sabato 29 novembre 2014

Colei che abbatte

Sicuramente per motivi autobiografici stasera mi stanno uscendo dei pensieri che non mi erano mai venuti in mente, riguardo alla nostra strega del mare. Il fatto che alcune idee ci mettano molto tempo ad affiorare alla coscienza, non significa affatto che esse debbano essere giuste, o particolarmente acute.. ma dato che questa rubrica mi serve a tirare fuori dalle fiabe dei significati più o meno nuovi e che possano funzionare, ma assolutamente senza pretese di correttezza.. beh, non vedo perché non scrivere una interpretazione magari sbagliata, ma che funziona per me.
Dunque la sirenetta è cresciuta con una nonna che le insegna un solo stile di vita, pur raccontandole tutto ciò che conosce dell’altro mondo. Questo fa onore alla nonna, ma non toglie il fatto che quando la sirenetta manifesta il sogno di andarsene e cambiare vita, le viene detto, in buona sostanza, che sarebbe completamente scema e sbaglierebbe in pieno, a farlo. La sirenetta, che ci tengo a ricordarlo non possiede la bambola-istinto di Vassilissa, ne’ la tutela bonaria dei sette Nani come Biancaneve, la sirenetta dicevo prende e si reca da Colei che rappresenta ciò che sua nonna non è. La strega è cattiva e violenta, ma ti da ciò che desideri, non te lo nega trattandoti come una eterna bambina incapace di decidere. Almeno così pare.
La strega infatti, non si rivela una iniziatrice che, a suo modo, Ascolta e Insegna. La vecchia di questa storia dice “ah per me fai un po’ quello che ti pare. Comunque la tua idea fa schifo e ti porterà solo dolore. Ecco qua il modo per ottenerla. Paga e vattene” Non chiede alla sirena cosa significano i suoi sogni e desideri, non le chiede perché si sente così inquieta, non la accompagna lungo il suo cammino.
E, ancora peggio, le taglia la lingua. Quando la sirenetta effettivamente soffrirà a causa delle proprie scelte, non potrà dire una parola. Parafrasando questa cosa, non si potrà lamentare, perché sarà senza lingua e la strega “glielo aveva detto”. Se fai qualcosa che quelli più vecchi ed esperti di te definiscono un errore, puoi farlo, ci mancherebbe, ma non hai più il diritto di parlare.


Quindi, stasera, questa strega del mare mi ricorda molto da vicino qualcuno.. qualcuno che dice “fai tutto quello che ti pare, ma la gioia, l’amore, il piacere ti saranno negati se lo farai, e non potrai nemmeno lamentarti, o gridare, ma nemmeno cantare e ridere forte perché anche se avrai dei momenti di felicità (i giorni sereni della ragazza con il principe) ti costeranno continue pene e difficoltà (i piedi che sanguinano) e, alla fine, sarai umiliata e non avrai ottenuto nulla (il principe sposa un'altra). E non avrai nessun diritto di lamentarti o di urlare a tutti chi sei. Ah, e volevo anche aggiungere che mi stai proprio sulle palle.”
Il punto, qual è? Che tutto ci suggerisce che, di fatto, la strega abbia ragione. Alla sirena vanno tutte storte, e avrebbe dovuto capire che sarebbe stato così, nel momento in cui avesse scelto di rifiutare il proprio corpo, di amare qualcuno che non era in grado di amarla per ciò che era davvero, di far dipendere la propria felicità da lui e non da se’ stessa, di inseguire qualcosa troppo al di la’ delle proprie possibilità. La strega ci azzecca quando dice quel mucchio di cose orrende. E perciò inizialmente pensavo.. beh se la strega ha ragione allora la sirenetta ha torto. E va bene anche se la strega ha quel modo totalmente pessimista, crudele, sbrigativo e votato a ferire gratuitamente : il fatto che la strega dispensi solo negatività è subordinato al fatto che ha ragione su quello che accadrà.


Ma.
Sarà un finale alla cattolica, d’accordo, ma è innegabile che la sirena approda ad un finale di gioia e gloria, che ne’ la strega, ne’ la nonna, ne’ le sorelle, ne’ il principe, ne’ lei stessa, avevano previsto o anche solo immaginato. E’ innegabile che, quando la sirenetta ritrova la vera se’ stessa pur riconoscendo che ha fatto delle scelte sbagliate, e quindi accoglie il perdono e la pietà e l’abbandono (per il principe, e per se’ stessa), in quel momento Rinasce nella felicità.. allora forse la strega se la può ficcare dove dico io, tutta la sua negatività. Può tenersi le proprie cattiverie dette solo per distruggere le aspettative di gioia di coloro che si trova di fronte. Fanculo il suo pessimismo e pure il suo realismo gretto e crudele. La strega non dice “percorrere questa Strada è difficile e spesso doloroso, ma è la Strada giusta”. Non dice “devi morire ma rinascerai”. Non dice “mangerò quello che sei adesso, ma ti sto insegnando a difenderti e ad usare tutto quello che hai”. No. Questa toglie all’Anima (la sirenetta) ciò che lei ha, le predice una serie di sfighe e non si preoccupa di insegnare, di adattare il proprio insegnamento a Colei che ha di fronte. Non si preoccupa di Ascoltare. Non si preoccupa di far Vedere che oltre allo schifo, alla paura, alla morte, ci sono la potenza, il coraggio, la vita. E allora, anche se ha ragione, e anche se offre la Pozione alla sirenetta, non sono tanto sicura che la aiuti a Crescere ed a diventare Sovrana. Forse davvero la sirena ha fatto bene, comunque, a provarci, e la strega ha completamente tradito il proprio ruolo perché ha usato la propria conoscenza per fare boriose "predizioni del futuro" invece che per Insegnare.
Quindi, per concludere questo post incazzato e contorto, torno ad usare un mio vecchio ma sempre valido epiteto: VAFFANCULO, brutta strega.

lunedì 10 novembre 2014

tremate tremate 5: la Strega del Mare

Quanti mesi senza scrivere.
La vecchia storia che quando sei felice sei meno creativo, in parte forse è vera per me. O forse, semplicemente quando passi nottate bellissime a fare l'amore non puoi contemporaneamente scrivere al computer. O ancora, quando guardi una persona così Bella da farti venire l'asma, pensi "ma che cazzo vuoi che mi metta a scrivere qualcosa di anche vagamente decente, quando davanti agli occhi, nella realtà, ho Questo?". Mah. Fatto sta che mi scuso per l'assenza e torno a scrivere anche volentieri, pur rimanendo felice e innamorata.
Ora basta divagare che qui c'è un nuovo personaggio (forse) archetipico di cui capisco gran poco.
L’interpretazione infatti, e con essa la comprensione del ruolo della strega del mare, mi è risultata difficilissima. Ma mi sono stufata di rimuginare a caso.
Ho provato a leggere alcuni altri testi che potessero aiutarmi.. l’interpretazione psicanalitica data alla fiaba da Mariagrazia Crema, che in parte mi convince ma in parte a dirla tutta no. Una breve biografia di Andersen, che offre una lettura interessante della storia, ma ragazzi mi rifiuto di pensare che uno come Andersen abbia semplicemente voluto nascondere la sua vita da represso nelle proprie fiabe.. voglio pensare che dentro ci siano degli archetipi buoni per tutti, non solo per l’autore.
Ho letto una versione a tratti speculare di questa fiaba, che si intitola IL PESCATORE E LA SUA ANIMA, di Oscar Wilde. Pure questa, di una tristezza unica.
Perché è giusto che sia così. Perché se rinunci a ciò che sei andrà a finire male. Il pescatore rinuncia alla propria anima, per amore dice. Ma che Amore è quello di qualcuno che dice “ti amo solo se annulli la tua anima”? La sirenetta rinuncia alla propria corporeità ed al proprio mondo, per stare con uno che, pur essendo un brav’uomo, non può amarla per ciò che lei realmente è. Ma si ritrova a non essere amata comunque, nemmeno per ciò che non è, in quanto avendo rinunciato al suo lato femminile e acquatico, ha perso ogni potere seduttivo e viene amata come una sorella. Nell'acqua era riservata e schiva, ma con una volontà di ferro, sulla terra si ritrova a dormire fuori dalla stanza di un uomo, su un cuscino, come un cane.
Entrambi, il pescatore e la sirenetta, perdono l’oggetto del proprio amore e muoiono.
Mi sono spaccata la testa pensando al serpente, che un po’ come la sirenetta “cambia pelle” per rinascere ad un aspetto nuovo, ma il serpente resta sempre tale mentre lei a mio avviso no.
Allora ho pensato alle Anguane, a come anche loro quando si innamorano possono prendere l’aspetto di esseri umani.. ma loro, in tutte le storie, possono sempre tornare ad assumere forma di serpente, o di altro animale spesso anfibio.. possono sempre andare e venire dal proprio Mondo al nostro, senza stare in una sola forma.. tantomeno una forma che non è la propria.


Insomma. In tutto questo peregrinare di idee, e non solo queste.. la domanda chiave, per quello che tratto in questa rubrica, è comunque un'altra: la Strega, che mi significa? Le ipotesi, nella mia testa e nelle teste delle persone che ho coinvolto in assurde conversazioni su questa fiaba che se qualcuno ci sentiva chiamava l’esorcista, le ipotesi dicevo sono state le più diverse.
C’è chi sostiene che la strega del mare abbia un ruolo negativo perché fa di tutto per impedire alla sirenetta di fare ciò che vuole, di inseguire il proprio amore.
C’ è chi dice che la strega sia buona ma poco potente: prova in tutti i modi ad avvertire la protagonista del pericolo mortale che corre, ma non riesce nel proprio intento ed alla fine è costretta a lasciare che la giovane sirena vada incontro al proprio destino.
C’è chi la vede come un personaggio che, come qualsiasi Traghettatore, richiede un obolo e poi fa ciò che viene richiesto, pur dicendo la sua.
C’è chi la vede come una maestra, durissima ma pur sempre maestra.
C’è chi vede in lei una Saggezza antichissima ed assolutamente imparziale. La strega del mare come Colei che Sa, che dice la Verità ma non la influenza in alcun modo.

Provando a pensare a quello che non è..direi che non è una usurpatrice (ruolo impersonato dalla strega di Biancaneve) dato che non è interessata ad uccidere la sirenetta per appropriarsi della sua Sovranità ed essere "la più bella". Non è iniziatrice come Baba Jaga, dato che nemmeno per poco tiene l'inizianda con se', ma la lascia al proprio destino, pur dandole alcuni strumenti dolorosi quanto essenziali.

Tra le quattro che abbiamo provato ad analizzare in questo blog, restano la strega di Hansel e Gretel e la Tredicesima Fata. E secondo me c'è un po' di entrambe, in questa strega acquatica che cucina una Pozione di Cambiamento e allo stesso tempo prevede, perentoria, la morte della protagonista, per poi semplicemente uscire di scena.

E poi, altre domande..ad esempio: questo personaggio tratta con tutti, sirene, esseri umani, altre creature marine..di ognuno ha preteso il Bene più prezioso, e di ognuno ha conosciuto il Dolore..dolore sia per la perdita del suddetto bene offerto in pagamento, sia per l'eventuale fallimento dei propri intenti, sia per la cattura e la morte ad opera dei tentacoluti sgherri di questa strega. Ora. Non so bene come spiegarmi questa cosa, ma la Strega che offre Conoscenza e Cambiamento si nutre dell'Eccellenza e contemporaneamente del Dolore degli altri..non posso non pensare che le cose siano collegate, anche se non riesco a capire come..

