lunedì 31 ottobre 2011

cronache di poveri amanti


penso a questo romanzo e sorrido. Sorrido perché anche se il tempo va avanti, anche se la vita ne combina, anche se le cose cambiano, anche se io mi adatto, certe cose in me non cambiano mai. E sono felice che ogni tanto libri come questo siano come un annaffiatoio pieno versato su di me. Sul mio amore per le storie contorte, piene di gente, di casino e di passione. Sul mio stupore ogni volta che trovo qualcuno che scrive veramente bene. Sul mio rispetto misto ad ammirazione per chi pur non avendo studiato è colto, creativo, intelligente, e si migliora. E si vede. Vasco Pratolini ha lasciato gli studi prestissimo, ha svolto i mestieri più disparati, poi è stato preso sotto l'ala di Vittorini ed ha iniziato a scrivere. Quando non c'erano editor, correttori di bozze, corsi di scrittura, pubblicità martellante per vendere libri di merda, letture pubbliche, interviste televisive. No. C'eri tu col tuo talento e alcuni amici scrittori che ti davano una mano. E se andava bene, ok, altrimenti tornavi a fare qualcos'altro per mantenerti, e buonanotte al secchio. Solo per questo Pratolini merita tutto il nostro rispetto. Perché ce l'ha fatta, pur essendo incolto e senza raccomandazioni in un periodo storico in cui uscivano solo i migliori, e neanche sempre.
Ma, inutile negarlo, la gioia maggiore di questo libro sta nel fatto che ha rinvigorito (se ce ne fosse stato bisogno) il mio antifascismo. E questo va sempre, sempre bene. In tempi come questi poi. Amo i romanzi così, che parlano di fascismo e sono stati scritti con l'esperienza fascista in corso, o comunque ancora calda. Li amo perché sono veri, perché il loro comunismo è verace, dettato dal cuore molto più che dalla teoria del plusvalore, mosso dal sentimento profondo che fece asserire a Camus "per quanto sta in me, dico no". Libri che ti fanno canticchiare Bella ciao per giorni, che ti fanno accorgere di quanto schiavi stiamo diventando, noi che ci sentiamo così liberi, che ti fanno venir voglia di cercare il nonno per farti raccontare le storie di allora. Libri così sono qualcosa di assolutamente straordinario. Da leggere almeno una volta nella vita e da ricordare per sempre.

