiglio e suggerire meno clemenza con me, perché non è stata la lingua a parlare ma il sangue irrequieto e la giusta pena sarebbe che io fossi liberata da tale demone. Potrebbero tagliarmi i polsi e io morirei con grande dignità vedendo allontanare da me la causa della colpa. Mentre penso così, provo vergogna e pena per me stessa: parlare, ancora parlare. Non imparerò mai che una donna deve stare zitta di fronte agli uomini e che, di fronte a LUI e al suo magnifico servo Gran Visir, il silenzio deve essere assoluto e religioso: bisogna contemplare il divino maschile che offre la vita per noi.

«Coraggio entriamo.» si toglie il velo.
«Perché piangi? Piangi per me?»
Alycia mi abbraccia e mi confondo; tento di allontanarla dalle mie braccia perché ho paura di contaminarla con la mia impurezza.

«Soltanto la lingua, è soltanto la lingua che ti fa difetto.»
Vassilissa si avvicina.
«Ci sono unguenti di mirra e cenere che insieme al cauterio sigilleranno la ferita nella tua bocca e presto tornerà a essere la rosa del Nostro Sultano.»
Mi abbraccia anche lei e mi bacia tra i capelli.
Anìmoro si avvicina e mi porge un vassoio di farro, falafel, crema di latte in Cumino e un calice di acqua e grano fermentato. Tra noi è l’unica che ha il coraggio di un sorriso. Anìmoro è l’ultima moglie – tre mesi fa le nozze- e ricordo ancora che la guardavamo incredule, sembrava una bambina e dopo venti giorni lei fu orgogliosa di mostrarci le sue vesti che d’improvviso si macchiavano di rosso. Suppongo che adesso dovrei cenare e lasciare che la mia incauta sciocca lingua circondi il cibo. Finalmente silenziosa. Oppure potrei inghiottire privando lei del suo ultimo pasto. Devo impazzire a ragionare così.
«La colpa è mia, la lingua è soltanto una serva.»
Nascondo il viso tra le braccia. Non voglio che mi vedano piangere ancora. Sento una carezza tra i capelli. Alzo appena lo sguardo: è un pettine d’osso profumato che Alycia cerca di scorrere tra la mia lunga chioma perché non perda di lucentezza.
«Domani è quasi un giorno di festa.»
La guardo incredula.
«Perderai la lingua ma tornerai tra noi pura.»
Come posso non amarla a sentirle dire parole così tenere? Mi accorgo che due lunghe lacrime rigano il suo viso. Mi avvicino di più e le sfioro le guance calde. Restiamo abbracciate a lungo fino a che le ultime fiaccole delle camera vengono spente. Il frinire dei grilli innamorati delle stelle ci giunge dalla finestrella. Fino a che ci saranno punti di luce nel cielo, ci sarà speranza anche per chi è nato nell’errore di essere donna.
«Non sono punti ma gocce di luce.»
La guardo senza capire.
«Gocce di luce come te.»
«Alycia, non bestemmiare.»
Mi guarda come non vorrei. Ricordo che la follia della mia lingua ha osato sfidare il cielo nell’oscurità. Io e Alycia, le nostre labbra si sono sfiorate mosse da un sesso basso che ci fa credere in certi istanti di essere angeli. La guardo incredula. La sua lingua è tenera e cerca la mia. Vuole ricordarla, oppure piuttosto morderla per punirla di aver preferito le parole alla sua dolcezza?
Onde dopo onde. Non c’è nessun porto in cui possiamo approdare, ma le lingue giocano a salutarsi nelle lenzuola dell’ultima notte. D’improvviso mi metto seduta nel letto e cerco di intravedere la sagoma diafana delle mie mani alla luce bianca della luna. E la luna pian piano dissipa le parole ingenue.
«Ti amerò per sempre.»
«Non potrai Alycia»
«Perché sorellina del mio cuore?»
«L’anima non è nel cuore. E neanche nella testa. E’ nella lingua.»
Mi abbraccia atterrita e mi copre la bocca con la mano. Bacio il palmo adorato e lentamente lo scosto dal mio viso. E’ necessario che io liberi ancora parole: da domani non potrò che ricorrere a gesti per farmi capire. E potrò chiedere cibo e tante altre cose, ma niente di quanto ho urgenza di dire adesso.
«Alycia, quando il coltello mi priverà della lingua, è la mia anima che si allontanerà da me.»
«…»
«Non posso permetterlo, lo capisci?»

Le prime luci dell’alba mi hanno raggiunto con i capelli intensi di nero, gli occhi rossi di pianto e la gioia immensa della verità. Cammino tra gli arazzi preziosi a testa alta. Le gambe tremano ma supplico le ginocchia di non cedere e rovinare tutto. Quando entro nella sala della condanna mi sento subito confortata: il magnifico Gran Visir è presente. Si vuole assicurare che il coltello sia ben pulito e la mano del medico ferma. LUI naturalmente non c’è e sono felice che non veda quanto sto per fare. Non gli piacerebbe.