Altre domande arriveranno.. Risposte? Mah..non ne ho mai date molte, qui come nella mia vita..perciò temo che nemmeno stavolta sarà diverso..ma speriamo che il viaggio, a voi come a me, piaccia lo stesso.

la sirenetta

In mezzo al mare l'acqua è azzurra come i petali dei più bei fiordalisi e trasparente come il cristallo più puro; ma è così profonda che un'anfora non potrebbe raggiungere il fondo. Laggiù abitano le genti del mare, e nel punto più profondo si trova il castello del re del mare. Il re del mare era vedovo da molti anni, ma la sua vecchia madre governava la casa, una donna intelligente, molto orgogliosa della sua nobiltà. Aveva grandi meriti, soprattutto perché voleva molto bene alle piccole principesse del mare, le sue nipotine. Erano sei graziose fanciulle, ma la più giovane era la più bella di tutte, dalla pelle chiara e delicata come un petalo di rosa, gli occhi azzurri come un lago profondo; ma come tutte le altre non aveva piedi, il corpo terminava con una coda di pesce. Per tutto il giorno potevano giocare nel castello, nei grandi saloni. Fuori dal castello vi era un grande giardino con alberi color rosso fuoco e blu scuro. La terra stessa era costituita da sabbia finissima, azzurra come lo zolfo ardente. E una strana luce azzurra avvolgeva tutto. Quando il mare era calmo si poteva vedere il sole: sembrava un fiore color porpora dal cui calice sgorgava tutta la luce. Ogni principessa aveva una piccola aiuola nel giardino, in cui poteva piantare i fiori che voleva; una di loro diede alla sua aiuola la forma di una balena; un'altra preferì che assomigliasse a una sirenetta; la più giovane la fece rotonda come il sole e vi mise solo fiori rossi come lui. Era una bambina strana, molto tranquilla e pensierosa; le altre sorelle decorarono le aiuole con le cose più bizzarre che avevano trovato tra le navi affondate, lei invece, oltre ai fiori rossi che assomigliavano al sole, volle avere solo una bella statua di marmo, raffigurante un giovane scolpito in una pietra bianca e trasparente, che era arrivata fin lì dopo qualche naufragio. Vicino alla statua piantò un salice piangente di color rossiccio, che crebbe splendidamente ripiegando i suoi freschi rami sul giovane fino a raggiungere il suolo di sabbia azzurra.
Non c'era per lei gioia più grande che sentir parlare del mondo degli uomini sopra di loro; la vecchia nonna dovette raccontare tutto quanto sapeva delle navi e delle città, degli uomini e degli animali. «Quando compirete quindici anni» disse la nonna «avrete il permesso di affacciarvi fuori dal mare, sedervi al chiaro di luna sulle rocce e osservare le grosse navi che navigano; vedrete anche i boschi e le città.» L'anno dopo la sorella più grande avrebbe compiuto quindici anni, ma le altre... già, avevano tutte un anno di differenza tra loro, e la più giovane doveva aspettare cinque anni prima di poter risalire il mare e vedere come viviamo noi uomini. Tra sorelle si promisero che si sarebbero raccontate le cose più significative che avrebbero visto durante il loro primo viaggio.
La prima volta che le sorelle uscirono dall'acqua, restarono incantate per le cose nuove e magnifiche che avevano visto, ma ora che erano cresciute e avevano il permesso di salire quando volevano, erano diventate indifferenti, sentivano nostalgia di casa, e dopo un mese dissero che presso di loro c'erano in assoluto le cose più belle e che era molto meglio stare a casa. Quando le sorelle, di sera, a braccetto, salivano sul mare, la sorellina più piccola restava tutta sola e le osservava; sembrava che volesse piangere, ma le sirene non hanno lacrime e per questo soffrono molto di più.


Finalmente compì quindici anni.«Adesso sei grande anche tu!» disse la nonna. «Vieni! Lascia che ti adorni, come le tue sorelle» e le mise una coroncina di gigli bianchi sui capelli, ma ogni petalo di fiore era formato da mezza perla; poi la vecchia fissò sulla coda della principessa otto grosse ostriche, per mostrare il suo alto casato.«Ma fa male!» disse la sirenetta.«Bisogna pur soffrire un po' per essere belli!» rispose la vecchia. Oh! Come avrebbe voluto togliersi di dosso tutti quegli ornamenti e quella pesante corona! I fiori rossi della sua aiuola la avrebbero adornata molto meglio, ma non osò cambiare le cose. «Addio!» esclamò, e salì leggera come una bolla d'aria attraverso l'acqua.Il sole era appena tramontato quando affacciò la testa dall'acqua, tutte le nuvole però ancora brillavano come rose e oro; nel cielo color lilla splendeva chiara e bellissima la stella della sera; l'aria era mite e fresca e il mare calmo. C'era una grande nave con tre alberi. La sirenetta nuotò fino all'oblò di una cabina e ogni volta che l'acqua la sollevava, vedeva attraverso i vetri trasparenti molti uomini ben vestiti; il più bello di tutti era però il giovane principe, con grandi occhi neri: non aveva certo più di sedici anni e compiva gli anni proprio quel giorno. I marinai ballavano sul ponte e quando il giovane principe uscì, si levarono in aria più di cento razzi che illuminarono a giorno. La sirenetta si spaventò e si rituffò nell'acqua, ma poco dopo riaffacciò la testa e le sembrò che tutte le stelle del cielo cadessero su di lei.
Era ormai tardi, ma la sirenetta non seppe distogliere lo sguardo dalla nave e dal bel principe. Le luci variopinte vennero spente, i razzi non vennero più lanciati in aria, non si sentirono più colpi di cannone, ma dal profondo del mare si sentì un rombo, la nave prese velocità, le vele si spiegarono una dopo l'altra, le onde si fecero più grosse, comparvero grosse nuvole e da lontano si scorsero dei lampi. Sarebbe venuta una terribile tempesta! La nave scricchiolava terribilmente, le assi robuste cedevano sotto quei forti colpi, l'acqua colpiva la carena, l'albero maestro si spezzò come fosse stato una canna; la nave si piegò su un fianco, e l'acqua subito la riempì. Allora la sirenetta capì che erano in pericolo, lei stessa doveva stare attenta alle assi e ai relitti della nave che galleggiavano sull'acqua. Per un attimo fu talmente buio che non riuscì a vedere nulla, quando poi lampeggiò divenne così chiaro che riconobbe tutti gli uomini della nave; ognuno se la cavava come poteva; lei cercò il principe e lo vide scomparire nel mare profondo, proprio quando la nave affondò. Al primo momento fu molto felice, perché lui ora sarebbe sceso da lei, ma poi ricordò che gli uomini non potevano vivere nell'acqua, e che anche lui sarebbe arrivato al castello di suo padre solo da morto. Nuotò tra le assi e i relitti della nave, si immerse nell'acqua e risalì tra le onde finché giunse dal giovane principe.
Al mattino il brutto tempo era passato; della nave non era rimasta traccia, il sole sorgeva rosso e risplendeva sull'acqua; fu come se le guance del principe riacquistassero colore, ma gli occhi rimasero chiusi. La sirena lo baciò sulla bella fronte alta e carezzò indietro i capelli bagnati, e desiderò con forza che continuasse a vivere. Poi vide davanti a sé la terra ferma, alte montagne azzurre sulla cui cima la bianca neve risplendeva; lungo la costa si stendevano bei boschi verdi e proprio lì davanti si trovava un convento. Aranci e limoni crescevano nel giardino e davanti all'ingresso si alzavano delle palme; il mare disegnava lì una piccola insenatura. Lei nuotò là col suo bel principe, lo posò sulla sabbia e si preoccupò che la testa fosse sollevata e rivolta verso il caldo sole. Suonarono in quel momento le campane di quel grande edificio bianco, e molte ragazze comparvero nel giardino. Allora la sirenetta si ritirò nuotando, dietro alcune alte pietre, e aspettò che qualcuno andasse dal povero principe. Non passò molto tempo e una fanciulla si avvicinò, andò a chiamare altra gente, e la sirena vide che il principe tornò in vita e sorrise a quanti lo circondavano, ma non sorrise a lei, perché non sapeva che era stata lei a salvarlo. Si sentì molto triste e quando lo ebbero portato dentro quel grande edificio, si reimmerse dispiaciuta nell'acqua e tornò al castello del padre.