lunedì 24 ottobre 2011

la vita accanto


La mia libraia di fiducia ha letto questo libro, dopodiché ha partecipato ad una conferenza-lettura dell'autrice e le ha fatto una sola, semplice domanda:"Ma lei dov'è rimasta nascosta finora?!".
Ora che l'ho letto anch'io capisco il perché. MariaPia Veladiano non è una ragazzina, è una cinquantenne professoressa di Lettere. Ha provato a far leggere ad un pubblico qualcosa di suo solo ora (o meglio, lo scorso anno), perché "prima volevo essere sicura che fosse qualcosa di veramente buono, secondo i miei canoni". Ha partecipato al Premio Calvino "perché è l'unico concorso serio che costa poco". La giuria del Calvino inoltre è composta per buona parte da "forti lettori", e non solo da critici, letterati, o altri scrittori e professoroni vari. Questo la fa apparire ai miei occhi (e non solo ai miei) come un giuria più sincera e realista. Bene. Questo libro ha vinto. Ed è qualcosa di straordinario.
Non parlo quasi mai delle trame dei libri, chi legge ogni tanto qui sa che per sapere la trama di un libro vi affido ai motori di ricerca, non ad un blog insulso e personalissimo.
Però una cosa della trama la dico. Questa è la storia di una bambina che nasce brutta. Ma proprio brutta, bruttissima e deforme, anche se non handicappata (così non fa nemmeno pena, come recita il romanzo). Tutto il resto, tutti i dispiaceri ed i (rari) piaceri della sua vita sono filtrati, tradotti, correlati al fatto che Rebecca è disperatamente consapevole della sua bruttezza tremenda, che fa sì che la bidella a scuola si faccia il segno della croce al suo passaggio, fa sì che la famiglia non la mandi all'asilo, fa sì che le passeggiate in città per i primi anni della sua vita siano fatte di sera, sera tardi, e lungo strade dove passa meno gente possibile. Sono pochissime le persone che vogliono bene a Rebecca, perché il sentimento che lei di solito riesce ad ispirare è al meglio la pietà. Non certo l'accettazione, l'amore, l'interesse, l'affetto.
Il modo di trattare questo argomento, e di raccontare tutta la storia, è delicatissimo e partecipe, ma di una partecipazione non urlata e "pasionaria", bensì contenuta e lieve, come in punta di piedi, per non disturbare..Perché il dolore, quando è grande e declinato in molti modi, necessita spesso di rispetto, di silenzio, di empatia. E' la piccola, brutta, triste e terrorizzata Rebecca la protagonista, e lei attraversa la vita in punta di piedi, facendosi notare il meno possibile, per non dar fastidio col suo aspetto e la sua presenza. Quindi anche lo stile di scrittura è così, come lei.
Ora, secondo me una cosa è fondamentale capire quando si leggono storie dure e particolari come questa: che quando un dispiacere è grande, allora niente, NIENTE è uguale a come lo vivono gli altri.Tutto è condizionato da quel dispiacere. Penso a Sepulveda quando scrive "Il Sudamerica confina a Nord con l'odio e non ha altri punti cardinali". Penso a "Se questo è un uomo" di Levi. Penso alle volontarie della Lega Tumori, tutte delle sopravvissute. Il dolore condiziona tutta la tua vita e tutte le tue scelte. Questo lo rende sempre personale, e contemporaneamente simile a tutti gli altri dolori gravi. Quindi ti isola dal mondo e allo stesso tempo, in un certo senso, ti accomuna a molti altri.
Rebecca è nata brutta. Nella mia testa, la Veladiano ha scelto come caratteristica negativa la bruttezza per non rendere "politica" la sua storia. Leggendola, proviamo pietà, ma anche disprezzo per gli ipocriti, e poi empatia, affetto, partecipazione emotiva, sentimenti intensi. Capiamo con il cuore prima che col cervello che Rebecca è una persona degna di amore, rispetto, lealtà, e che il suo essere brutta non deve influire su questo. Ora, solo ora che ci siamo affezionati a lei, potremmo scrivere al posto della parola "brutta" anche altre parole. Come "nera". "Donna". "Disabile". "Povera". "Gay". "Straniera". "Ebrea". E altre. Ma ormai non serve più che io scriva altro per far capire a me stessa ed ai pochi coraggiosi che leggono le mie cazzate, quanto potente sia un libro così. Che senza pretese, senza ideologie, senza sparare alto, senza cercare parole o concetti troppo difficili, tratta l'argomento in assoluto più difficile della storia dell'Umanità. La tolleranza.