«Non è stata la lingua a scegliere la parole.»
Gli uomini mi ignorano e lo ripeto alzando la voce.
«Non è stata la lingua! E neppure il sangue che scorre nelle vene!»
Due guardie mi obbligano a piegarmi sul letto di esecuzione. Mi dimeno per liberarmi, devono lasciarmi dire. Il Gran Visir ha pietà di me. Fa un gesto ai soldati e si avvicina.
«Cos’hai da dire, donna?»
Ci penso un istante. Potrei dire che l’anima è nella mia lingua e che nessuno ha il diritto di dividerci; forse riuscirei ad aggiungere che senza anima non ha senso vivere. Potrei accusare e dire che Dio giudicherà il sacrilegio. Parole soltanto parole. Il magnifico Gran Visir non ascolterà affatto. So cosa devo fare. Approfitto della vicinanza sputo sul suo viso. Mi guarda inorridito e gli rovescio addosso le parole degli abissi della mia anima. Il mio cuore batte impazzito e mi accorgo appena quando corre via dalla porta. Le guardie mi guardano divertite. Il medico scuote la testa. L’esecuzione è rimandata. Quando Sua Eccellenza verrà a sapere di quest’altra mia prodezza, che succederà?
«Quando sarai al Suo cospetto, supplica perdono.»
Guardo il medico turbato dalla mia bellezza. Io ho una paura stramaledetta. Ho paura che mi strapperanno la lingua con la forbice infiammata o che mi seppelliranno ancora viva nelle sabbie rovente del deserto. Ci penso e pian piano il respiro si calma. Quando LUI vorrà vedermi per giudicare, resterò zitta in un inchino silenzioso come la morte. LUI capirà, sarà clemente e mi farà tagliare la testa. Morirò con la mia lingua.

martedì 23 luglio 2013

Anna (and the king)

chiaro che per il potere una è disposta a fare molto. Quasi tutto. Nessuno nega la fame di potere di Anna,che non fu ne' la prima ne' l'ultima ad essere così peraltro.

Ma stasera, da (ex?) amante, ho voglia di inventarmi la storia di una donna che amava, ed ha aspettato e lottato. Per anni. Amava, quindi era amante. Ha attraversato tutti i passaggi più duri e dolorosi che deve affrontare una delle "altre": si è innamorata di qualcuno che non poteva avere, per iniziare. E' stata ricambiata, che a volte non è mica così una bella cosa. Ha iniziato dura e pura: "te la do solo se molli quell'altra". Per poi, naturalmente, cedere pian piano, un po' alla volta, spinta da lui e anche dal proprio spontaneo desiderio di donna che ama, anche col corpo. Inizialmente ha gioito nel vedere che il suo uomo è partito anche abbastanza spavaldamente per iniziare tutte le pratiche per divorziare, per chiedere l'annullamento nel caso di Anna. Per poi scoprire naturalmente che la strada è ben più lunga e tortuosa del previsto. Come tutte le amanti, andando avanti con l'avventura la cosa si è saputa in giro, e lei è diventata la sgualdrina additata da tutti come un'arpia incantatrice e avida. Ha affrontato le ire di una moglie inviperita (anche giustamente in questo caso, diciamocelo) che per un motivo o per l'altro se l'è presa solo parzialmente con lo schifoso che le ha messo le corna, ma non ha avuto problemi a prendersela con la ragazza (single, LEI) con la quale il marito (sposato, LUI) l'ha tradita e per la quale vuole lasciarla.
Nel caso di Anna, in mezzo ci si sono messi anche altri dettagli, come l'intervento del Papa, dell'imperatore più potente del mondo allora conosciuto (Carlo V), di tutta la Corte inglese e della Chiesa anglicana.
Fra l'altro, dopo anni di controversie e litigi e odio crescente nei suoi confronti, è arrivato un altro "inconveniente": una gravidanza. Che per carità un bambino è sempre una benedizione, ma cazzo non poteva aspettare un altro annetto ad arrivare?


E sempre da (ex?) amante ho voglia anche di inventare la storia di un uomo che starebbe bene nella rubrichina "Men are some kind of dork". Un matrimonio di diciassette ani, con una brava persona, che dopotutto funziona. Ti invaghisci di una più giovane e carina. Mettiamo pure che ti innamori. Naturalmente ci provi, e lei coraggiosamente ti dice di no. Al che tu vai in tilt, e ti inventi tutte le cazzate più assurde per fare in modo da risultare di nuovo scapolo (e completamente senza colpe) agli occhi dello Stato e di Dio, per liberarti della cornuta di tua moglie e fare i tuoi porci comodi. Le cose non vanno così lisce come credevi, ed incontri problemi mica da poco. Che vuoi rinunciare e accettare che a volte le proprie scelte vanno pagate responsabilmente? Certo che no, e li' non c'entra l'essere il Re, c'entra il cromosoma Y.
Distruggi una donna e una famiglia, sfinisci l'altra, sconvolgi un Paese, un popolo, una Curia, stravolgi gli equilibri europei, scomodi la Chiesa di Roma per poi dirle "fanculo, scomunicatemi che non me ne frega niente, io decido con o senza il vostro consenso". Fai incarcerare o ammazzare chi ti contrasta. Alla fine riesci a liberarti di tua moglie e della vostra unica figlia, tutto sommato senza grossi sensi di colpa. Sposi l'amante, che hai messo incinta (cretino). Nemmeno da lei arriva il tanto agognato erede maschio, ma comunque hai fatto tutto sto casino anche perché ti piaceva, l'amavi no? La poveraccia attraversa tre anni fra odio da parte di praticamente tutta l'Inghilterra, aborti spontanei (e i bimbi, morti, non li hai mica spinti fuori tu, pezzo di merda), dolore. Dopodiché decidi che nemmeno lei è quella giusta, e non trovi nessuna soluzione migliore che farla decapitare. Per sposarti Jane Seymour, LA SIGNORA DEL WEST. (Scusate ma dovevo dirla).