Se era sempre stata calma e pensierosa, ora lo fu molto di più. Le sorelle le chiesero che cosa avesse visto la prima volta che era stata lassù, ma lei non raccontò nulla.Per molte volte al mattino e alla sera, risalì fino al punto in cui aveva lasciato il principe. Alla fine non resse più, raccontò tutto a una sorella, e così anche le altre ne furono subito al corrente, ma poi nessun altro fu informato, eccetto poche altre amiche che pure non lo dissero a nessuno se non alle loro amiche più intime. Una di loro sapeva chi fosse quel principe, sapeva da dove veniva e dov'era il suo regno «Vieni, sorellina!» dissero le altre principesse, e risalirono il mare fino al punto in cui si trovava il castello del principe. Ora lei sapeva dove abitava il principe e vi tornò per molte sere, nuotava molto vicino alla terra, come nessun altro aveva osato fare, risaliva addirittura lo stretto canale fino alla magnifica terrazza di marmo che gettava una grande ombra sull'acqua. Qui si metteva a guardare il giovane principe, che credeva di trovarsi tutto solo al chiaro di luna. Gli uomini le piacevano ogni giorno di più, e sempre più spesso desiderava salire e stare con loro: pensava che il loro mondo fosse molto più grande del suo. C'erano tante cose che le sarebbe piaciuto sapere, allora le chiese alla nonna che conosceva bene quel mondo di sopra. «Se gli uomini non affogano» chiese la sirenetta «possono vivere per sempre? Non muoiono come facciamo noi?» «Certo» rispose la vecchia. «Anche loro devono morire e la lunghezza della loro vita è più breve della nostra. Noi possiamo arrivare fino a trecento anni, quando però non viviamo più diventiamo schiuma dell'acqua, non abbiamo una tomba tra i nostri cari; non abbiamo un'anima immortale e non vivremo mai più. Gli uomini invece hanno un'anima che continua a vivere, vive anche dopo che il corpo è diventato terra; sale attraverso l'aria fino alle stelle lucenti!»
«Perché non abbiamo un'anima immortale?» chiese la sirenetta tutta triste «io darei cento degli anni che devo ancora vivere per essere un solo giorno come gli uomini e poi abitare nel mondo celeste!»
«Non devi neanche pensare queste cose!» esclamò la vecchia. «Noi siamo molto più felici e stiamo certo meglio degli uomini.»
«Allora io devo morire e diventare schiuma del mare e non sentire più la musica delle onde, o vedere i bei fiori e il sole rosso! Non posso fare proprio nulla per ottenere un'anima immortale?» «No» rispose la vecchia. «Solo se un uomo ti amasse più di suo padre e di sua madre, e tu fossi l'unico suo pensiero e il solo oggetto del suo amore, e se un prete mettesse la sua mano nella tua con un giuramento di fedeltà eterna; solo allora la sua anima entrerebbe nel tuo corpo e tu riceveresti parte della felicità degli uomini. Egli ti darebbe un'anima, conservando sempre la propria. Ma questo non potrà mai accadere. La cosa che qui è così bella, la coda di pesce, è considerata orribile sulla terra. Non capiscono niente; per loro bisogna avere due strani sostegni che chiamano gambe, per essere belle!»
La sirenetta sospirò guardando la sua coda di pesce. «Stiamo allegre!» disse la vecchia. «Saltiamo e balliamo per i trecento anni che possiamo vivere; non è certo poco tempo! Poi ci riposeremo più volentieri nella tomba. Stasera c'è il ballo a corte.» Quello era uno spettacolo meraviglioso che non si vede mai sulla terra! La sirenetta cantò meglio di tutte, e tutti le batterono le mani, per un istante si sentì felice, perché sapeva di avere la voce più bella sia sul mare che sulla terra! Ma subito tornò a pensare al mondo che c'era sopra di loro; non riusciva a dimenticare quel bel principe e il suo dolore per il fatto di non possedere, come lui, un'anima immortale. Uscì in silenzio dal castello del padre e andò a sedersi nel suo giardinetto. Allora pensò: “ Voglio fare qualunque cosa per conquistare lui e un'anima immortale! Andrò dalla strega del mare, ho sempre avuto tanta paura di lei, ma forse mi potrà consigliare e aiutare!”.
La sirenetta uscì dal suo giardino e si avviò verso il torrente ribollente, dietro il quale abitava la strega. Non aveva mai percorso quella strada; non vi crescevano né fiori né erba, solo un fondo di sabbia grigia si stendeva verso il torrente, dove l'acqua, che sembrava spinta dalle ruote del mulino, girava come un vortice e inghiottiva tutto quel che poteva afferrare. Lei dovette passare in mezzo a quei vortici tremendi per arrivare nel territorio della strega, e qui c'era da attraversare una vasta pianura bollente, che la strega chiamava la sua torbiera. Oltre la torbiera si trovava la sua casa, in mezzo a un bosco orribile. Tutti gli alberi e i cespugli erano polipi, per metà bestie e per metà piante: sembravano centinaia di teste di serpente che crescevano dal terreno, tutti i rami erano lunghe braccia vischiose, con le dita simili a vermi ripugnanti, che si muovevano in ogni loro parte, dalle radici fino alla punta più estrema. Si avvolgevano intorno a tutto quel che potevano afferrare e non lo lasciavano mai più. La sirenetta si fermò spaventatissima; il cuore le batteva forte per la paura, stava per tornare indietro, ma pensò al principe e all'anima degli uomini, così le tornò il coraggio. Legò per bene i lunghi capelli svolazzanti, affinché i polipi non riuscissero a afferrarli; mise le mani sul petto e partì passando come un pesce guizzante nell'acqua, tra gli orribili polipi, che allungavano i vischiosi tentacoli verso di lei. Vide ciò che ognuno di essi aveva afferrato, centinaia di tentacoli trattenevano le prede come tenaglie di ferro: uomini che erano morti in mare e caduti sul fondo si affacciavano come bianchi scheletri tra i tentacoli; remi di imbarcazioni e casse erano tenuti stretti, scheletri di animali e persino una sirenetta che avevano catturato e soffocato. Questa vista fu per lei la più spaventosa! Poi giunse in un'ampia radura di fango nel bosco, dove grossi serpenti di mare si rivoltavano mostrando i loro orribili denti gialli. Nel mezzo si trovava una casa fatta con le bianche ossa di uomini calati sul fondo; lì stava la strega del mare e lasciava che un rospo mangiasse dalla sua mano. Quegli orribili grossi serpenti di mare erano chiamati «pulcini» dalla strega che lasciava le strisciassero sui grossi seni cadenti.«So bene che cosa vuoi!» disse la strega del mare «sei proprio ammattita! Comunque il tuo desiderio verrà soddisfatto, perché ti porterà sventura, mia bella principessa! Vuoi liberarti della tua coda di pesce e ottenere in cambio due sostegni per camminare come gli uomini, così che il giovane principe si innamori di te e tu possa ottenere un'anima immortale!» La strega rideva così sguaiatamente che il rospo e i serpenti caddero a terra e lì continuarono a rotolarsi. «Arrivi appena in tempo!» riprese. «Domani, una volta sorto il sole non potrei più aiutarti e dovresti aspettare un anno intero. Ti preparerò una bevanda, ma con questa devi nuotare fino alla terra, salire sulla spiaggia e berla prima che sorga il sole. Allora la tua coda si dividerà e si trasformerà in ciò che gli uomini chiamano gambe. Soffrirai come se una spada affilata ti trapassasse. Tutti quelli che ti vedranno, diranno che sei la più bella creatura umana mai vista! Conserverai la tua aggraziata andatura, nessuna ballerina sarà migliore di te, ma a ogni passo che farai, sarà come se camminassi su un coltello appuntito, e il tuo sangue scorrerà. Se vuoi soffrire tutto questo, ti aiuterò! Ma ricordati» aggiunse la strega «una volta che ti sarai trasformata in donna, non potrai mai più ritornare a essere una sirena! Non potrai più discendere nel mare dalle tue sorelle e al castello di tuo padre; e se non conquisterai l'amore del principe, cosicché lui dimentichi per te suo padre e sua madre, dipenda da te per ogni suo pensiero e chieda al prete di congiungere le vostre mani rendendovi marito e moglie, non avrai mai un'anima immortale! e se lui sposerà un'altra, il primo mattino dopo il matrimonio il tuo cuore si spezzerà e tu diventerai schiuma dell'acqua!» «Lo voglio ugualmente!» disse la sirenetta, che era pallida come una morta.«Però mi devi ricompensare!» aggiunse la strega «e non è poco quello che pretendo. Tu possiedi la voce più bella tra tutti gli abitanti del mare, e credi con quella di poterlo sedurre; ma la voce la devi dare a me. Io voglio ciò che tu di meglio possiedi per la mia preziosa bevanda! Devo versarci del sangue, affinché il filtro sia tagliente come una spada a due lame!»«Se mi prendi la voce» chiese la sirenetta «che cosa mi resta?»«La tua splendida persona, la tua armoniosa andatura e i tuoi occhi espressivi, con questo riuscirai certo a conquistare il cuore di un uomo. Allora! hai perso il coraggio? Tira fuori la lingua così te la taglio; è il pagamento per quella potente bevanda!»«Va bene!» esclamò la sirenetta, e la strega mise sul fuoco la pentola per far bollire la bevanda magica. «La pulizia è un'ottima cosa!» disse mentre strofinava la pentola con alcune serpi legate insieme, poi si tagliò il petto e fece gocciolare il suo sangue nero, e il vapore assunse forme molto strane che facevano proprio paura.«Eccola qui!» disse la strega e tagliò la lingua alla sirenetta, che ora era muta e non poteva più né cantare né parlare.«Se i polipi volessero afferrarti, mentre passi di nuovo attraverso il mio bosco» spiegò la strega «getta una goccia di questa bevanda su di loro e le loro braccia e dita si romperanno in mille pezzi.» Ma la sirenetta non ebbe bisogno di farlo; i polipi si allontanarono spaventati da lei non appena videro quella bevanda lucente che teneva in mano come fosse una stella luminosa. Così passò in fretta per il bosco, per la palude e per il torrente che ribolliva. Vide il castello di suo padre, le luci erano spente nella grande sala da ballo; certamente tutti dormivano, e lei comunque non avrebbe osato cercarli: ora era muta e doveva andarsene per sempre. Le sembrò che il cuore si spezzasse per il dolore. Andò in silenzio nel giardino e prese un fiore da ogni giardinetto delle sorelle; gettò con le dita mille baci verso il castello e salì per il mare blu.


Il sole non era ancora sorto quando vide il castello del principe. La luna splendeva meravigliosa. La sirenetta bevve allora il filtro infuocato, e subito fu come se una spada a due lame le trafiggesse il corpo delicato; svenne e rimase distesa come morta. Quando il sole spuntò all'orizzonte, si svegliò e sentì un dolore lancinante, ma proprio davanti a lei stava il giovane principe, bellissimo, che la fissava con i magnifici occhi neri, così lei abbassò i suoi e vide che la sua coda di pesce era sparita e ora possedeva le più belle gambe bianche che mai nessuna fanciulla aveva avuto. Ma era tutta nuda e così si avvolse nei suoi capelli. Il principe le chiese chi fosse e come fosse arrivata fin lì, lei lo guardò dolcemente e tanto tristemente coi suoi occhi azzurri: non poteva parlare. Lui la prese per mano e la portò al palazzo. A ogni passo le sembrava, come la strega le aveva detto, di camminare su punte taglienti e su coltelli affilati, ma sopportò tutto volentieri, e tenendo il principe per mano salì le scale leggera come una bolla d'aria e sia lui che gli altri ammirarono la sua armoniosa andatura. Ricevette costosi abiti di seta e di mussola, era la più bella del castello, ma era muta, non poteva né cantare né parlare. Il principe le disse che sarebbe dovuta rimanere per sempre con lui e le diede il permesso di dormire fuori dalla sua stanza su un cuscino di velluto. Fece preparare per lei un costume da amazzone, affinché potesse accompagnarlo a cavallo. La sirenetta si arrampicò col principe sulle alte montagne, e nonostante i suoi piedi sanguinassero a tal punto che anche gli altri se ne accorsero, lei ne rideva e lo seguì fino a dove poterono vedere le nuvole spostarsi sotto il loro. Quando al castello di notte gli altri dormivano, lei andava alla scalinata di marmo e si rinfrescava i piedi doloranti immergendoli nell'acqua fresca del mare, e intanto pensava a coloro che stavano nelle profondità marine. Una notte giunsero le sue sorelle a braccetto, cantarono tristemente, nuotando sulle onde, lei le salutò con la mano e loro la riconobbero e raccontarono quanto li avesse resi tristi. Da quella volta tutte le notti le facevano visita, e una notte vide, lontano, la vecchia nonna, che da molti anni non era più salita in superficie, e il re del mare, con la corona in testa; tesero le braccia verso di lei, ma non osarono avvicinarsi alla terra come le sue sorelle.
Ogni giorno il principe le voleva più bene, la amava come si può amare una cara fanciulla, ma non pensava certo di renderla regina. “Non vuoi più bene a me che a tutti gli altri?” sembrava chiedessero gli occhi della sirenetta, quando il principe la prendeva tra le braccia e le baciava la bella fronte.«Sì, tu sei la più cara di tutte!» diceva il principe «perché hai un cuore che è migliore di tutti gli altri, poi mi sei molto devota, e assomigli tanto a una fanciulla che vidi una volta, ma che sicuramente non troverò mai più. Ero su una nave che affondò, le onde mi trascinarono a riva vicino a un tempio dove servivano molte fanciulle; la più giovane mi trovò sulla spiaggia e mi salvò la vita, la vidi solo due volte; è l'unica persona che potrei amare in questo mondo, e tu le assomigli, e hai quasi sostituito la sua immagine nel mio animo. Lei appartiene al tempio e per questo la mia buona sorte ti ha mandato da me; non ci separeremo mai.»
“Oh, lui non sa che sono stata io a salvargli la vita!” pensò la sirenetta, e intanto sospirava profondamente, poiché non poteva piangere. “Ma quella ragazza appartiene al tempio, ha detto il principe, e non verrà mai nel mondo, non si incontreranno mai più, e io sono vicino a lui, lo vedo ogni giorno, avrò cura di lui, lo amerò e gli sacrificherò la mia vita!” Un giorno si venne a sapere che il principe si doveva sposare con la bella principessa del reame confinante. Il principe sarebbe andato a visitare il regno vicino, così si diceva, ma in realtà era per vedere la figlia del re. Ma la sirenetta scuoteva la testa e rideva; conosceva il pensiero del principe molto meglio degli altri. «Sono costretto a partire» le aveva detto «devo incontrare quella bella principessa; i miei genitori lo vogliono, ma non mi costringeranno a portarla a casa come mia sposa. Non lo voglio! Non posso amarla, non assomiglia alla bella fanciulla del tempio, come le somigli tu. Se mai dovessi scegliere una sposa, allora prenderei te, mia trovatella muta con gli occhi parlanti!» E le baciò la bocca rossa, le carezzò i lunghi capelli e posò il capo sul suo cuore, che sognò una felicità umana e un'anima immortale. Il mattino dopo la nave entrò nel porto della bella città del re vicino. Ogni giorno ci fu una festa. Balli e ricevimenti si susseguirono, ma la principessa non c'era ancora, abitava molto lontano, in un tempio, dissero, per imparare tutte le virtù necessarie a una regina. Finalmente un giorno arrivò. «Sei tu!» esclamò il principe «tu che mi hai salvato quando giacevo come morto sulla costa!» e strinse tra le braccia la fidanzata, che era arrossita. «Oh, sono troppo felice!» disse alla sirenetta. «La cosa più bella, che non avevo mai osato sperare, è avvenuta! Rallegrati con me, tu che mi vuoi così bene tra tutti!» E la sirenetta gli baciò la mano, ma sentì che il suo cuore si spezzava.


