giovedì 19 dicembre 2013

baba jaga e ottia

Sto leggendo “Donne di conoscenza”, di Haria..se non sapete chi è, come vive e cosa scrive, cercatela online.. vi auguro di trovarla (diciamo che preferisce stare nascosta.. ecco ve la spiego così per non rovinarvi la sorpresa). Ovviamente le donne di conoscenza hanno avuto vari altri nomi, nei secoli. “Streghe” è il più adoperato. Fra coloro di cui si legge in questo libro, splendido come tutti quelli di Haria che ho letto, ce n’è una, Ottia, che mi ha tanto ricordato la strega che sto cercando di “studiare” in questo periodo.. vi riporto il passo.
“Non so chi fosse mia madre. Qualcuno – forse una vecchia del villaggio di fango e sterpi dove crebbi – mi impose il nome Tara, e per questo io mi dico figlia di Taro, il sacro torrente dei druschi, il mio popolo sconfitto da miseria e sogni infranti.
Bambina, sguazzavo nei trogoli fra i maiali di cui ero guardiana; più tardi lo fui di cani selvaggi addestrati al combattimento per divertire il tempo irritato di signorotti annoiati, dominatori di Selvòla. Dai cani appresi il ritmo dell’agguato e la forza di resistenza; da Ottia, la strega che un freddo mattino di inverno mi raccolse nel pantano di un recinto alle porte di Volpara, presto ottenni scaltrezza e inflessibilità. Era una vecchia spaventosa ma impeccabile nell’arte della simulazione, qualità che le permetteva di sopravvivere in un tempo in cui la vita di una donna di conoscenza – così definiva se stessa – valeva meno di quella di un cane randagio.
Il primo giorno mi prese a frustate coprendomi di insulti. Rannicchiata contro le travi sconnesse della sua baracca incassata fra due rocce nel fitto di un bosco di castagni ringhiai alla sua violenza, ma non piansi ne’ la implorai di smettere. Mi gettò la frusta addosso, proruppe in una risata irreale e gracchiò che se la mia resistenza era pari alla mia forza d’animo lei avrebbe fatto di me una vera donna di conoscenza.
Ottia non mentiva. Mi lasciò gelare fuori della baracca per due giorni e due notti; al terzo giorno uscì, si stiracchiò, sputò per terra e mi disse che siccome ero ancora lì tanto valeva che mi dessi da fare a raccogliere legna secca per lei. Mi alzai fissandola con aria di sfida. I suoi occhi si socchiusero e un sorriso apparve lungo le linee sottili delle sue labbra.”
Ecco qua. Sarei tentata di chiudere qui e lasciarvi con le parole di chi sa scrivere veramente. Ma provo a dire qualcosa pure io.
Come Baba Jaga, Ottia non va per il sottile, è vecchia brutta ed aggressiva. Mette duramente alla prova la bambina che si sta prendendo in carico. Tara è meno dolce e buona di Vassilissa (ma va detto, ed è importante se come sto provando a fare leggiamo queste storie come storie dell’anima, che Vassilissa è orfana ma la mamma ce l’ha avuta, Tara è figlia dell’abbandono); ne’ lei ne Vassilissa però sono servili con la vecchia, come chi fa il leccapiedi pensando al proprio tornaconto o come chi è debole e sottomesso. Entrambe le ragazze, ognuna con i propri modi, eseguono gli ordini ma non anticipano la vecchia come a voler farle piacere.
Aspettano. Questo è un punto difficile, per me. Anche aspettare è importante. Non è detto che sia sempre giusto “prendersi avanti”. Magari la Megera ci sta facendo aspettare, al freddo ed al buio, perché quello, per noi, è e deve essere il tempo dell’attesa. Siccome non è affatto un’attesa confortevole, e siccome intuiamo che quella strega sarà decisiva per noi, vorremmo bruciare le tappe, o perlomeno non essere lasciate lì come pirla ad aspettare i suoi comodi. Ecco, questo non vale quando si tratta della Donna di un milione di anni. Ci ha aspettato tanto, ed ora ci accorgiamo che è lei a decidere i tempi. E se è tempo di stare fuori al freddo, o seduta zitta finché lei mangia, allora se vogliamo rimanere con lei dobbiamo rassegnarci. Non è mai, lo ribadisco, una rassegnazione debole o menefreghista. Durante questo tempo Vassilissa pensa alle domande per Baba Jaga, e Tara elabora la sua rabbia e la fa diventare Intenzione.
Ottia frusta e impreca, come Baba Jaga piomba addosso urlando. Lulù chiama questo genere di cose “schiaffoni terapeutici”. A volte servono, anche se ammetto di faticare a capire perché, a discernere quando è accettabile da parte dell’anima essere presa a scossoni. Ma è innegabile che è meglio capire subito che il tempo con la strega non sarà facile, e che dobbiamo saper capire quando, anche se subito non siamo accolte, vale la pena di rimanere ed insistere, e quando invece è meglio mandare tutto a fanculo ed andarsene. Questa anche è una sfida difficilissima per il nostro orgoglio e per la nostra capacità di discernimento.
Ottia non mente, come Baba Jaga rispetta i patti. Pur esperta simulatrice, non è sleale con chi è degno. E’ per questo che dobbiamo fidarci della nostra anima selvaggia più nascosta ed antica. E non è facile, perché ci hanno insegnato a non farlo. Inoltre, è arduo attraversare tutti gli strati di bugie e maschere che abbiamo piazzato addosso a noi stesse, alla nostra visione delle cose, all’essenza delle cose stesse, che viene da dire “ma siam sicuri che questa è davvero la mia interiorità vera e profonda, o è solo l’ennesima cazzata che mi sto raccontando?”. Forse può aiutarci ammettere con noi stesse, e tenere a mente, che la Donna di un milione di anni che sta dentro di noi è brutta, incazzata, vecchia, dura e pura. Non risponde a nessun canone di bellezza ed educazione che ci hanno insegnato. Non rispetta nessuna delle regole di quieto vivere che applichiamo per poter stare in società. Sta bene per conto suo, ed è una eccezione quella che fa, se accetta di insegnarci, di donarci il fuoco. Non è la “nostra parte cattiva” nel senso superficiale. Non è quella che vorrebbe farla facile, imbrogliare chi è meno furbo, inveire contro gli extracomunitari ed evitare di pagare il canone. Non è la parte “politically uncorrect”, è di più. E’ quella che ti fa sognare di entrare in casa e trovare un topo morto. E’ quella che viene percepita dal tuo gatto, quando sei incazzata e lui o ti sta lontano e se ne frega di te oppure ti sta vicino solo per saltare e mordicchiare, ma di certo non per stare quieto, sereno e coccolone. E’ quella che ti fa vibrare più forte in certi punti del corpo, che ti fa sentire dolore in certe zone a seconda di con chi sei incazzata o per chi sei triste. E’ quella che è uscita fuori quando hai partorito, se avevi una buona ostetrica, e mai avresti creduto di saper urlare in modo così gutturale.
E’ quella con cui puoi incazzarti, e lei non fa una piega. Tanto tornerai. E se non torni, sarai sempre più perduta.