Almeno la prima moglie è rimasta viva, ripudiata e senza trono ma mantenuta, rispettata ed amata dal popolo.
Perciò non posso non provare un moto di tenerezza per Anna, nonostante tutto. Perché sarà stata pure un'approfittatrice, una fredda calcolatrice bramosa di potere e ricchezza, una strega..ma l'ha pagata più cara di tutti. Come di solito paga chi è se' stesso. Cattivo e spietato, ma se' stesso, nel male come altri lo sono nel bene.

domenica 21 luglio 2013

ecco l'iniziativa più bella: "ti saluto"

copio e incollo, come molti altri blogger. Io ho trovato questa perla su "vita da streghe".


#TISALUTO



In Italia l'insulto sessista è pratica comune e diffusa. Dalle battute private agli sfottò pubblici, il sessismo si annida in modo più o meno esplicito in innumerevoli conversazioni.

Spesso abbiamo subito commenti misogini, dalle considerazioni sul nostro aspetto fisico allo scopo di intimidirci e di ricondurci alla condizione di oggetto, al violento rifiuto di ogni manifestazione di soggettività e di autonomia di giudizio.

In Italia l'insulto sessista è pratica comune perché è socialmente accettato e amplificato dai media, che all'umiliazione delle persone, soprattutto delle donne, ci hanno abituato da tempo.

Ma il sessismo è una forma di discriminazione e come tale va combattuto.

A gennaio di quest'anno il calciatore Kevin Prince Boateng, fischiato e insultato da cori razzisti, ha lasciato il campo. E i suoi compagni hanno fatto altrettanto.
Mario Balotelli minaccia di fare la stessa cosa.


L'abbandono in massa del campo è un gesto forte. Significa: a queste regole del gioco, noi non ci stiamo. Senza rispetto, noi non ci stiamo.
L'abbandono in massa consapevole può diventare una forma di attivismo che toglie potere ai violenti, isolandoli.

Pensate se di fronte a una battuta sessista tutte le donne e gli uomini di buona volontà si alzassero abbandonando programmi, trasmissioni tv o semplici conversazioni.

Pensate se donne e uomini di buona volontà non partecipassero a convegni, iniziative e trasmissioni che prevedono solo relatori uomini, o quasi (le occasioni sono quotidiane).

Pensate se in Rete abbandonassero il dialogo, usando due semplici parole: #tisaluto.


Sarebbe un modo pubblico per dire: noi non ci stiamo. O rispettate le donne o noi, a queste regole del gioco, non ci stiamo.

Se è dai piccoli gesti che si comincia a costruire una società civile, proviamo a farne uno molto semplice.
Andiamocene. E diciamo #tisaluto.

Questo post è pubblicato/ribloggato in contemporanea anche da altre/i blogger: Marina Terragni, Loredana Lipperini, Lorella Zanardo, Giovanna Cosenza, Sabrina Ancarola, Mammamsterdam, Zeroviolenzadonne, Un altro genere di comunicazione, Ipazia è(v)viva, La donna obsoleta, Laboratorio Donnae, Sud De-Genere, Coppette amore e..., Politica Femminile, Caso mai, Zauberei, Cosmic Mummy, in genere, the new Brix Blog, Mammaeconomia, Donne in ritardo, Valentina Maran, malapecora, Essere Donne, I Fratelli Karamazov, Anarkikka, Il porto delle nuvole, Considerazioni di una donna, Donne Viola, Sabrina Barbante, Ho fatto il composto!, Carla "conta" e crea, Blog di Sara, 101 uomini più..., Elena, Se non ora quando, EMPOROS, La solita Simonetta, No alla violenza sulle donne, Non lo faccio più, L'Italia che cambia, ma la notte no!, corpografie sessuali, Family Life, The Blake House, A.R.P.A. Raggiungimento Parità, La fila indiana, miniEva, Francesca Sanzo, Women.it, Frequenze lesbiche, Francesca Marchini, Se 18 vi sembran poche, Tè per tutti, Radio Sarajevo, GiULiA Giornaliste, La dignità e le persone (il blog di Corriere.it e Amnesty International), Rete 13 Febbraio PT, La rete delle reti femminili, Queste sono solo parole, ma la notte no!, La 27esima ora, TANTOPREMESSO.it, Confrontandoci, un quid, il lunedì degli scrittori, mamme stufe, Genitori Channel

E nella versione maschile da Lorenzo Gasparrini, Mente Miscellanea, O capitano! Mio capitano!



Se ti va, copincollalo anche tu!

PS: guarda anche il video sull'iniziativa di BarbieXanaxFactory

donne dududu 11: Anna Bolena

Non potevo, in una rubrica del mio blog, non scrivere di almeno una donna che facesse l'amante. Sì, lo so che aveva ragione Caterina, ma che vuoi farci Anna mi ha sempre mandato fuori di testa. Perché è stata sveglia e furba come io non ho saputo essere, per dirne una. Perché ha ottenuto quello che io (come moltissime altre) non sono riuscita.
Anna venne allevata per sposare qualcuno di importante ed entrare nelle alte sfere della nobiltà e della Corte. Ma chi l'avrebbe detto che non ci sarebbe entrata affatto dalla porta principale? Chi ci avrebbe creduto che avrebbe combinato tutto sto casino? Chi l'avrebbe immaginato che avrebbe convinto l'amante a lasciare la moglie? E, per di più, col vecchio stratagemma "se non fai come voglio non te la do". Della serie "tira più un pelo di..che la Corona d'Inghilterra". Chi ci avrebbe scommesso un soldo bucato che una donna in effetti di secondo piano avrebbe distrutto un matrimonio di diciassette anni che tutto sommato funzionava non solo in senso istituzionale, avrebbe fatto cambiare le regole della Chiesa inglese, avrebbe sconvolto le alleanze politiche d'Europa? Nemmeno i figli di Caterina ebbero più alcun diritto sulla Corona.
La fine di Anna fu dolorosa, avvenne nel giro di pochi anni e solo qualcuno provò dolore per lei e con lei. Ma buttiamola in vacca, e diciamo che è colpa del matrimonio, che rovina sempre tutto.
Grande Anna. Fanculo Caterina, di che si lamentava in fondo? Mica è tornata a casa dalla madre ed ha passato il resto della vita con le pezze al culo a fare la cassiera al supermercato per mantenere i figli. Ha vissuto in un castello, servita e spesata. Fanculo alle mogli che si lamentano, ogni tanto.
Evviva la puttana dell'amante, che ce l'ha fatta, anche se per poco e ad un prezzo immensamente alto.