La sirenetta, vestita di seta e d'oro, reggeva lo strascico, ma le sue orecchie non sentivano quella musica gioiosa, i suoi occhi non vedevano quella sacra cerimonia: pensava alla sua morte e a tutto quel che avrebbe perso in questo mondo. La sera stessa gli sposi salirono a bordo della nave, i cannoni spararono, e le bandiere sventolarono; in mezzo alla nave era stata montata una tenda reale fatta d'oro e di porpora, con cuscini sofficissimi, su cui la coppia di sposi avrebbe dovuto dormire in quella quieta e fredda notte.
Sapeva che quella era l'ultima sera in cui vedeva colui per il quale aveva lasciato la sua gente e la sua casa, per il quale aveva rinunciato alla sua bella voce, per il quale aveva sofferto ogni giorno tormenti senza fine. Guardò verso il profondo mare e verso il cielo stellato: una notte eterna senza pensieri né sogni la aspettava, poiché non aveva un'anima, né poteva ottenerla. Calò il silenzio sulla nave, solo il timoniere era sveglio al timone; la sirenetta pose le bianche braccia sul parapetto e guardò verso est, per vedere il rosso dell'alba. Allora vide le sue sorelle spuntare fuori dal mare, erano pallide come lei, i loro lunghi e bei capelli non si agitavano più nel vento, erano stati tagliati.«Li abbiamo dati alla strega, perché ti venisse a aiutare affinché tu non muoia questa notte. Allora ci ha dato un coltello; eccolo! vedi com'è affilato? Prima che sorga il sole devi infilzarlo nel cuore del principe; quando il suo caldo sangue bagnerà i tuoi piedi, questi riformeranno una coda di pesce e tu ridiventerai una sirena e potrai gettarti in acqua con noi e vivere i tuoi trecento anni prima di morire e diventare schiuma salata. Fai presto! O tu o lui dovete morire prima che sorga il sole! Uccidi il principe!»
La sirenetta sollevò il tappeto di porpora della tenda e vide la bella sposina dormire col capo sul petto del principe, si chinò verso di lui e gli baciò la bella fronte, guardò verso il cielo dove la luce dell'alba si faceva sempre più intensa, guardò il coltello affilato e poi fissò di nuovo gli occhi del principe, che in sogno pronunciò il nome della sua sposa; solo lei era nei suoi pensieri, e il coltello tremò nella mano della sirena. Allora lo gettò lontano tra le onde, che brillarono rosse dove era caduto. Ancora una volta guardò con lo sguardo spento verso il principe; poi si gettò in mare e sentì che il suo corpo si scioglieva in schiuma. Il sole sorse alto sul mare, i raggi battevano caldi sulla gelida schiuma e la sirenetta non sentì la morte, vedeva il bel sole e su di lei volavano centinaia di bellissime creature trasparenti; attraverso le loro immagini poteva vedere la bianca vela della nave e le rosse nuvole del cielo, la loro voce era una melodia così spirituale che nessun orecchio umano poteva sentirla; così come nessun occhio umano poteva vederle. Volavano nell'aria senza ali, grazie alla loro stessa leggerezza. La sirenetta vide che aveva un corpo come il loro, e che si sollevava sempre più dalla schiuma. «Dove sto andando?» chiese la sirenetta, e la sua voce risuonò come quella delle altre creature, così spirituale che nessuna musica terrena poteva riprodurla. «Dalle figlie dell'aria!» le risposero. «Le sirene non hanno un'anima immortale e non possono ottenerla se non conquistando l'amore di un uomo! La loro esistenza immortale dipende da una forza estranea. Anche le figlie dell'aria non hanno un'anima immortale, ma possono conquistarne una da sole, tramite le buone azioni. Se per trecento anni interi continuiamo a fare tutto il bene che possiamo, otteniamo un'anima immortale e possiamo partecipare all'eterna felicità degli uomini. Tu, povera sirenetta, lo hai desiderato con tutto il cuore; anche tu, come noi, hai sofferto e sopportato, e sei arrivata al mondo delle creature dell'aria: ora puoi compiere delle buone azioni e conquistarti un'anima immortale fra trecento anni!»
La sirenetta sollevò le braccia trasparenti verso il sole del Signore e per la prima volta sentì le lacrime agli occhi. Invisibile baciò la sposa sulla fronte, sorrise al principe e salì con le altre figlie dell'aria su una nuvola rosa che navigava nel cielo.

domenica 8 giugno 2014

Le tredici Lune, Luisa Francia

Alla festa erano invitate le tredici fate.

La prima entrò, portò la tempesta di vento e disse:

“ Ho visto la viltà e le oppongo lo sdegno.”

La seconda fata portò con sé pioggia e disse:

“ Ho visto la violenza e le oppongo il potere”.

La terza fata portò neve e disse:

“ Ho visto la confusione e le oppongo risate”.

La quarta fata portò gelo e disse:

“Ho visto la menzogna e le oppongo la forza di trasformazione”.

La quinta fata portò ghiaccio e disse:

“ Ho visto il tradimento e gli oppongo l’ispirazione”.

La sesta fata entrò, portò pietre e disse:

“ Ho visto l’odio e gli oppongo il sapere”.

La settima fata spalancò la porta, portò con sé i raggi della luna e disse:

“Ho visto la stupidità e le oppongo la responsabilità”.


Entrò l’ottava fata, portò la luce del sole e disse:

“ Ho visto la distruzione e le oppongo il piacere”.

Con una risata leggera la nona fata aprì la porta e parlò:

“ Ho visto la durezza e e le oppongo il fluire delle acque”.

La decima fata fece irruzione attraverso la porta e parlò:

“ Ho visto la paura e porto con me la danza”.

L’undicesima fata entrò e disse:

“ Ho visto l’invidia e le oppongo la tenerezza”.

La dodicesima fata entrò e parlò:

“ Ho visto la malattia e le oppongo la musica”.

Infine entrò la tredicesima fata e tutte si sedettero a un grande tavolo a forma di triangolo.

“ Ho visto la sottomissione, ovunque “ disse la tredicesima fata alle sue sorelle. “

E ora è tempo di contrapporle la libertà”.

mercoledì 4 giugno 2014

Solo nel Morire..

Il Re e la Regina appartengono ad un Mondo che fa le cose sempre allo stesso modo. Con i loro dodici piatti d’oro, sanno accogliere soltanto le fate che sono abituati a conoscere, e non fanno nulla per adattarsi all’arrivo di una nuova Entità. Non trovano niente di meglio da fare che evitare di chiamarla.
Quando Rosaspina riceve la condanna a morire per la puntura di un arcolaio, il padre prova ad eliminarli tutti, invece che insegnarle a gestire il pericolo, facendole imparare ad usare il fuso per esempio. Egli, come molti padri (per esempio il mio) vorrebbe che la figlia rimanesse sempre una bambina innocente dipendente da lui, e per proteggerla prova ad escludere dalla loro vita tutto ciò che ai suoi occhi potrebbe creare problemi. Naturalmente non ci riesce, nessuno ci riesce. Perché noi siamo programmati per essere imperfetti ed avere vite imperfette, e anche perché alcuni di noi hanno un talento particolare per incasinarsi. Ma non divaghiamo.
La Tredicesima fata è offesa per non essere stata invitata, ed ha ragione cazzo. Lei intuisce che il mancato invito significa un rifiuto da parte dei Genitori del Dono che Lei ha da offrire alla Bambina Sacra. Perché, diciamocelo, ormai cominciamo a capire che i sovrani lo sapevano quello che la Tredicesima Fata avrebbe portato con se’.. la sola cosa che essi non possono esperire, che non conoscono direttamente, e che quindi non comprendono appieno ne’ concepiscono.. perciò ne sono spaventati, e reagiscono a modo loro. Come dei vecchi genitori, con vecchi metodi. Provano a far finta che quella fata non esista, e poi con la scusa che non hanno gli strumenti per gestirla, provano a non farla entrare.
Ma la Fata sa che il proprio Dono è irrinunciabile. Questo Dono renderà la Bambina diversa dai genitori, diversa da tutto il mondo dal quale proviene. Non migliore o peggiore, ma diversa. E questa diversità potrebbe essere lo scintillio della Vita come noi la conosciamo. Perché gli Elfi se ne dovevano andare da Valinor. Perché Vassilissa se ne deve andare dalla propria casa, e Biancaneve, e Hansel e Gretel. Perché Lyra se ne deve andare dal Jordan College di Oxford. Perché Adamo ed Eva se ne dovevano andare dall’Eden. Perché Bastian deve allontanarsi dallo sgabuzzino della scuola e dalla propria quotidianità. Perché tutti noi, per trovare la Verità, dobbiamo andare via. Per diventare grandi. Tutti noi, per essere Liberi, dobbiamo lasciare quello che sembra, o magari effettivamente è, un mondo perfetto.


Ma come si fa ad andarsene da un luogo che perfetto lo è davvero, perché è la Terra degli Dei? Come potrebbe la bellissima, virtuosa, intelligente, dolce Rosaspina, scegliere di abbandonare il Regno dove è nata? Serve, come in tutte le storie, Qualcosa o Qualcuno che faccia accadere l’imprevisto, o che faccia conoscere alla Bambina Sacra ciò che si trova Fuori. I Grimm, o chi inventò la storia prima di loro, scelgono di personificare l’Imprevisto stesso. Di dargli il volto fatato di una creatura indomabile, incontenibile, rapidissima e apparentemente insensibile. La strega di questo mese non è la Donna Selvaggia, non è l’Iniziatrice, non è l’Usurpatrice, non è la Madre amorevole.. Ma che nome darle allora?
Smettiamola di girarci intorno, questo personaggio incredibile porta con se’, parafrasando J.K.Rowling, “i Doni della Morte”. Quella Morte che, come abbiamo più volte visto nel corso di questi studi sulle streghe, è sempre il miglior modo per mettere in risalto la Vita. Quella morte che, quando viene affrontata dalla Bambina Sacra, dall’Anima (con la dovuta iniziazione o i dovuti aiuti), è sempre una Morte/Sonno, e precede una Rinascita/Risveglio. Quella Morte che, come ci insegna il sapere druidico, “non è che il punto di mezzo di una lunga vita”. La Morte, accennavo nel post precedente in modo maledettamente fumoso e confuso, è il prezzo da pagare per la Libertà ed il libero arbitrio. Non può funzionare diversamente. Se rimaniamo nella Casa dei Genitori Divini, allora non conosceremo mai la Morte ma solo una Eterna Gioia. Ma non la Libertà, perché in Quel Luogo la libertà non ci serve.
Per apprendere cosa significa Scegliere, ed essere Liberi, anche di sbagliare, bisogna stare in un posto dove l’errore esiste, dove esistono delle possibilità che porteranno ad esiti differenti. E in questo posto si muore.
Non saprei ancora dire cosa sia meglio, per me. Talvolta invidio coloro che sono ad un punto tale del proprio Cammino per cui pensano con gioia al proprio congiungimento con la Madre, congiungimento non per forza fisico bensì esoterico, del pensiero e dei sentimenti. A volte invidio chi è felice all’idea di non dover più decidere niente, ma non perché sia schiavo, anzi, al contrario, perché è arrivato ad una perfetta unione col Divino..
Altre volte, forse più spesso, resto attaccata alla mia fragile, imperfetta, impetuosa, stupida umanità. E per quanto gioisca quelle volte in cui percepisco un Disegno più Sottile, per quanto mi commuova nel vedere la perfetta sacralità della Natura, mi trovo ancora convinta, molto spesso, che desidero ancora, che sbaglio ancora, che decido ancora, che sperimento ancora cosa significa, per me (non riesco nemmeno ad immaginarlo, questo discorso, in senso Assoluto), la parola Libertà.

martedì 27 maggio 2014

Colei che decide, Colei che rende tutto possibile

Se davvero la Tredicesima Fata fosse Madre Natura.. perché l’Anima-Rosaspina è figlia di un altro padre e di un'altra madre? Se seguiamo tutte le tradizioni mitologiche, il Re e la Regina che generano l’Anima sono Madre Terra e Padre Cielo.. quindi la Tredicesima Fata probabilmente è qualcun altro.. l’Immanenza? La Mortalità stessa, che arriva ad annunciare la propria presenza e la propria ineluttabilità?
Se Madre Terra e Padre Cielo, Regina e Re, sono immortali, la Tredicesima Fata annuncia che la creatura da loro generata immortale non è. Ma anche questo, può essere vero? Se tutto rinasce, in nuovi tempi e con nuove forme, l’Anima che è l’essenza del ciclo Vita – Morte – Rinascita.. è per forza immortale.
Ma quando si incarna e reincarna, quando scende sulla terra, essa diventa mortale (cadrà a terra morta). La tredicesima Fata avvisa quindi che quando l’Anima deciderà di andare nel mondo, dovrà accettare (o subire) la propria mortalità. Se deciderà di rimanere legata alle cose terrene, di non ricongiungersi con il divino, allora rimarrà morta. La sua ricongiunzione con il divino sarà la chiave per tramutare la Morte in Sonno e quindi poi Rinascere. Il Paredro che arriverà a baciare Rosaspina porterà con se’ lo Spirito, il quale congiunto all’Anima creerà quell’Unione Sacra che E’ il divino..