lunedì 2 dicembre 2013

Fuoco e Misteri


Ci sono cose, per l’anima, che si possono trovare in parecchie fonti diverse. L’esperienza, i consigli degli altri, un buon libro, una canzone od una musica.. ecco, questo Fuoco e questi Misteri no. Questi da fuori non arrivano mica. Arrivano da profondità interne ed ataviche. Da anfratti segreti e bui dentro di noi. Da fuori possono arrivare dei suggerimenti per interpretare quello che viene da questi luoghi che siamo noi ma che noi stessi non conosciamo, e ciò spesso si esprime con un linguaggio misterioso, metaforico, esoterico, difficile da comprendere.
I Misteri che ci rivela Baba Jaga sono solo alcuni di quelli che Lei conosce, perché noi mortali non siamo fatti per la Certezza. Siamo fatti per la Possibilità, per il Dubbio. La vita mortale non è caratterizzata dai punti fermi, bensì dalle occasioni. Perciò certi Segreti devono restare tali. Ognuno può conoscerne alcuni, ma nessuno li può conoscere tutti. “Se troppo saprai, presto invecchierai”, dice infatti la strega. Chi crede di poter sapere tutto, di poter controllare tutto, di avere in mano tutto e dominarlo, non solo è miope a livelli, diciamocelo, imbarazzanti. Chi crede di potere o dovere sapere tutto per vivere bene, si avvicina velocemente alla vecchiaia, ma non alla saggezza. Secondo me Baba Jaga non parla di quella vecchiaia che caratterizza tutte le Grandi Madri, ma della vecchiaia che precede la morte. E, fra l’altro, neanche una morte con una rinascita tanto prossima. Perché più cose si cercano di sapere, più si cerca di avere il controllo, più si ambisce alla quiete, più si limita il movimento. Si crede che stare tranquilli e fermi sia la cosa più giusta da ricercare, nella vita. Ma come dice Lowen, ciò che è completamente fermo è morto. E Baba Jaga, che non è tipo da indorare pillole, ce lo dice abbastanza chiaramente. E possiamo essere certe che se non gestiremo con saggezza il nostro desiderio di conoscere i Misteri e la nostra smania di controllo, ne pagheremo gravi conseguenze.
La Conoscenza a cui possiamo (dobbiamo.. dovremmo) ambire è quella dell’Anima. La conoscenza di noi e di ciò che è buono per noi. La Conoscenza che fa dell’Intuito la più saggia delle guide. Questa conoscenza è data dal Fuoco che la Maga dona a Vassilissa. Non a caso brucia in testa, e negli occhi. Questa Conoscenza vede laddove è buio, brucia laddove è freddo, ci protegge laddove siamo minacciate. Dobbiamo trovarla, guadagnarcela, e fidarci di lei come ci siamo fidate della nostra bambola/intuito. Questo teschio infuocato fa ben più paura della bambola, ma possiede poteri ben maggiori, trasforma le intuizioni in consapevolezze, accompagna attraverso sentieri nuovi, vede tutto quello che ci riguarda e sa scegliere il Buono.
Il fuoco di Baba Jaga si ottiene dando tutte noi stesse. Corpo, ragione, intuito, paura, coraggio, amore, rispetto. La Conoscenza, la Consapevolezza, non si raggiungono se si evita di buttare nell’impresa qualcosa di nostro. O tutto o niente, in questa avventura. Si lascia andare ogni sicurezza per il Vuoto.. qualcosa ci dice che “è questa la casa che cerchiamo”.. qualcosa ci dice che tutto andrà bene, ma quello che dobbiamo investire e giocarci, siamo noi stesse nella nostra interezza. Con impeto, e ben poca razionalità. Ecco che allora le cose prendono a funzionare, con Lei. La Maga rimane severa e non ci sorride, ma chiamarla “Nonna” ci viene più spontaneo. Restiamo spaventate, ed è giusto che sia così, ma iniziamo a comprendere che se rischi tutto, puoi prendere tutto. Tutto quello che serve. Non mettiamoci avidità, in questa Cerca, perché non porta lontano. Volere tutto, qui, è necessario come lo è dare tutto. Ma, ripeto, parlo di volere ed eventualmente ottenere tutto ciò che serve, non tutto ciò che si vuole, non tutto ciò che si riesce ad accaparrarsi, non tutto ciò che capita.
Il Fuoco. Ecco “tutto”.