domenica 16 ottobre 2011

dietro la porta


Mi sono resa conto di essere vecchia, leggendo questo romanzo. Perchè il protagonista è un ragazzo di sedici anni, e come co-protagonisti ci sono altri ragazzi della sua età. Il ragazzo scopre che un altro, il quale fingeva di essergli amico, in realtà dice le cattiverie più crudeli ed assurde alle sue spalle. Fra queste innumerevoli malelingue ce ne sono alcune su sua madre, sul fatto che appaia come una donna..diciamo calda, passionale, quando la sua sola colpa è invece essere ancora bella ed essere sorridente e gentile. A questo punto il nostro protagonista si rende conto che anche i suoi genitori probabilmente fanno sesso. Dato che ha altri due fratelli, sicuramente mammina e papino sono andati a letto insieme almeno tre volte. E questa scoperta sconvolge un po' tutto il suo mondo.
Ci siamo passati tutti, a età diverse e con reazioni diverse ma sempre, almeno all'inizio, con un certo piccolo o grande stupore, e diciamocelo, anche un po' di schifo all'inizio. Dopodiché nel nostro animo abbiamo benedetto anche i nostri genitori, e lascia che scopino pure loro poveri cristi. Il motivo per cui mi sento vecchia, al di la' del fatto che i sedici anni li ho superati da un pezzo, è che mi sento impersonificata dalla madre del protagonista, una donna dolce e affettuosa che all'improvviso viene vista con ribrezzo dal figlio. Mi fa una tenerezza..Sono proprio anziana..
Comunque. Bassani scrive da dio, e il libro è asciutto e non tergiversa in lunghissime e noiose descrizioni di cose inutili o riflessioni troppo filosofeggianti. Un po' come Pirandello (anche se io preferisco, appunto, Pirandello). Questo fa sì che questo libro, che pure racconta della vita più o meno quotidiana di alcuni ragazzi di liceo nel periodo fascista, non risulti un mattone alla Cuore.
E' stupefacente leggere qual era il livello dell'istruzione allora. Soprattutto perché non puoi fare a meno di paragonarlo a quello di adesso, e di conseguenza non puoi fare a meno di fare un sospiro, metterti una mano nei capelli e pensare a quanto gradualmente stiamo diventando delle capre, di generazione in generazione.
Ancora, quasi mi commuovo a leggere di questi adolescenti che di sesso non sanno niente, o di quelli fidanzati in casa, con tanto di anello e visite serali alla morosa nel salotto buono con mamma e papà che assistono all'intero incontro. Non è che ho gli impeti nostalgici, anzi ovviamente quelli che mi stanno più simpatici fra tutti i personaggi del libro sono i due pluriripetenti che sono degli abituées dei due bordelli della città. Però provo tenerezza a vedere questa "innocenza", questa ingenuità che sono sicuramente esagerate e causate da un bigottismo (si dice così?) odioso, ma sono comunque dolci, in un certo qual modo.
La nostalgia invece la sento eccome a leggere di questi ragazzi che girano Ferrara in bicicletta, che sono sinceramente felici a farsi una bella partita a calcio in un cortile, che leggono con passione Salgari e Kipling, che si trovano insieme a fare i compiti. Mi piace tutto questo. Mi piace più dei motorini, dei videogames, di YouTube, dei film di Twilight. Mi piace che a sedici anni si sia spaventati all'idea di crescere e di affrontare il mondo, e non perché si è dei tonti mammoni ma perché ci si rende conto di quanto effettivamente il suddetto mondo sia grande, difficile e cattivo, e quindi se ne ha una giusta paura.
Mi piace che, nonostante tutto, quando la mamma ti chiama e ti dice "allora, me lo vieni a dare un bacio?!", anche a sedici anni si scenda e la si abbracci.
Lo so, me lo sono detto da sola, sono vecchia. Ma tant'è.