Un annuncio ed anche un monito quindi.. quando Rosaspina arriverà alla torre più alta del castello, che tradotto significa che arriverà alla testa dato che il castello rappresenta il corpo.. quando lei ci arriverà, ed entrerà nella mente per poterla usare da sola, con il proprio arbitrio, allora si pungerà. Perché la libertà dell’arbitrio si paga con la morte dell’Anima divina. Quando siamo uniti al divino non abbiamo arbitrio, dato che il divino comprende tutto.. ogni scelta, ogni possibilità.. non possiamo che essere perfezione, in quanto il Divino è perfetto.
Quando abbiamo possibilità di scelta significa che siamo immersi in qualcosa di imperfetto, cioè nel mondo terreno. Ma- ci avvisa la Fata- se decideremo di restare sempre e solo nel pensiero terreno, pur acquisendo la Libertà di scelta perderemo la Libertà assoluta, quella che fa sì che quando si guarda l’Anima profonda “non si può fare a meno di volerle bene”. La Libertà di non dover scegliere, perché siamo già perfetti nel Divino, è necessariamente perduta da Rosaspina quando lei sceglie di stare nel Mondo, ma non dovrebbe essere il punto di arrivo. Il punto di arrivo dovrebbe essere il Risveglio.
Tutto questo, è in un certo modo la Fata stessa a renderlo reale. Continuo a pensare che non sia solo una che annuncia qualcosa. E’ la tredicesima fata a decidere che il libero arbitrio si paga con la morte al divino. Questa forse, come mi suggerisce Lu, è una lettura diversa e forse semplicistica della Cacciata dall’Eden. Ma non assume il tono di una punizione, qui. Anche se i partecipanti alla festa si spaventano e disperano, in realtà la Tredicesima Fata non dice, al contrario di come fa Javeh nella Bibbia, “siccome mi avete disobbedito pagherete con la mortalità”. Qui non ci sono punizioni. Leggendo la fiaba, non si legge che la Fata volesse punire coloro che non la avevano invitata alla festa. Lei arriva, dice quello che ha da dire, e se ne va. Dice che quando l’Anima sceglierà il solo tipo di libertà che la vita terrena ci concede, morirà al divino. E dice che, se l’Anima sceglierà di rimanere in quel tipo di libertà terrena, si dimenticherà di essere Divina e allora la sua Morte sarà definitiva. L’arrivo del Paredro non è da leggere come “un aiuto esterno” secondo me.. bensì come uno strumento interno a noi stesse che ci permetterà di Ricordare.. di ricordare che veniamo da un altro posto, che siamo altro oltre che Umani liberamente pensanti.. che possiamo tornare dai nostri Genitori Divini e anche tornare nel mondo.. ma per farlo, per fare avanti e indietro, dobbiamo essere integrate altrimenti lasceremmo in giro qualche pezzo.. e questo non si può fare. Che tu voglia stare nel paradiso dei tuoi Genitori oppure nel mondo, devi andarci con tutta te stessa. Anima e Spirito. . L’arrivo del Paredro e la sua unione con l’Anima permettono una Iniziazione. Tale Iniziazione ci fa tornare consapevoli di chi siamo. A questo punto, parafrasando la mitologia avaloniana, saremo in grado di chiamare la Barca e di muoverci, Integrate, fra i due Mondi..

giovedì 22 maggio 2014

chi sei, o Fata?

Questa “strega” è forse più controversa delle altre.. ma è incredibile.
La tredicesima fata piomba nel bel mezzo di una festa alla quale non era stata invitata, dice tre parole e se ne va. Il suo ruolo nell’intero racconto occupa forse cinque righe. Ma cambia TUTTO. Tutta la prospettiva dalla quale i personaggi vivranno e guarderanno la vita.
Questa fata non era prevista. Il Re e la Regina avevano dodici piatti d’oro, avevano gli strumenti per accogliere e gestire dodici creature magiche.. tutte ma non Lei. Perché? Perché sono vecchi, appartengono ad un Altro Mondo, ad un’ Altra Dimensione. Quindi si comportano da vecchi, e da abitanti di un mondo che è ormai distante. Se non sanno come comportarsi con questa Fata, mi viene da pensare che Lei rappresenti qualcosa di Nuovo, improvviso, decisamente difficile da gestire. Vista la notizia che porta, direi anche spaventoso come lo sono molti cambiamenti.
Diversamente che nella maggior parte delle altre fiabe, qui non ci sono descrizioni di questo personaggio. Non sappiamo se è bella, vecchia, grassa, che abiti porti, se ci vede poco. Non sappiamo quali poteri ha e di quali elementi è signora. Intuiamo che è potente, che è potente il messaggio che porta, dato che l’ultima fata non può annullare il suo “maleficio”.


Quello che mi colpisce particolarmente è questa sua repentinità. Entra ed esce di scena in pochi minuti. Non si presenta, e questo mi fa pensare a due possibilità: o non serve che qualcuno sappia chi è, perché Lei è “solo” una Messaggera, oppure non serve che Lei si presenti perché tutti sanno già chi è. Ma se tutti sanno chi è, perché il Re e la Regina non erano preparati ad accoglierla? D’altra parte, perché per portare semplicemente un messaggio (per quanto importante) si scomoderebbe addirittura una fata?
Lei non è caratterizzata: perché? Perché, di nuovo, non è importante il soggetto bensì il messaggio, oppure perché Lei è talmente potente e nuova e sconvolgente da risultare indescrivibile?
Il suo annuncio porta scompiglio e terrore a corte, perché predice l’avvento di qualcosa che fino a quel momento non c’era: la Morte. La Caduta. La predizione è fatta senza rancore, senza cattiveria, ma anche senza appello: Rosaspina cadrà. A terra. Morta.
L’Anima, perché ormai abbiamo capito che la Bambina nelle fiabe è sempre l’Anima, cadrà a terra. Il che ci fa pensare che il regno di suo padre e sua madre è una sorta di “regno dei cieli” pagano. La sua caduta sulla Terra, il suo diventare Umanità, comporterà il suo diventare Mortale. E, come sempre, la Morte è terrificante.
Ma, come sempre, la Morte significa anche la Vita, almeno la Vita come noi la concepiamo, come la Natura la prevede e permette. Che la tredicesima fata sia Madre Natura, che irrompe sulla scena, nel regno di Padre Cielo, e annunci in tutta semplicità “Io sono qui, è giunto il mio Tempo” ?

domenica 18 maggio 2014

tremate tremate 4: la Tredicesima Fata

Tanto tempo fa c'erano un re e una regina e ogni giorno dicevano: "Ah se avessimo un bimbo", ma bambini non ne arrivavano.
Allora accadde che, mentre la regina faceva il bagno, dall'acqua saltò fuori un ranocchio, si avvicinò a riva e così parlò alla regina: "Il tuo desiderio sta per essere esaudito: in capo ad un anno partorirai una bambina".
Quello che il ranocchietto aveva detto si avverò e la regina partorì una bimba talmente bella che il re non sapeva più contenere la sua gioia e ordinò che venisse allestita una grandissima festa. E non invitò solo i parenti, gli amici e i conoscenti, ma anche le fate, perché fossero propizie e benevole con la piccola nata.
A quel tempo di fate nel regno ce n'erano tredici, ma poiché il re aveva solo dodici piatti d'oro per servir loro il pranzo, dovette rinunciare ad invitarne una.
La festa fu allestita con ogni sfarzo e quando finì, le fate donarono alla bimba i loro meravigliosi doni: l'una la virtù, l'altra la bellezza, la terza la ricchezza e via dicendo, insomma tutto quello che al mondo si può desiderare. Quando l'undicesima fata fece il suo dono, improvvisamente entrò la tredicesima che voleva vendicarsi per non essere stata invitata e, senza guardar in faccia o salutare nessuno, gridò con voce stentorea: "La figlia del re a quindici anni si pungerà con un fuso e cadrà a terra morta". E senza più pronunciar parola, si girò e abbandonò la sala.
Allora si fece avanti la dodicesima fata che non aveva ancora formmulato il suo dono, ma poiché non poteva annullare il malvagio augurio, ma solo alleviarlo, così disse: "Non ci sarà morte, ma un sonno che durerà cent'anni."
Il re, che voleva salvare sua figlia da quella disgrazia, bandì i fusi da tutto il suo regno.
Sulla fanciulla si adempirono i voti delle fate, infatti era bella, virtuosa, gentile e intelligente tanto che chiunque la vedeva non poteva non amarla.
Ora accadde che proprio il giorno in cui compiva quindici anni, il re e la regina non c'erano e la fanciulla rimase sola nel castello. Allora se ne andò in giro in ogni luogo, visitò stanze e dispense fino a che giunse in una vecchia torre. Salì una stretta scala a chiocciola che la condusse a una porticina. Nella toppa c'era una chiave arrugginita e, quando la girò, la porticina si spalancò. Li' in una piccola stanzetta se ne stava una vecchia donna con un fuso in mano e filava attenta il suo lino.
"Buongiorno, nonnina", disse la figlia del re, "cosa stai facendo?"
"Filo", disse la vecchia rispondendo con un cenno del capo.
"Che cos'hai in mano che gira così allegramente?", chiese la fanciulla e prese il furo perché anche lei voleva filare. Non appena ebbe sfiorato il fuso l'incantesimo si compì e lei si punse un dito. Come sentì la puntura cadde su un letto che si trovava in quella stanza e sprofondò in un sonno profondo.