venerdì 28 giugno 2013

certo che ci amavamo! Il sacro tìaso



Le donne, fra cui la loro guida Saffo, vivevano insieme nel tìaso abbiamo detto. Ovvio che a volte l'amore nasceva. Per secoli si è provato ad interpretare i versi della poetessa in un modo che non urtasse la "sensibilità" del tempo..anche di questo tempo. Smettiamo perfavore, e leggiamo le cose per ciò che sono, nella loro purissima, limpida, perfetta, delicata, meravigliosa pulizia.
Gruppi di donne che vivono insieme ci sono sempre stati, in ogni cultura, ed in ogni cultura antica questi gruppi avevano un potere spirituale ed a volte anche temporale importantissimo..erano donne sapienti, libere e sagge, autonome e rispettate da tutti. Essere parte di queste sorellanze significava essere veramente speciali, e soprattutto, lo ripeto, libere (più delle donne "comuni", spesso) di decidere per se' stesse..come vestire, se cantare alla luna o correre o ricamare, con chi condividere il proprio letto.
Tutto questo in Occidente non esiste più, avendo subito secoli di censura cattolica. Infatti, ancora oggi, le sole comunità femminili esistenti sono le suore..che libere proprio..ecco..

A volte anche le ragazze del tiaso dovevano tornare a casa e sposare qualcuno che era scelto dalla famiglia..e non tutte erano contente di farlo.


"Da Sardi Arignota ha rivolto la mente qui,

ricordando come vivevamo insieme,
lei ti stimava simile agli dèi
e più di tutto gioiva del tuo canto.

Ora brilla fra le donne lidie
Come talvolta al calare del sole
La luna dalle dita di rose

Supera tutti gli astri, e la luce
Si posa sul mare salato come
Sui campi fioriti;

e la bella rugiada si spande,
e sbocciano le rose e i cerfogli soavi
e il florido meliloto;

si aggira inquieta, ricorda,
e il desiderio della tenera Attis
le consuma l’anima lieve."

Mi viene la malinconia a leggere questi versi, ma anche un sorriso a pensare a come fossero sinceramente espressi l'amore ed il desiderio femminili, anche quando l'oggetto di tali sentimenti era un altra donna. Adesso questo mi sembra più difficile oggi, anche se è nascosto con una maschera di semplicità..invece niente è semplice, ma tutto viene fatto credere ovvio..leggo queste poesie e vorrei fare una carezza a queste ragazze, che soffrono a lasciare le altre, sia che siano amiche, sia che siano le loro amanti..la Sorellanza non è mai facile da spezzare, e quando se ne esce la cosa provoca un dolore così forte, così bruciante, che morire quasi quasi sembra il male minore..


"Vorrei davvero essere morta.
Lei mi lasciava piangendo

e molte cose mi diceva:
“Ahimè, è terribile come soffriamo,
Saffo, io contro la mia voglia ti lascio!”

E io a lei risposi:
“Addio, e serba memoria di me,
tu sai quanto ti ho amata.”

E se non lo sai, io voglio
ricordare anche
le cose belle che facemmo insieme:

a me vicina t’incoronasti il capo
di mille ghirlande di viole e di rose
e di crochi insieme,

e mille serti odorosi fatti
di fiori intrecciati
intorno al tenero collo

e a profusione ti ungevi
tutto il corpo con unguento
di fiori e profumo regale

e sul letto soffice
saziavi il desiderio…"


Quanto ho amato questo personaggio. Da anni la inseguo e ancora riesco a malapena a cogliere il suo luminoso messaggio..sono contenta di aver scritto di lei questo mese..è stato uin piccolo-grande regalo fatto a me stessa..

sabato 22 giugno 2013

litha


la Ruota continua il giro ed il Sole oggi ha il suo trionfo..ma allo stesso momento inizia il suo declino..oggi è il giorno più lungo dell'Anno, e da domani i giorni inizieranno ad accorciarsi..muore il Re della quercia e subentra il suo più oscuro gemello..il Re è morto. Viva il Re! Che porti un raccolto buono per tutti noi, che l'Estate e questo Solstizio siano ricchi e benedetti.
Felice Solstizio a tutti :)

Saffo vista da Elke

Riporto qui un brano, a tratti tagliato, dello straordinario lavoro di ricerca svolto da Elke per Il Tempio della Ninfa, lavoro che potete leggere per intero ovviamente sul sito e che davvero merita, come sempre.. :)