venerdì 14 ottobre 2011

noi che ci vogliamo così bene


Marcela Serrano racconta le donne. In questo suo primo romanzo come in tutti gli altri, che ho letto ed amato uno per uno.
Ci sono anche gli uomini in questo romanzo, ed alcuni sono anche delle figure positive, ma è impossibile non capire che sono solo dei gregari, e che le donne, come sempre per lei, sono le vere, uniche, meravigliose, indiscusse protagoniste.
Donne diverse. Ognuna con una storia, ognuna con un carattere, alcune coraggiose altre per niente, alcune ipocrite altre sincere e ribelli, alcune armate, alcune innamorate.
Donne in fondo uguali. Tutte con almeno un segreto, perché non esiste donna che non ne abbia almeno uno. Tutte con una vita difficile, pur magari in modi diversi. Tutte con in comune una patria, il Cile, che è sempre co-protagonista nei racconti della Serrano.
Il Cile di Allende e di Pinochet, il Cile della paura e della lotta, il Cile degli esiliati e dei giornali clandestini. Un Cile dai sapori e valori contrastanti, come tutti i paesi sudamericani che hanno conosciuto il marxismo e la lotta armata negli ultimi sessant'anni, e come tutti gli altri pieno di dolore e di passione, un Cile solidale e crudele.
Le storie di quattro amiche che si rivedono dopo anni si intrecciano alle storie delle loro amiche, sorelle, cugine.
Il tempo c'è, ma non è così importante. Il tempo è tendenzialmente maschilista. E' più generoso con gli uomini, mentre lo donne ce l'hanno spesso contro: contro la loro bellezza, contro la loro capacità di fare figli, contro le loro mille incombenze quotidiane, contro la loro possibilità di crescita professionale. Forse è anche per questo che gli eventi narrati si intrecciano così, da una pagina all'altra da un paragrafo all'altro si salta da un episodio del mese scorso ad uno di dieci anni fa, così come si salta dal racconto di vita di una donna a quello di un'altra. Se il tempo ci bistratta, si disinteressa a noi ed ai nostri tempi interiori,allora anche noi freghiamocene un po' di lui.
Il femminismo è profondo, intenso, impossibile da evitare. Non è mica così ovvio, solo perché le protagoniste sono donne e l'autore pure, che uno scritto sia femminista nel senso più intimo, non di propaganda (a parte che, di questi tempi, mi piacerebbe anche se fosse propaganda, se ce ne fosse un po'). Non è così ovvio che leggendo tu sia portata a fermarti e pensare che, cazzo, è vero, perfino gli spazi delle abitazioni sono progettati pensando agli uomini come detentori del potere; cazzo, è vero, ancora spessissimo si vedono donne sacrificare se' stesse (lavorativamente, intellettualmente, sessualmente, socialmente) per degli uomini che non notano quanto sia arduo lavorare, mandare avanti una casa, allevare dei figli, mantenersi belle e interessanti per il marito, risolvere i problemi quotidiani che si presentano continuamente, gestire le piccole grandi crisi di tutta la famiglia (dimenticando o non vedendo le proprie), fare in modo che tutto funzioni senza che nemmeno si noti; cazzo, è vero, ancora adesso le donne spesso non sono capaci di dire ad un uomo cosa vogliono a letto, e si accontentano del sesso fatto male; cazzo è vero, una donna in carriera viene sempre guardata con sospetto; cazzo è vero, una donna che viaggia da sola fa strano. E potrei andare avanti.
E c'è l'amore. In tutte le sue forme. Amicizia, amore materno, amore di coppia, monogamo o poligamo. Amore che fa male, sempre e comunque tutte le volte, anche se regala gioie enormi a volte, e fa scoprire parti impreviste di noi. Amore che raramente dura, ma che lascia tracce eterne. Perché è inutile, non puoi farne a meno, qualsiasi sia la forma nella quale lo vivi. E se qualche volta, o magari spesso, paghi un prezzo gravissimo per il tuo amore, alla fine va bene. Non dico che se ne esca sempre, dai debiti. Dalla depressione come dal fuoco. Dalla paura come dall'abitudine. I modi di pagare sono tanti, e non è detto che si riesca a pagare tutto il dovuto e poi ricominciare. A volte si resta invischiati. Però, lo ripeto, va bene.
Mi fa perdere l'equilibrio, Marcela Serrano. Letteralmente, scivolo e barcollo in dubbi, pensieri tristi e pericolosi per la mia anima già instabile, inciampo in paure che credevo più o meno sopite, se non superate, arranco in un labirinto di incertezze come se stessi facendo dieci piani di scale, mi trovo col culo per terra pensando a gente alla quale non ripensavo da un pezzo..la costante indagine nella femminilità della Serrano ha risvegliato tutti i miei lati femminili, anche i più difficili da gestire e apprezzare. Che casino. E' tutta la mattina che, per ritrovare un minimo di centro (se sapessi mai cos'è un centro, e dov'è...), ascolto Frank Sinatra, per darmi un po' di puro testosterone.
Leggetelo, leggeteli tutti perché sono uno meglio dell'altro. E procuratevi un cd di Frank.

giovedì 13 ottobre 2011

di nuovo marcela..


"Sarò anche una puttana, coglioni, ma non fatevi illusioni, perché mai nella mia vita farò la puttana con uno di voi."