Quello stesso sonno si diffuse in tutto il castello, il re e la regina che erano appena rientrati quando raggiunsero la sala del trono caddero a terra addormentati, e con loro tutta la corte. E s'addormentarono i cavalli nella stalla, i cani nel cortile, le colombe sul tetto, le mosche sulle pareti, persino il fuoco che crepitava nel focolare si zittì e s'addormentò e l'arrosto smise di sfrigolare e il cuoco, che aveva afferrato lo sguattero e gli voleva dare una sberla perché ne aveva combinata una delle sue, lo lasciò andare e si addormentò.
Il vento si addormentò e sugli alberi accanto al castello fu solo silenzio.
Attorno al castello crebbe un roveto che diventava ogni giorno più fitto e alto e che alla fine circondò il castello e lo ricoprì tutto, tanto da farlo sparire alla vista di tutti. Non si vedeva più nemmeno la bandiera sulla torre più alta.
Nel paese si sparse la leggenda di Rosaspina, come veniva chiamata la bella principessa addormentata, e di tanto in tanto veniva qualche figlio di re che voleva penetrare nel roveto. Ma nessuno di loro riusciva a penetrarvi perché le spine li trattenevano come fossero mani adunche ed essi si impigliavano in quelle spine e lì morivano miseramente.
Dopo molti e molti anni giunse nel paese un principe al quale capitò di udire un vecchio raccontare del roveto. Lì dietro doveva esserci un castello e nel castello una principessa meravigliosa, il cui nome era Rosaspina, dormiva un sonno di cento anni e con lei giacevano addormentati il re e la regina e tutta la corte. Già suo nonno gli aveva narrato che molti figli di re erano venuti e avevano tentato di spingersi attraverso il roveto, ma che lì erano rimasti impigliati ed erano morti di una ben triste morte.
Allora il giovane re disse: "Non ho paura, attraverserò i rovi e vedrò la bella Rosaspina".
Il vecchio cercò in ogni modo di dissuaderlo, ma il principe non volle ascoltarlo.
Ora erano proprio passati i cent'anni ed era arrivato il giorno in cui Rosaspina doveva svegliarsi.
Non appena il principe s'avvicinò al roveto, non gli apparvero che fiori meravigliosi che si scostavano spontaneamente al suo passaggio e lo lasciavano penetrare senza ferirlo. Giunto nel cortile del castello vide cavalli e cani da caccia che giacevano addormentati, e sul tetto c'erano colombe con i capini sotto l'ala. E quando entrò in casa, le mosche dormivano sulle pareti e il cuoco, in cucina, aveva ancora la mano alzata, come volesse afferrare lo sguattero, e la serva se ne stava davanti a un pollo nero che stava spennando. Andò oltre e nella sala del trono vide tutta la corte addormentata e sul trono dormivano re e regina.
Proseguì e tutto era così silenzioso che poteva udire il proprio respiro. Finalmente arrivò nella torre, aprì la porticina della piccola stanza dove dormiva la bella Rosaspina.
Lei era lì sdraiata ed era così bella che il giovane principe non sapeva distogliere gli occhi da lei.
Poi si chinò e la baciò.
Non appena l'ebbe sfiorata col suo bacio, Rosaspina aprì gli occhi, si svegliò e gli sorrise.
Allora entrambi scesero dalla torre e si svegliarono il re e la regina, e tutta la corte si svegliò e tutti si guardavano con sguardo pieno di stupore. E i cavalli nel cortile balzarono in piedi e si scrollarono, e i cani da caccia saltavano e scodinzolavano e le colombe sul tetto levarono la testina di sotto l'ala, si guardarono attorno e volarono via, e le mosche ripresero a muoversi sulla parete, e il fuoco in cucina si ravviò, si rimise ad ardere e ricominciò a cuocere il pranzo, l'arrosto riprese a sfrigolare, il cuoco diede allo sguattero quel famoso schiaffo e lo fece gridare e la serva finì di spennare il pollo.
Poi furono celebrate le nozze con grande sfarzo tra il principe e Rosaspina e tutti vissero felici fino alla morte.

domenica 13 aprile 2014

Ilma nella casa di marzapane

Riporto, come spesso ho fatto parlando delle streghe di questa rubrica, un passo scritto da Haria. Il libro si intitola "Estensità".

Quella sera cucinavo sulla stufa una zuppa di ortiche. Dopo averle lavate delicatamente le avevo aggiunte al cavolo, alle cipolle, al sedano e alle carote che cuocevano da una decina di minuti in una pentola di coccio. Rannicchiata in un angolo Ilma seguiva i miei movimenti e fumava la sua piccola pipa di radica.
Con un mestolo di legno rimestai ancora la zuppa e guardai Ilma, che sorrise.
"Non chiedermi se la zuppa è pronta, figliola, devi saperlo tu. Però è un po' che ti dai da fare con quel mestolo e forse le ortiche si saranno scocciate di cuocere".
"Le carote non mi sembrano cotte del tutto", valutai.
"La tua intenzione era cucinare una zuppa di ortiche o di carote?".
"Di ortiche".
"Allora diciamo che la zuppa è pronta".
"E' uno strano modo di cucinare".
"Ma è il più corretto: dalla parte delle ortiche".
Scoppiai a ridere, ma Ilma rimase seria. "Una volta deciso di stare dalla parte della bellezza dobbiamo condurre la nostra vita con inflessibile abbandono, sobrietà, determinatezza e impeccabilità, qualunque cosa facciamo. L'evento di bellezza cui stasera hai partecipato è un buon esempio di come una donna di conoscenza debba agire".
"Di quale evento di bellezza parli, Ilma?".
"Della danza delle ortiche. Un evento di bellezza è uno straordinario episodio per la consapevolezza dell'intento e della percezione. Mostrandoti la loro vivacità le ortiche hanno attirato in profondità la tua attenzione. Ti sei lasciata andare ad ammirarle, e questo è abbandono. Ne hai raccolto con estrema cautela - per non pungerti - le foglie più tenere, e questa è sobrietà. Le hai lavate con meticolosa fermezza, e questa è determinatezza. Hai fatto del tuo meglio per trarne una buona zuppa, e questa è impeccabilità. Abbandono, sobrietà, determinatezza e impeccabilità sono i quattro attributi di energia della consapevolezza con cui una donna di conoscenza partecipa a ogni evento di bellezza nell'estensità".



Cercando di "usare" queste parole per la mia sottospecie di analisi, senza farmi attrarre (almeno non mentre scrivo questo post) dalla meraviglia di passi come questo e dalle tantissime riflessioni che smuovono, cerco di raccogliere quello che sono capace. Credo che la Vecchia di Hansel e Gretel sia qui per insegnarci l'Integrità di cui parla Ilma, usando le parole Abbandono, Sobrietà, Determinatezza, Impeccabilità. Forse la Vecchia viene anche prima..a far capire a Gretel che se non sa chi è, non comprenderà mai la Bellezza, la Magia, il Ritmo, il Significato del Mondo e della Vita. Non potrà abbandonarsi consapevolmente, non potrà fare un uso sobriamente determinato di ciò che percepisce nella Bellezza, non potrà agire impeccabilmente per far sì che la Bellezza sia palese attraverso di lei. Gretel deve compiere un atto creativo fondamentale, ossia cucinare. Un atto che ho provato ad analizzare in precedenza e sul quale non mi soffermerei, ma che nuovamente ritorna nel mio discorso con forza. Creare per Nutrire rientra nelle prerogative del Femminino Sacro che esprime se' stesso dando la Vita..ad un figlio, ad una relazione ricca di calore, ad una danza che ridona vita alla terra, ad un abito bello e caldo. Creare per "partecipare a eventi di bellezza". Anche questo, così femminile.
Non per possedere. Non per analizzare. Non per dominare. Non per penetrare.
Per partecipare. Per comprendere. Per abbandonarsi. Per accogliere.
Forzatamente Hansel deve stare tranquillo a nutrirsi finché verrà il suo momento, e siccome non lo fa di sua spontanea volontà perché è maschile e crede di dover aggiustare tutto, occuparsi di tutto, risolvere tutto, decidere tutto, allora viene costretto a fermarsi.
Forzatamente Gretel deve darsi molto da fare e cucinare perché è sempre il suo momento, perché è sempre attiva e non è in attesa del gesto "fecondatore"/"risolutore" maschile. Gretel non lo fa di sua spontanea volontà perché essendo sempre stata sovrastata dall'atteggiamento normativo e paternalista di suo fratello ha interpretato la parola "attesa" nel senso passivo, la parola "emotività" nel senso debole, e percepisce le proprie doti meno analitiche e più ctonie e "pratiche" come doti di poco valore. Così la Vecchia costringe anche lei. La costringe non solo a lavorare e a smetterla di lamentarsi, ma anche e soprattutto a Muoversi. A Vedere. A Gestire. La costringe ad essere, volente o nolente, protagonista della quotidianità. La costringe a Creare. La Vecchia tira fuori la Femminilità più archetipa, profonda, autentica, selvaggia di Gretel. E come ben sappiamo tutto questo fa male, fa spavento, è difficile e non capiamo bene dove ci porti.

Mi piace pensare che forse il cammino indicato con violenta tenacia dalla Vecchia ci porti "dalla parte delle ortiche".

sabato 29 marzo 2014

si è ciò che si mangia, si mangia ciò che si è


Settimane per costruire questo post, e adesso mi ritrovo a temere che non sia buono abbastanza. Vabbé, come sempre portate pazienza.
Settimane per comprendere, o almeno provare a farlo, il ruolo del cibo in questa storia. Un ruolo evidentemente cruciale, visto che di cibo si parla dall’inizio alla fine. Settimane per provare a capire come il rito del Pasto intrapreso dalla Sciamana avesse il compito di far diventare grandi i due fratelli, di integrarli..
Mi sono aiutata leggendo i contributi di alcune persone.. Una frase di Massimo Montanari da’ il titolo a questo post, per esempio. E poi ci sono Fischler, Lupton, Mugnani, Spila..
Parto col dire che il bisogno di alimentarsi è il primo, impellente bisogno del bambino quando nasce. La prima emergenza che lo mette di fronte al fatto che se soddisferà tale necessità egli proverà piacere (e desiderio di ripetere l’esperienza), altrimenti proverà dolore. Per la prima volta il bambino viene a contatto con il rischio e la paura della Morte, per la prima volta una figura esterna a lui (anche se non completamente concepita come esterna bensì come un proprio “prolungamento”) ossia la madre gli dona la soddisfazione ed il piacere, ed entra dentro di lui attraverso la bocca. Il cibo ed il nutrirsi sono dunque la prima grande avventura della vita, ed il primo gesto d’Amore che l’individuo conosce.
Hansel e Gretel sono scissi e non conoscono il significato di se’ medesimi: lui si occupa di procurare il cibo (ma non sa prepararlo, sa solo cercarlo), lui decide quale cibo è appropriato, lui crede di fare da guida ad entrambi, ma non sa dove andare ne’ cosa cercare veramente. Lei accetta passivamente le decisioni del fratello e non riesce ad affrontare nessun cambiamento dello status quo. Nessuno dei due sa accogliere l’altro rimanendo se’ stesso, ne’ sa accogliere il Nuovo senza averne paura. Nessuno dei due sa cosa sia il Magico ne’ sa trasformare la Natura in Cultura, sa gestire la potenziale pericolosità di un qualcosa di estraneo che si introduce nel corpo. Nessuno dei due sa creare, lavorando ciò che la natura offre per farne qualcosa di nuovo, che esprima un modo di sentire, un desiderio, una conoscenza, una ricerca. Nessuno dei due, in altre parole, sa cucinare.
Il peggio è, come avevo accennato nei post precedenti, che entrambi i fratelli vogliono tornare a casa, a ciò che erano prima. Non comprendono che questo non è possibile e non è sano. Non sanno chi sono, e di conseguenza non sanno Amare, perché non hanno idea di cosa si prende e di cosa si da’ quando si Ama.


La Sciamana decide quindi che queste due metà vanno istruite alla Magia ed all’Amore, all’Indipendenza ed all’Accoglienza, alla Sperimentazione ed al senso del Tempo. Solo il rituale del Pasto unisce in se’ tutti questi aspetti. Fonte primigenia di Amore, luogo della Magia creatrice e trasformatrice, della fantasia ma anche della gestione impeccabile ed attenta dei tempi e delle caratteristiche di ogni ingrediente. Insieme di conoscenze che garantiscono l’Indipendenza, ma anche rito di Accoglienza in qualsiasi civiltà.
Simbolicamente la cucina è antro, spelonca, luogo caldo e umido di trasformazione di elementi distinti che ne formeranno uno solo.. evidentemente la cucina è un fortissimo simbolo uterino. Perciò sarà Gretel a doverci stare. Gretel deve capire cosa sia DAVVERO il femminino che le appartiene e che la caratterizza. Non una emotività senza polso, senza senso e senza potere, bensì un calore creativo che possiede tanta magia da stordire chiunque, tanta potenza da generare la Vita, da farsi Vita, da far morire elementi diversi facendone nascere di nuovi.
Gretel non deve mangiare, non le serve per ora. Lei ha già con se’ il proprio nutrimento, deve ora imparare ad usarlo, per rendersi indipendente e per fare dono di se’ donando la Vita. Per questo deve cucinare per Hansel. Non certo per qualche stupido dovere della donna verso l’uomo, ma perché il maschile non è capace di operare questo tipo di Magia. Il maschile si deve nutrire, ma non sa creare il nutrimento. Hansel deve mangiare per essere pronto quando sarà il suo momento, quando dovrà fare quell’unica, esplosiva cosa che da' il via al Cambiamento. Hansel imbroglierà la Vecchia (come l'Uomo con la sua scintilla generatrice opera il primo passo per "imbrogliare" la Morte) e questo innescherà il processo rivoluzionario che porterà Gretel a trovare la piena consapevolezza ed a farle gettare la Vecchia nel Fuoco.