Saffo nacque ad Ereso, nell’isola di Lesbo,intorno all’anno 640 a.C.
Ebbe tre fratelli. Seguì la famiglia in esilio in Sicilia, ma poté in seguito tornare in patria, a Mitilene, dove fondò il tìaso. Tale gruppo era destinato, secondo le ipotesi più accreditate, ad istruire le fanciulle di agiata condizione riguardo alle arti, alle buone maniere e al ruolo femminile che le donne greche erano costrette e interpretare.
Alcune fonti riportano il matrimonio di Saffo con un certo Cercila di Andro, ma probabilmente questa è una notizia fittizia inventata da commediografi successivi, in quanto Cercila viene da kerkos “pene”, e andros significa “uomo”. Tuttavia, il fatto che Saffo abbia sposato “pene da uomo”, potrebbe simboleggiare che essa, semplicemente si unì ad una parte maschile, sotto forma di Amante in carne ed ossa, del quale non era importante il nome ma il ruolo, oppure sotto forma di Amante interiore, che bilanciasse la sua dolce natura femminile. Ebbe anche una figlia, che chiamò come sua madre, Cleis.
Da un frammento si evince che la poetessa visse fino ad un’età avanzata. Negli anni della vecchiaia, si innesta la leggenda del suo amore infelice per il giovane Faone “il luminoso”.
Costui avrebbe inizialmente ricambiato l’amore di Saffo, ma poi si sarebbe rivolto a bellezze più fresche, provocandole un enorme dolore, per allontanare il quale ella si sarebbe gettata dall’alto della rupe Leucade, la rupe bianca, fra i flutti.
D’altra parte essendo Faone appartenente alla cerchia di Afrodite, forse come paredro che ciclicamente muore e rinasce, anche quest’amore finito in tragedia potrebbe essere un fraintendimento successivo.
Sulla rupe Leucade pare sorgesse un santuario di Apollo, e si credeva che gettandosi dall’altro di quelle rocce a picco sul mare, i sopravvissuti si sarebbero profondamente purificati e liberati da un amore senza futuro. La prima, infatti, che compì quest’azione fu proprio Afrodite, la protettrice di Saffo, per purificarsi in seguito alla morte di Adone. Nell’Odissea la rupe Leucade è posta lungo la strada che porta alle Isole dei Beati.
Il salto fra i frutti rappresenta forse un atto purificatorio, una sfida a sé stessi, un balzo nell’ignoto che tanto spaventa l’uomo. Colui che sopravvive a questa prova si libera dell’amore semplicemente umano, variabile e limitato nel tempo, potendo forse conoscere quello imperituro che può essere trovato fra le dolci braccia della “Bianca Dea”.

Non aggiungo altro perché il brano che ho riportato è già talmente ricco che direi basta e avanza per questo piccolo bloggino..ma vorrei far notare come quella di cui abbiamo appena letto fosse, per la mitologia antica, la Verginità. Era inviolabilità della libertà personale della Donna, sacralità di un tempio personale, il corpo, da donare a chi la Donna desiderava. Una donna che risponde solo agli Dei ed all'Amore.

"Eros che scioglie le membra
nuovamente mi scuote,
dolceamara invincibile belva..."

domenica 16 giugno 2013

Saffo, e molte altre, nel giro illusorio del Tempo che non esiste

"Eros ha scosso la mia mente
come vento che giù dal monte
si abbatte sulle querce."


Eros ha scosso la mia mente. Ti ho visto, dopo tanto tempo, dopo pochi attimi, in un momento eterno, e il battito del mio cuore ha preso a rimbombare.. per due incredibili secondi la tua carezza sulla mia pancia..la mia sulla tua guancia.. gli occhi verdi e quelli marroni si sono incontrati e tutti i nostri giri immensi, i nostri secoli insieme, gli universi dell'anima attraversati per mano.. sono passati di li'.
Eros ha scosso tutto ciò che sono, Una ed Integrata in quei due secondi più che in anni a cercare di integrarmi..

Come vento. Nel Respiro del mondo il nostro Respiro, più profondo per quei due secondi di immensa Verità. Il nostro Respiro insieme perfettamente connesso col Respiro della Dea in quei due secondi. Un vento impercettibile, dall'imbattibile forza, che scuote così come pervade.

Che giù dal monte si abbatte sulle querce. Queste nostre rispettive vite attuali ci hanno provato, spesso.. e come querce, giovani e forti seppur in modo differente e attraverso scelte differenti, siamo diventati. Soli, insieme e lontani, in una piccola valletta tanto assolata quanto esposta alle frustate dell'acqua quando piove. Ed Eros come incontenibile vento è sceso e si è abbattuto, un'onda su di noi che col suo Respiro ci fa Risuonare come solo il vento sa far cantare le fronde degli alberi.

Vento sulle querce, si abbatte su di me e scuote, e vibro perché sono Viva come lo sei tu.
Due secondi. L'eternità.

giovedì 13 giugno 2013

donne dududu 10: Saffo

Vieni da Creta a questo sacro tempio
dove cresce per te un amabile bosco
di meli e dagli altari si leva
fumo d'incenso,

e di la' dai rami dei meli sussurra
un fresco ruscello, ovunque s'allarga
ombra di rose, da mormoranti fronde
stilla sopore,

il prato delle cavalle
è in germoglio di fiori primaverili,
dolce soffia la brezza...