Geniooooooooooooo...............

marcela serrano


"E loro, credono di essere esonerati dalla paura? Si sentono meno in pericolo?"
"Neanche per sogno! Il pericolo esiste per tutti, fantasie o no, e proviene dalle parti più recondite del nostro essere."

domenica 9 ottobre 2011

povera piccina


La biografia corredata di numerose fotografie di Belle Poitrine, attrice di cinema e teatro, ballerina, cantante, donna di mondo, stella della vita culturale americana dagli anni venti fino a dopo la seconda guerra mondiale..dice lei. In realtà una donna gretta, egoista, attaccata solo al potere ed al denaro, ignorante come nessuna e furba anche se apparentemente scema, e soprattutto una delle più grandi puttane della storia del mondo.
Tu inizi a ridere alla pagina uno, e finisci un tantino dopo aver concluso la lettura del libro. Il personaggio migliore di Patrick Dennis rimane probabilmente zia Mame, almeno per me, ma pure questa donna è una trovata straordinaria. Tutto quello che le capita nella vita, ed il suo modo assurdo e divertentissimo di affrontare gli eventi, tutte le sue convinzioni da megalomane, tutte le sue interpretazioni di feroci critiche come se fossero sinceri complimenti, tutta la falsità con cui riveste la propria vita, tutte sono trovate straordinarie. E sotto, fra una risata e l'altra, ti accorgi che Dennis sì ha giocato di fantasia, sì ha esagerato, ma si è ispirato a persone che tutto sommato, con le dovute differenze, esistono eccome. Tutti conosciamo qualcuno più o meno così.
Egoisti. Arroganti. Venali. Menefreghisti verso tutto ciò che è fuori di loro. Bugiardi. Incapaci di amare per la maggior parte della vita, o forse per tutta. Disinteressati a qualsiasi ideale che non sia il proprio profitto. Vi viene in mente qualcuno, sì? Leggendo il romanzo, tu senti una certa amarezza pensando alla cattiveria di questa allucinante donna, e soprattutto pensando al fatto che non è poi così irreale. Ma l'autore è talmente creativo, tagliente, sarcastico, sveglio da farti ridere di gusto per tutto il tempo, leggendo le peripezie di Belle, la Povera Piccina. Il merito di Patrick è proprio quello di farti impazzire dalle risate mentre racconta la vita di quel mostro di donna che farebbe venire la pelle d'oca per l'orrore, in se' e per se'.
Mi viene da pensare che, forse, questo è un buon modo di affrontare la gente così. Certo, non quando combinano qualcosa di veramente grosso, ma per quanto riguarda i comportamenti meno "gravi", ma quotidiani e iper fastidiosi di questa gente, forse la soluzione è davvero ridere loro addosso. Pensare a quanto sono dei ridicoli falliti. Non ha importanza se nella realtà pratica sono persone di successo, o ricche e famose, non importa se sono il tuo capo, un tuo parente, l'ex della persona che ti piace, o ancor peggio l'Ufficiale della persona che ti piace. Non importa se sono la persona in fila con te alla Posta o quella che viene in libreria e chiede "ma precisamente cosa sarebbe un romanzo?", non importa se sono critici d'arte o cassiere stronze di supermercato. Sono così insopportabili che la sola cosa che puoi fare per sopravvivere loro è fingere che siano personaggi di Patrick Dennis. Ridicoli.
Una risata li seppellirà.