La vecchia costituisce il senso della frase che titola il post, secondo me.. “Si è ciò che si mangia, si mangia ciò che si è”. Siamo ciò che mangiamo: non solo nel senso fisiologico e salutistico, bensì nel senso esoterico.. se mangiamo ciò che troviamo ma non ci mettiamo mai a cucinare, saremo dei parassiti, o degli eterni bambini dipendenti da qualcosa o qualcuno.. mentre se impariamo a cucinare saremo noi gli artefici del nostro nutrimento, della nostra indipendenza, della nostra crescita.. saremo Adulti.
Mangiamo ciò che siamo: ogni cambiamento, e nella vita dovremmo attraversarne tanti, è frutto di una morte rituale e di una rinascita. Ogni volta che cambiamo, partiamo da coloro che eravamo prima, “digeriamo” quella condizione, e ne creiamo una nuova. Ciò che diventiamo è sempre frutto della cottura, della trasformazione, della digestione di ciò che siamo stati. Sempre diversi ma sempre noi stessi, Tempo dopo Tempo, esperienza dopo esperienza, Vita dopo Vita..
La Sciamana, attraverso la metafora eterna del Fuoco che crea, distrugge, purifica, pulisce, spaventa, riscalda, ci insegna che dobbiamo imparare la Magia, imparare ad usarla per nutrire ciò che di noi ha bisogno di essere nutrito (non solo Hansel, bensì anche la parte istintiva, ossia la Sciamana stessa), e conoscerne anche gli aspetti oscuri, legati alla morte ed all’aggressività. Gettare la vecchia nel Fuoco, a questo punto, diventa un atto dai modi efferati ma dal significato positivo.. l’istinto che ci ha insegnato a vivere non ci divorerà, se noi impareremo la sua lezione.. ma sarà sempre nel Fuoco da cui è venuto, nel Fuoco del quale è custode, come ne è custode Baba Jaga. I suoi insegnamenti hanno attraversato, usando la “metafora” del Cibo e del Pasto, tutte le fasi della vita.. la nascita (con la prima necessità ad essa collegata), la maturità (con la più importante prova di autonomia e capacità generativa), la distruzione di ciò che non serve più attraverso un mezzo (il fuoco) che permette sempre la Rinascita come ci dimostra la sacra Fenice.

E mi piace pensare che, come la sacra Fenice, la Vecchia si butta nel Fuoco per rinascere, Bambina, di nuovo nella Casa nella Foresta..




lunedì 10 marzo 2014

le prove di Hansel e Gretel

Il percorso dei bambini nell’oscura foresta è finito, ma la loro avventura è tutt’altro che al termine.
Dopo aver mangiato i due fratelli dormono in due lettini puliti, morbidi e caldi. Il sonno, altro passaggio attraverso l’oscurità, porta i bambini ad un risveglio in una situazione ben diversa da quella che avevano lasciato la sera prima. La vecchia ha assunto il ruolo di sciamana che le è proprio.
Finché rimaniamo nella Coscienza, spontaneamente creiamo dicotomie: la stessa Grande Madre viene vista come scissa in due, una parte benevola e positiva, spesso identificata nelle fiabe con il personaggio della fata buona, ed una parte crudele e distruttrice, spesso impersonificata dalla strega cattiva e divoratrice. Lei è la custode di un Regno sconosciuto.. il Regno dell’Inconscio, il Regno della Morte.. entrando nell’Inconscio, col tempo di apprende e si comprende che la Madre è Una, che ciascuno di noi è Uno, che la Vita e la Morte sono Uno, e che sono entrambe dentro di noi, come lo sono aggressività e dolcezza, razionalità ed emotività, istinto distruttore e spinta creativa. Ma per Ricordare e Capire, nulla avviene di colpo e senza un prezzo. Ci vogliono tempo, fatica ed energie.


La prima prova per Hansel e Gretel è la separazione. Eros e Logos vengono divisi ed ognuno deve arrangiarsi e trovare in se’ stesso le risorse per riequilibrarsi. Gretel deve imparare a cavarsela da sola, senza l’assertività rassicurante quanto ingombrante della razionalità. Hansel deve imparare ad ascoltare ciò che sente, e ad affrontare da solo la paura di venire mangiato. Lei non ha più tempo per piangere perché ha vari compiti da svolgere, lui non ha più modo di tenersi impegnato in cose pratiche e deve solo diventare grasso. Se supereranno questa prova, forse sapranno trovare soluzioni creative ed integrate ai loro problemi, e cresceranno.
I pasti che i due fratelli assumono sono ben diversi. Lui viene ingozzato di pasti prelibati, quasi ad enfatizzare l’aspetto digestivo, il “riempirsi” : ancora l’interiorità, che in Hansel era sempre stata sacrificata.
Lei mangia gusci di gambero, quasi che la potessero aiutare a costruirsi quella “corazza” che le è vitale, per sopravvivere nel mondo ed essere felice : quindi una esteriorità non frivola o vuota, bensì costruita attorno ad un corpo profondo emotivamente sviluppato.
La prova del fuoco è tipica nei riti iniziatici di tutte le popolazioni. Il fuoco come elemento purificatore e ringiovanente, diventa punto di svolta nell’avventura dei bambini: dopo aver affrontato da soli le proprie debolezze, dopo aver superato le quattro settimane che sono state necessarie alla sciamana per portare a termine il rituale del pasto, essi si trovano di fronte al male assoluto: la strega vuole arrostirli e mangiarli. Ora però i fratelli sanno riconoscere che il male è dentro di loro, e che sta a loro comprenderlo, assimilarlo, accettare che le forze in gioco li hanno trasformati ed usare nel modo migliore la propria energia. Essi usano dunque l’energia del fuoco, e diventano i carnefici: proprio la piagnucolona Gretel trova la forza, l’efferatezza e la furia per buttare la vecchia nel forno. Bruciare la strega significa dissolvere la parte “cattiva” assunta dal ruolo materno (prima la madre che li caccia di casa e poi la nonna che li tortura), quella che aveva spinto i bambini a differenziarsi dai propri genitori e l’uno dall’altro. Una volta che i fratelli sono diventati individui, il ruolo della strega non ha più ragione di esistere, il suo compito è concluso e lei può tornare nel Divino Fuoco da cui proviene.
Finalmente Hansel e Gretel hanno acquistato i ruoli che contraddistinguono il Femminino ed il Maschile: è Gretel colei che salva la situazione. Non solo non è più succube del maschile, bensì lo accoglie e lo fa proprio (perché suo è sempre stato) imparando a gestire gli aspetti pratici della vita. Inoltre, assorbe in se’ la furba malizia della Vecchia Strega, e la sfrutta a suo favore buttandola nel fuoco a tradimento. Diventa Dea: Vergine, Madre, Vecchia, Divina e perfetta Ermafrodita. Hansel assume il ruolo, importantissimo, che gli è consono, ovvero quello di Paredro, il quale con la propria energia permette alla Dea di esprimersi in pienezza e sicurezza.

martedì 4 marzo 2014

dolcezza e crudeltà

Eccomi a parlare di una strega che non ha nome. Perché non sappiamo il suo nome? Forse non serve.. forse non serve una identità precisa. Per “definirla” ho cercato le parole che Clarissa Pinkola Estes usa in “Donne che corrono coi lupi” per parlare della Loba.

“C’è una vecchia che vive in un luogo nascosto nell’anima che tutti conoscono ma pochi hanno visto. Come nelle favole dell’Europa Orientale, pare in attesa di chi si è perduto, di vagabondi e cercatori.
E’ circospetta, spesso pelosa, sempre grassa, e desidera evitare la compagnia. E’ insieme una cornacchia e una gallina che chioccia, e solitamente emette suoni più animaleschi che umani.”

In questa fiaba la vecchia sembra essere soltanto negativa ed ingiusta. Diversamente da Jaga, che vive una sorta di “riscatto” dimostrando la propria lealtà nel dare a Vassilissa il fuoco promesso, qui la nostra strega sembra essere crudele fino alla fine. Non sono ancora arrivata a comprendere se il suo ruolo sia uguale a quello di Baba Jaga, di certo ci sono vari aspetti simili ed altri molto diversi. Andiamo per gradi.

La casa della Vecchia non solo non fa paura, ma anzi è allettante. Secondo me questo accade perché deve attirare chi passa di lì per sbaglio.. o meglio, chi arriva da quelle parti senza aver cercato, tutt'altro: Hansel e Gretel sono totalmente inconsapevoli. Vassilissa cerca la casa di Jaga, il che “tradotto” potrebbe significare che l’Anima cerca Jaga perché cerca di capire, di conoscere, di emanciparsi da una situazione sbagliata, pur non sapendo ancora come.
Inoltre, Vassilissa è un’Anima ancora giovane, inesperta, spaventata, insicura, ma abbastanza Integrata, come lo è Biancaneve. Qui invece ci sono Hansel e Gretel. L’Anima sembra divisa in due: un maschile assertivo e tutto sommato dominante, seppure l’atteggiamento sia amorevole e protettivo, ed un femminino emotivo e succube, spaventato e senza iniziativa.
Fra l’altro, nel corso della storia i fratelli provano e riprovano a tornare indietro, alla vita a cui sono abituati, presso dei genitori che li hanno rifiutati. Ne’ Vassilissa ne’ Biancaneve invece hanno l’intenzione di ritornare alla vita di prima. Per due diversi motivi, ma entrambe vogliono raggiungere un obiettivo prima di rivedere la loro casa.
Hansel e Gretel mi sembrano sopraffatti dalla paura dell’Ignoto che è insito nel futuro. La loro matrigna vuole abbandonarli, il padre è talmente inetto che non riesce a tirar fuori l’istinto di protezione che dovrebbe essere parte integrante dell’Amore, eppure Hansel e Gretel credono ancora che in fondo a casa si stia bene, o comunque meglio che nel bosco.


Credo che moltissimi di noi siano come Hansel e Gretel. Facciamo prevalere una parte su un'altra, la ragionevolezza sull’istinto, la produttività sulla creatività, la serietà sulla danza spensierata, la programmazione sull’imprevedibilità. Non permettiamo ad alcuni aspetti di noi di esprimersi.. perché? Perché ci hanno insegnato che non è il caso, e soprattutto che la parte “femminile” è debole, evanescente, non ci porterà a nessun risultato bensì ci condurrà ad essere sopraffatte. E quanto più accettiamo questo, tanto più rendiamo effettivamente debole il nostro lato istintivo ed emotivo. Non lo “alleniamo” ad esprimere l’enorme potere che esso ha. Il potere di trovare soluzioni creative ai problemi, il potere di farsi rispettare con le parole giuste, il potere dell’indipendenza, il potere di gestire il Fuoco.. Noi tutti, almeno una volta, siamo stati come Hansel e Gretel. “Lei” piange e non riesce a darsi una mossa, “lui” programma tutto e salva capra e cavoli, o almeno sembra farlo. Ma chiunque abbia avuto un momento di crisi dovrebbe aver compreso che finché la nostra Anima non è Una e Integrata, finché noi non siamo Integrati, qualcosa andrà storto e sarà sempre più difficile da raddrizzare. Hansel diverrà sempre più dispotico, e quando non saprà risolvere un problema con interventi pragmatici e razionali, allora crollerà. Gretel diverrà sempre più impotente, e quando sarà sola (perché Hansel è venuto meno o non sa che fare) verrà sopraffatta.
E quante volte abbiamo sinceramente creduto che fosse meglio restare o tornare in una situazione di merda, ma conosciuta, che rischiare di andare nella Foresta? Quante volte compromettersi con scelte difficili ci è sembrato troppo spaventoso, anche se di fatto ciò che costituiva la sicurezza era, in effetti, una sicurezza fatta di dispiacere, noia, errori ormai cronicizzati? Quante volte ciò che non conosciamo ci ispira sospetto invece che curiosità, e quello che conosciamo ci ispira stabilità e non magari ribrezzo e rifiuto?
Ci vuole qualcosa che obblighi questi bambini a crescere, ognuno dentro se’ stesso, per potersi poi unire in modo sano e positivo, per vivere una vita di consapevolezza e gioia.
Perché ogni parte dell’Anima trovi la propria consapevolezza, sappia vivere di questa, e si riunisca all’altra parte in maniera questa volta sinergica e non più malata, bisogna che entrambe le parti entrino nella Casa della Foresta. Ma stavolta l’Anima non ci vuole andare. Non ha capito che l’abbandono dell’abitudine è la salvezza e non la condanna. Se la casina della Vecchia non fosse golosamente allettante, Hansel e Gretel non ci entrerebbero affatto.
La strega deve essere subdola per poter eseguire il proprio compito, per poter far entrare l’Anima sdoppiata in casa. Su questo punto vorrei provare a chiarire, forse più a me stessa che a chi legge, un concetto. Nessuna persona altra da noi stessi può prendersi il diritto di essere una strega per la nostra anima. La vecchina di questa fiaba, Baba Jaga, i sette Nani.. sono tutte Creature che stanno più o meno a fondo dentro ognuno di noi. A volte io personalmente rischio di lasciarmi trasportare dall’interpretazione di queste fiabe, e credo di vedere nel comportamento di alcune persone quello di alcuni di questi personaggi.. Ma non funziona così. Nessuno al mondo deve credere di potermi illudere con le caramelle e poi provare a divorarmi. Nessuno al mondo deve credere di poter esigere qualsivoglia prova di resistenza o di lealtà da me. Nessuno al mondo deve sentirsi autorizzato a ferirmi nel fantomatico intento di insegnarmi qualcosa.
Sono io la Strega, sono io la Fanciulla, sono io l’Usurpatrice, sono io la Foresta sacra, sono io l’Amica fedele, sono io la Matrigna, sono io la Vecchina, sono io la Loba. Alcune persone sono arrivate o arriveranno nella mia vita, ed alcuni libri, ed alcune canzoni, ed alcune esperienze.. e tutte queste hanno contribuito o contribuiranno a far uscire la Donna Selvaggia ed anche i suoi acerrimi Nemici, quali la Paura, l’Ego, la Rabbia.. ma bisogna tenere sempre a mente che la sola persona autorizzata a ferirmi (se questa ferita porta a consapevolezza) sono io.