...

cingiti qui della tua benda, Cipride,
in coppe d'oro con un lieve gesto
versa nettare divino mescolato alla festa.


nessuno sa quasi nulla di certo su Saffo, figuriamoci io. Tutto ciò che scrivo viene da alcune letture a dalla mia fantasia, forse intuizione, forse speranza, forse da un antico e arcano sapere che si palesa a brevi lampi quando dormo..
così anche se vi sembrerà di sentirmi parlare con sicurezza, sappiate che le mie sono solo le sciocche illazioni di una donna che sogna..
Poetessa, la prima che si ricordi nella storia, e donna.
Osannata quanto Omero, a differenza di lui mise l'intimità dell'amore e della vita personale, piccola e quotidiana, in primo piano, al posto di guerre, grandi eventi ed eroi epici.
Nobile, ma esiliata.
Data in sposa ad un uomo, dal quale ebbe anche una figlia, cantò decisamente più le donne, oppure la bambina, che non suo marito od altri uomini.
Sacerdotessa, sicuramente secondo me, alla guida di una congrega di donne e ragazze.
Donna fragile, capace di sentimenti delicatissimi, ma fortemente consapevole di sé stessa e del proprio valore.
Quindi, di nuovo, una diversa è quella di cui scrivo qui.
Stavolta nessuna infanzia povera, Saffo appunto era nobile. Ma il tempo era di certo un altro, era un tempo in cui, a volte, la nobiltà aveva ancora un qualche significato, anche esoterico, aveva ancora valore, e pure qualche regola di vita e comportamento.
Fu in virtù della sua nobiltà, della non necessità di sposarsi prestissimo e lavorare in casa, oltre che chiaramente di una predisposizione, che Saffo fu probabilmente iniziata a dei Segreti che in gran parte noi abbiamo perduto, come abbiamo perduto la stragrande maggioranza dei suoi versi, bruciati con la mitica biblioteca di Alessandria.
Anche questo, la rarità dei suoi scritti, insieme al dolore struggente della perdita degli altri, contribuisce a renderla irraggiungibile, ma eternamente viva..ad aspettarci nel bosco di meli vicino al ruscello.. non posso non sorridere all'idea di quanto antica e universale sia Avalon..come le altre Sacerdotesse, come La que sabe, come la Donna di un milione di anni, anche Saffo aspetta che ci ricordiamo di lei, di loro e di noi stessi..

"Come una dolce mela rosseggia alta sul ramo
alta sul ramo più alto: non l'hanno vista i coglitori."
"Oh sì, l'hanno vista, ma non hanno potuto raggiungerla."

domenica 2 giugno 2013

café muller, Pina Bausch

è già giugno, il tempo per parlare di lei sarebbe finito..ma gli ultimi giorni sono stati frenetici e non ce l'ho fatta..vi posto un pezzettino di "Café Muller"..che mi ha commosso quasi..



come spesso succede nella vita..i protagonisti cadono e sbagliano e si perdono di continuo, nella frenesia di vivere, nella frenesia di muoversi, di fare, di ottenere risultati, fino allo sfinimento..non importa più ciò che davvero dovrebbe avere più valore, i propri corpi insieme, le proprie anime abbracciate..
inizialmente c'è qualcosa, qualcuno che ci costringe a fare una serie di azioni che a noi non verrebbero spontanee. poi non serve nemmeno più l'agente esterno, nel video la terza persona, non serve più perché abbiamo talmente interiorizzato quello schema che lo ripetiamo da soli, e continuiamo a ripeterlo convinti che sia nostro, che siamo noi.. uscire da quel circolo distruttivo e terrorizzante forse è davvero la chiave di tutto..

venerdì 17 maggio 2013

giovedì 16 maggio 2013

dance, dance otherwise we are lost



Pina Bausch diede una mano nell'attività di famiglia da piccola, e da li' iniziò ad osservare le persone, i loro modi di fare, di muoversi, di esprimere le loro emozioni e nevrosi, le loro stranezze, l'armonia di alcuni, i tic di altri..finché mantengono la loro pura integrità, finché sono radicati in se' stessi e sentono se' stessi radicati con ogni creatura, tutti i bambini sanno per istinto che non dovrebbe esserci scissione ne' in se' stessi ne' nei rapporti col resto del mondo, perché ogni creatura è parte della Madre più grande, come ogni parte di noi è nello stesso Corpo. Ma ad un certo punto anche i bambini iniziano ad acquisire la traumatica consapevolezza che questa "interezza" è qualcosa di spesso rifiutato dagli adulti, in primis dai genitori. Perciò anche i bimbi diventano consapevoli e iniziano a controllarsi e controllare. Pina, figlia di una famiglia povera, probabilmente dovette cozzare contro una realtà piuttosto dura già da piccola. Molti ballerini sono tali perché oltre che amare la danza amano controllare il proprio corpo. Anche per Pina probabilmente ci fu una componente del genere, all'inizio. Ma poi avvenne qualcosa. Chissà cosa mosse questa donna a smetterla di "controllare" troppo, ed a smettere di farlo fare a coloro che lavoravano con lei. Qualcosa di tribale e selvaggio è entrato nelle creazioni della coreografa, ed ha scosso con coraggio ed energia uno stile tanto bello quanto "calcolato". Pina ha preso i suoi danzaTTori ed ha detto loro "ballate quello che sentite". Usando tutto, anche la voce, anche gli elementi come l'acqua o gli oggetti, anche i gesti inaspettati, anche la recitazione. Tutto è espressione, ed ogni ballerino butta fuori ciò che sente, ciò che è. Tutti accompagnati, affiancati dall'ampia visione della coreografa, che tira le fila con Amore e senza imporsi o giudicare ma con la forza e la chiarezza dell'esperienza e della genialità.