venerdì 7 ottobre 2011

la bottega del caffé


Goldoni mi piace perché mi fa sentire bene.
Primo, è divertente, di quel sarcasmo settecentesco e veneto che forse, da veneta, apprezzo particolarmente. E' tagliente e mai volgare, è allegro e non banale. E già solo questo non sarebbe poco.
Secondo, anche le storie che sembrano semplici hanno sempre qualche trovata che non ti aspetti, qualche colpo di scena, qualche intervento che ti sorprende. E non è mica così ovvio, dato che Goldoni ha scritto nel 1700, per noi che ci consideriamo tanto smaliziati, "gente che la sa lunga e le ha viste tutte". Ma per carità...
Terzo, mi piace scoprire che da alcuni detti, abbreviazioni, motti di allora derivano parole che usiamo oggi, e credevamo fossero nate più o meno così mentre una volta avevano diverso significato e diversa scrittura.
Quarto, essendo teatro i personaggi sono caratterizzati, pur essendo in parte dei "tipi", e queste loro caratteristiche, questi loro modi di essere ti fanno inevitabilmente immaginare le loro facce, i loro vestiti, il tono della loro voce..e chi un po' mi conosce sa che adoro sentire i personaggi come degli amici.
Quinto, c'è uno straccio di lieto fine. Ma non di quelli che non stanno ne' in cielo ne' in terra, assurdi e svenevoli. Le storie raccontate sono tutto sommato comuni e quindi finisci per crederci, che potrebbe davvero finire bene, non solo nella fantasia. Sì è vero, c'è un po' di buonismo da borghesi del Settecento. Sì è vero, nella vita vera di solito non va così bene. Sì è vero, i "cattivi" vincono sempre, non come qui nel libro. Però.
Goldoni è uno scrittore del Settecento. Non ha visto due guerre mondiali e l'Olocausto. Non era ancora arrivato Berlusconi al governo. Non c'era internet che ti spiattella tutte le risposte e le brutture del mondo. Non ha letto dei libri orrendi che vengono venduti come capolavori. Siamo all'alba della nascita dei diritti umani, c'era ancora la tortura nel Settecento è vero, ma prima che "nascessero" i diritti umani non erano nate nemmeno barbarie come quelle che vediamo oggi. Non aveva ancora vissuto l'incattivirsi della borghesia. Insomma, ci credeva nel lieto fine. Ci credeva che le cose potessero funzionare per il meglio. Ci credeva che i buoni potessero avere una possibilità. Ci credeva che i cattivi vengono puniti, prima o poi.
Perciò mi viene da crederci anch'io. Perché no? Perché almeno qualche fottuta volta non potrebbe funzionare? Se lo dice Goldoni, a me piace.
E se anche non succede, leggerlo scritto così semplicemente, così bene, così sinceramente, in modo così divertente, è una favola.

sabato 1 ottobre 2011

il coperchio del mare


Banana Yoshimoto non delude mai. Con quello stile di scrittura inconfondibile, sempre delicato, pacato, elegante, intenso. Alcuni scrittori, come lei, non avrebbero nemmeno bisogno che fosse scritto il loro nome sulla copertina del libro. Basta che tu legga dieci righe e capisci che sono loro. Adoro.
La storia in se' è semplice, senza grandi sconvolgimenti o emozioni. Ma le profondità che raggiunge sono abissali, pur senza tanti discorsi filosofici. La profondità che percepisci nelle descrizioni di una natura amata davvero, col corpo prima ancora che con il cuore e la mente. La profondità che percepisci nella dolcezza con cui si affrontano temi come la gestione del lutto, ma anche l'effetto che l'avidità e la globalizzazione fatta male hanno sui paesi ed i loro abitanti. La profondità che percepisci dall'analisi dei caratteri e stati d'animo delle protagoniste, e della loro amicizia.
Un'amicizia che nasce per imposizione, si sviluppa in fretta, fiorisce in un'estate, ed è di quelle che non si spezzeranno mai più. Un'amicizia che sa di amore, c'è poco da fare.
Nel libro come nella vita ci si mette un po' a capirlo (almeno io ci ho messo un po'). Anche se con una persona senti quell'intesa ai limiti della telepatia, quell'affetto che a volte neanche i fratelli, quel divertimento che non smetti un attimo di ridere, quelle sensazioni che sono inequivocabilmente amore, non significa che devi per forza averci una relazione, con questa persona. Penso che in certi casi, se invece che come amicizia si fosse sviluppato come relazione, quel rapporto non sarebbe stato affatto così profondo e sincero. Perché se la persona che hai davanti è tua amica, non stai a mascherarti per apparire migliore, non pensi a omettere dai tuoi racconti le cose imbarazzanti o che potrebbero ferire l'altro, non pensi a dimostrare niente. Sei tu, al cento per cento. Forse sono le relazioni migliori queste. Che ti frega del sesso, degli ormoni o della gelosia. Che ti frega di dover rendere conto di dove vai, con chi sei, come ti vesti. Che ti frega di dire ti amo. Che ti frega di fare la divisione dei beni.
Non voglio sminuire l'amore di coppia, assolutamente. Dico che l'amicizia, se è così, non solo non ha nulla da invidiare all'amore, ma ha da insegnare.
Le due protagoniste di questo gioiello di libro sono anime gemelle e sono perfette insieme. Perché sono come sono, l'una con l'altra. Perfette come il più perfetto dei boccioli di ciliegio. Ce ne ho messo a capirlo. Ma ora che l'ho capito, me lo tengo stretto come un tesoro prezioso.