domenica 2 marzo 2014

tremate tremate 3: la Vecchia nella casa di marzapane

Davanti a un gran bosco abitava un povero taglialegna con sua moglie e i suoi due bambini; Hansel, e Gretel. Egli aveva poco da metter sotto i denti, e quando ci fu nel paese una grande carestia, non poteva neanche più procurarsi il pane tutti i giorni. Una sera, disse sospirando alla moglie: - Che sarà di noi? Come potremo nutrire i nostri poveri bambini, che non abbiam più nulla neanche per noi? - Senti, marito mio,- rispose la donna,- domattina all'alba li condurremo nel più folto della foresta: accendiamo loro un fuoco e diamo a ciascuno un pezzetto di pane; poi andiamo al lavoro e li lasciamo soli: i bambini non ritrovano più la strada per tornar a casa, e ne siamo sbarazzati.- No, moglie mia,- disse l'uomo,- questo non lo faccio: come potrei aver cuore di lasciare i miei figli soli nel bosco! le bestie feroci verrebbero subito a sbranarli.- Pazzo che non sei altro,- diss'ella,- allora dobbiamo morir di fame tutti e quattro; non ti resta che piallare le assi per le bare-. E non lo lasciò in pace finché egli acconsentì.
Per la fame, neppure i due bimbi potevan dormire, e avevano udito quel che la matrigna diceva al padre. Gretel piangeva amaramente, e disse a Hansel: -Adesso per noi è finita.- Zitta Gretel,- disse Hansel,- non affannarti, ci penserò io-. E quando i vecchi si furono addormentati, si alzò, si mise la giacchettina, aprì l'uscio da basso e sgattaiolò fuori. Splendeva chiara la luna, e i sassolini bianchi davanti alla casa rilucevano come monete nuove di zecca. Hansel si chinò e ne ficcò nella taschina della giacca quanti poté farne entrare. Poi tornò dentro e disse a Gretel:- Sta' di buon animo, cara sorellina, e dormi pure tranquilla: Dio non ci abbandonerà-. E si rimise a letto.
Allo spuntar del giorno, la donna andò a svegliare i due bambini: -Alzatevi, poltroni, andiamo nel bosco a far legna!- Poi diede a ciascuno un pezzetto di pane e disse: -Eccovi qualcosa per mezzogiorno, ma non mangiatelo prima, non avrete nient'altro.- Poi s'incamminarono tutti insieme verso il bosco. Quando ebbero fatto un pezzetto di strada, Hansel si fermò e si volse a guardar la casa; così fece più e più volte. Il padre disse:- Hansel, cosa stai a guardare, e perché rimani indietro? Su, muoviti!- Ah, babbo,- disse Hansel -guardo il mio gattino bianco, che è sul tetto e vuol dirmi addio-. La donna disse: -Sciocco, non è il tuo gatto; è il primo sole, che brilla sul comignolo-. Ma Hansel non aveva guardato il gattino: aveva buttato ogni volta sulla strada uno dei sassolini lucidi che aveva in tasca.
Arrivati in mezzo al bosco, disse il padre: -Adesso raccogliete legna, bambini; voglio accendere un fuoco, perché non geliate-.
Hansel e Gretel rimasero accanto al fuoco e a mezzogiorno mangiarono il loro pezzetto di pane. E udendo colpi d'accetta credevano che il babbo fosse vicino. Ma non era l'accetta, era un ramo, che egli aveva legato ad un albero secco e che il vento sbatteva di qua e di la'. Alla fine i loro occhi si chiusero per la stanchezza ed essi si addormentarono profondamente. Quando si svegliarono, era già notte fonda. Gretel si mise a piangere e disse. -Come faremo a uscire dal bosco!- Ma Hansel la consolò:- Aspetta soltanto un poco, finché sorga la luna, poi troveremo bene la strada-. E quando sorse la luna piena, prese per mano la sua sorellina e seguirono le pietruzze, che brillavano come monete nuove di zecca e mostravan loro la via. Camminarono tutta la notte, e allo spuntar del giorno arrivarono alla casa paterna.
Non passò molto tempo, e la miseria tornò ad invadere la casa; una notte i bambini udiron la matrigna dire al padre, mentre era a letto:- Si è di nuovo mangiato tutto, c'è ancora una mezza pagnotta, poi è finita. I bambini devono andarsene; li condurremo più addentro nel bosco, perché non ritrovino la strada: per noi non c'è altro scampo-. L'uomo si sentì stringere il cuore e pensò:" Sarebbe meglio che dividessi il tuo ultimo boccone con i tuoi bambini".
Ma i bambini erano ancora svegli e avevano udito quei discorsi. Hansel si alzò di nuovo per andare a raccogliere sassolini, ma la donna aveva chiuso la porta e Hansel non poté uscire. Ma consolò la sua sorellina.
Sul far del giorno, la donna fece alzare i bambini dal letto. Ebbero il loro pezzetto di pane, ma era ancora più piccolo dell'altra volta. Sulla strada del bosco, Hansel lo sbriciolò in tasca, e spesso si fermava e buttava una briciola in terra.
La donna condusse i bambini ancor più addentro nel bosco, dove non eran mai stati in vita loro. Accesero di nuovo un gran fuoco, promisero di tornare a prendere i figli dopo il lavoro, ma non lo fecero. Quando sorse la luna, i fratellini non trovarono più neanche una briciola: le avevano beccate i mille e mille uccellini, che volavano per i campi e i boschi. Hansel disse a Gretel: -Troveremo la strada lo stesso-. Ma non la trovarono. Camminarono tutta la notte e un giorno, da mane a sera, ma non uscirono dal bosco, e avevano tanta fame; esausti, si sdraiarono sotto un albero e si addormentarono.
Al mattino, ricominciarono a camminare, ma si addentravano sempre più nel bosco, e se non trovavano presto aiuto, sarebbero morti di fame.


A mezzogiorno, videro un bell'uccellino bianco come la neve; cantava così bene che si fermarono ad ascoltarlo. Essi lo seguirono finché giunsero ad una piccola casa. Quando furono ben vicini, videro che la casa era fatta di pane e coperta di focaccia; ma le finestre erano di zucchero trasparente. -All'opera!- disse Hansel. Mangiarono, quando ad un tratto la porta si aprì e venne fuori pian piano una vecchia decrepita, che si appoggiava a una gruccia. Hansel e Gretel si spaventarono tanto, che lasciarono cadere quel che avevano in mano. Ma la vecchia dondolò la testa e disse: -Ah, cari bambini, chi vi ha portato qui? Entrate e rimanete con me, non vi succederà niente di male.- Li prese entrambi per mano e li condusse nella sua casetta. Fu loro servita una buona cena, latte e frittelle, mele e noci; poi furono preparati due bei lettini bianchi, e Hansel e Gretel si coricarono e credevano di essere in paradiso.
La vecchia fingeva d'esser benigna, ma era una cattiva strega. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, l'uccideva, lo cucinava e lo mangiava. Di buon mattino, prima che i bambini fossero svegli, afferrò Hansel con la mano rinsecchita, lo portò in una stia e lo rinchiuse dietro un'inferriata; e per quanto egli gridasse, non gli giovò.
Poi essa andò da Gretel, la svegliò con uno scossone e gridò: -Alzati, poltrona, porta l'acqua e cucina qualcosa di bu0ono per tuo fratello, che è la' nella stia e deve ingrassare. Quando è grasso, voglio mangiarmelo-. Gretel si mise a piangere amaramente, ma fu tutto inutile, dovette fare quel che voleva la cattiva strega.
Ora al povero Hansel cucinavano i cibi più squisiti, ma Gretel non riceveva che gusci di gambero. Ogni mattina la vecchia si trascinava fino alla stia e gridava: -Hansel, sporgi le dita, che senta se presto sarai grasso-. Ma egli le porgeva un ossicino e la vecchia, che aveva gli occhi torbidi, non poteva vederlo, credeva fossero le dita di Hansel e si stupiva perché non volesse proprio ingrassare. Dopo quattro settimane, visto che Hansel era sempre magro, perse la pazienza e non volle più aspettare. -Su, Gretel,- gridò alla fanciulla, -porta l'acqua, svelta; grasso o magro che sia, domani ammazzerò Hansel e lo cucinerò-. Ah, come pianse la povera sorellina! -Risparmiati il piagnisteo, -disse la vecchia,- non serve a nulla.
Al mattino dopo, disse:- Prima di tutto bisogna cuocere il pane, ho già scaldato il forno e impastato. Cacciati dentro,- disse la strega a Gretel,- e guarda se è ben caldo, perché possiamo infornare il pane-. Ma Gretel capì la sua intenzione e disse: - Non so come fare: come faccio a entrarci?- Stupida oca,- disse la vecchia, -l'apertura è abbastanza grande; guarda, potrei entrarci anch'io-. Allora Gretel, con un urtone, la spinse dentro, chiuse lo sportello di ferro e tirò il catenaccio. Corse via e la strega dovette miseramente bruciare.
Gretel corse difilato da Hansel, aprì la stia e lo liberò gridando che la strega era morta ed erano liberi. Dappertutto nella casa della strega c'erano forzieri pieni di perle e di pietre preziose. I bambini si riempirono le tasche ed il grembiule.
-Ma adesso ansiamo via,- disse Hansel, -dobbiamo uscire dal bosco della strega-. Giunsero ad un gran fiume, e Gretel chiamò una bella oca bianca che, uno alla volta, li traghettò dall'altra parte. Camminando, il bosco divenne loro sempre più familiare e alla fine scorsero da lontano la casa del loro babbo. L'uomo non aveva avuto più un'ora lieta da quando aveva lasciato i bambini nel bosco, ma la donna era morta. Gretel e Hansel vuotarono il grembiule e le tasche, così finiron tutti i guai e i tre vissero insieme felici e contenti.


La traduzione è di Clara Bovero, che pur con il passare degli anni resta la mia traduttrice dei Grimm preferita :)