Perciò bisogna ballare, ballare, altrimenti si è perduti. Perché in questo modo di danzare c'è tutta la persona, chi balla così balla ciò che è ed è ciò che balla. Non si può smettere di ballare se non si vuole smettere di essere completamente se' stessi, se non si vuole perdere qualcosa di se'.

mercoledì 8 maggio 2013

donne dududu9: Pina Bausch

" Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti, ma ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza parole, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare.
A questo punto coincia la danza."



eccola qua, Philippina. Che vita incredibile gente.
Una bambina poverissima, che lavora fin da quando è piccola. Zero possibilità, zero occasioni. Stimoli pochi, se non quelli che nascono dentro a se' stessa. Ma sono abbastanza, sono tantissimi, valgono una vita intera. A quindici anni ebbe una piccola, singola, umilissima occasione, la colse ed il suo volo durò per tutta la vita.
Pina cambiò tutto perché unì il balletto, storicamente elegante, etereo e muto, al teatro ed alla parola, poi prese questa miscela e la diede in pasto ai suoi ballerini, o meglio ai suoi danzattori, e chiese loro di masticarla e metterci del proprio. Unì la rappresentazione alla realtà, e ne ricavò il DanzaTeatro. I ballerini di Pina facevano lo spettacolo insieme a lei, esprimevano le proprie emozioni con tutto quello che avevano, corpo voce oggetti di scena.
La vita, la danza. Tutto è Uno. Quello che molti di noi nel proprio percorso arrivano a capire, o che cercano in se' stessi come una illuminazione o come l'esito di un lungo cammino, Pina lo capì e lo espresse con il DanzaTeatro. Forza e delicatezza, potenza e fragilità, urla e sussurri, musica e solitudine. Un soffio, un salto, una macchia sfuggente che riempie il vuoto. Una bambina sperduta, una donna coraggiosa, un corpo che si spinge al limite, un corpo che muore di cancro a 68 anni. Tutto insieme, tristezza e felicità, dolore e amore, lutti e gioie sfrenate, tutto mescolato, tutto integrato in una cosa sola. La Vita.

venerdì 3 maggio 2013

Intervista a Demetra

prendo il post da I fiori neri di Artemisia, il blog di Lu che potete linkare qui a fianco. Lo copio paro paro, perché è talmente incredibile che mi ha fatto scendere le lacrime, e vorrei condividerlo con chi magari legge qui ma non legge (ancora) il suo spazio..ma credo che dopo questo darete un occhio al suo blog più spesso :)



La bambina è protetta. La camera di vetro blindato non lascia trapelare alcuna voce dall’esterno. La porta è stata chiusa con la chiave. Carta e penna restano sulla scrivania bianca in attesa: si attende che lei adempia alla sua missione. La piccola prende due piccole scatole con gli spilli per i fogli e li inghiotte tutti. Poco dopo agita le braccia sul vetro e rimette sangue. Comincia a scrivere.

Intervista a Demetra

Tra le onde brune che corrono sulla riva, una testa di donna. Capelli bruni lunghi come fronde di sargasso. Si ferma allo scoglio di fronte e, con la semiluna tra le mani, guarda perplessa le macchine fotografiche, i microfoni e le cravatte che pendono tristi dal collo sudato dei giornalisti. Rigorosamente vietato il flash, in spiaggia le guardie hanno controllato ogni cameraman.

- Gentilissima Demetra, ci perdoni se l’abbiamo convocata per questa intervista…
- Non avrà di che pentirsene…
- Soltanto domande accuratamente selezionate dai nostri esperti di mitologia….
- No, non guardi così, deve ammettere che lei è una creatura mitologica, non esiste veramente.

La sirena lascia cadere la coda in acqua. Uno spruzzo d’acqua arriva sulla faccia stupita dell’uomo.

- Se fossi più di una creatura che prende la vita in prestito da un umano, secondo voi sarei venuta fin qui dagli abissi per un’intervista? Nossignori, avrei di meglio da fare.

Il giornalista si aggiusta il collo della camicia e con tono conciliante,

- Ci perdoni, immaginiamo i suoi affari. Chissà quanto velieri da assediare con il canto...

Lei interrompe ridendo. Una risata forte squillante che inizia e finisce confondendosi con il brusio dell’oceano.

- Ho di meglio da fare che dare la caccia a voi uomini.
- Però ammetterà che tanti uomini non fanno più ritorno quando c’è tempesta e arrivate voi sirene.
- Quando la vita è sospesa dal vento freddo, arriviamo noi. Un lavoro come un altro, accompagnare gli uomini tra le braccia della conoscenza.
- Ci perdoni Demetra, diciamo accompagnate ma in fondo voi uccidete e c’è chi dice che fate collane con il bianco degli occhi dei marinai.

La sirena sbuffa, si capisce che se si trovasse da sola con quel giornalista, gli rovescerebbe tutta la conoscenza di sé in faccia. Con tale violenza che il poveretto resterebbe folgorato; annegherebbe nel pianto di gioia. Ma no. La sirena ha promesso di collaborare, si limita a sussurrare ciottoli di verità: - Ci sono due forze nell’universo della mente. La forza rossa e quella blu. Noi ci limitiamo a cantare a ciascun umano la forza che ha allontanato da sé. Restituiamo agli umani ciò che il padre eterno ha diviso in ciascuno di loro per mezzo di quel suo schiavo degenero che chiamate diavolo. Rendiamo la totalità.
- Totalità?
- Ogni umano nasce con le due forze ma tanti pretendono di viverne soltanto una. Perché concepite sempre opposizioni e da soli non avete l’umiltà per accogliere la totalità dell’essere.
- Gentile Demetra, riconosciamo che da Aristotele in poi il pensiero occidentale ha generato dicotomie. Ma con la totalità cosa c’entra?
- Bene e male, etica e desiderio, femmina e maschio, eterosessuale e omosessuale.. Quante parole come una giostra di opposizioni. Un umano, quando sente noi, sono baci di parole che gli aprono l’anima. No, non le non ripeterò stasera perché ho garantito che farete ritorno a casa incolumi….
- Non stupitevi, Omero ve l’aveva detto: noi regaliamo piena conoscenza di sé. Parole viola, parole che rendono le due forze entrambi vive dentro un umano. Uomo o donna che sia. E quale identità può mai resistere al rosso e blu abbracciati nell’amplesso viola?
- Ci perdoni gentile Demetra, il viola è il colore del lutto…

La sirena sospira e sembra diventare triste in viso,

- Colore malfamato e temuto. Certo che avete fatto di tutto per nascondere la verità, dovreste avere pena di voi stesse. Ma dal resto, camminate sempre con una gamba sola. Rossa o blu.

Un tizio col sigaro e il panzone prominente si avvicina fin sulla spuma bianca,

- Almeno una gamba noi altri ce l’abbiamo. Voi sirene siete mezze pesci!

Le guardie intervengono per trascinarlo via. Demetra alza le braccia, apprezza la sincerità, che lasciano sulla riva l’incredulo. Non è peggio di quelli che sorridono ipocritamente.

- Il pesce è l’animale più simile a voi umani. Immerso nell’acqua. Forza rossa in movimento nel blu. La vostra mente e la vostra anima sono tra loro in relazione come il mare e il pesce. Non fatemi dire di più… perché dovete tornare a casa sani e salvi. Tutti. L’ho promesso.

Un tipetto con gli occhialini rotondi e le bretelle alza la mano.

- Mi scusi, ma perché un umano restituito alla totalità, diventato viola grazie alla vostra voce, desidera annegare?
- Perché il viola è impossibile da sostenere per voi che ragionate sempre per opposti: bellezza bruttezza, amore e opportunismo, generosità ed egoismo, etc. Non riuscite a pensare senza ricorrere agli opposti. Quando siete viola, scatta dentro di voi la lotta. L’umano viola, è instabile. Vive un’alternanza continua di fasi: un momento è blu pensiero etica e il momento dopo è rosso vibrazione ed emozione. Il blu nega il rosso e il rosso nega il blu, vi hanno insegnato a giudicare così.

I giornalisti si guardano tra loro confusi. Speravamo dicesse altro, cosa scrivere nella colonna?
Lei li guarda sconsolata,

- Un umano viola cerca di negare sempre una parte di sé. E finisce che ringrazia e annega volentieri un colore. Quando annega il rosso, l’umano diventa serio, composto, noioso anche a se stesso. Quando annega il blu, conduce una vista disastrata, spesso dedito a dissipare qualsiasi bellezza. A volte infine, l’umano viola annega entrambi i colori. Questo avviene quando nella tempesta incontra noi tra le onde e il viola ritrovato è insopportabile, lo folgora.

Una bambina pallida si avvicina a Demetra. Mostra le mani rosse di cocci di anima.

- Signora, posso venire con te?
- Io ti conosco. Tu sei l’autrice. Mi spiace, devi restare sulla spiaggia perché il mondo esista.

La bambina chiude la testa dentro le braccia e piange. Di fronte alla totalità di amore, alla luce immensa del viola – le due forze unite – lei dovrà restare a sostenere il mondo, dovrà sopportare facce indifferenti, cieche di luce, che si dichiarano pronte ad amarla, ma l’amore umano è facile concepirlo come proprietà privata. Finalmente la bimba intuisce qualcosa. Si alza e si avvicina senza paura alla sirena,

- Nessuna divisione. Totalità. Dunque può esserci vibrazione tra due persone anche nel cucinare insieme. Anche nel vedere un vecchio film in bianco e nero muto. Non è l’attività in sé, è l’energia che si libera con l’anima che sta accanto.
- La prima vibrazione è spesso gratuita, un dono, bambina mia. E’ energia sepolta che scopri dentro il ventre. Ma dopo relazionarsi tra voi…

Gli uomini si sono fatti più interessati. Si grida allo scoop: autrice e personaggio insieme.. Che foto! Che pezzo! Il tipo con il sigaro in bocca insiste:

- Sì, glielo dica lei, Demetra, che dopo il primo momento è tutta fatica per tenere in piedi uno straccio di relazione tra due persone!

Demetra sorride e stringe le mani alla bimba.

- Cara, purtroppo non è così facile. E’ difficile per voi liberarvi della tentazione alla divisione. Creature nate viola, dovete rassegnarvi a vivere continui cambi di fase. Corrente alternata. E per vivere una relazione amorosa, dovete trovare qualcuno che riesca a entrare in fase creando insieme più spesso bellezza che distruzione. Anche la creatura più dolce e rossa, può rivelarsi compagna sbagliata per un viola. Anche la creatura più lucida e brillante di blu, può rivelarsi sbagliata accanto a un viola.
- Demetra, devo dunque trovare qualcuno che, insieme con me, produca bellezza e senza che per questo nessuno di noi due abbia un merito speciale?

La sirena guarda la bambina e scuote la testa. Anche lei non comprende bene.

- Non soltanto bellezza, mia piccola amica. Anche opposizione e inferno. Ordine e disordine. Colore e cenere. Forma e sostanza…. Usa sempre anche l’opposto di quello che credi per vivere un rapporto ed evadere dalla gabbia.
- Gabbia?
- Sì, quella di vetro dove ti ha chiuso lui, questo acquario che chiama oceano. Questi pupazzi che chiama giornalisti. Lui è il blu come tu sei il rosso nel corpo d’autore che condividete.
- Anche tu sei irreale?
- No. Io vivo dalla notte dei tempi. Sono evocata da anime come la tua.

La sirena si allontana nell’acqua scura. Il messaggio è stato consegnato. L’intervista conclusa.