domenica 23 gennaio 2011

il rituale del serpente


L'autore è Aby Warburg, lo zio Aby di cui avevo postato la biografia poco tempo fa. Scrisse questo saggio sugli indiani Pueblo del centro America, corredandolo con foto che per la maggior parte aveva scattato lui stesso quando aveva visitato quei luoghi. Cioè ventisette anni prima. Aby aveva visitato alcuni villaggi ventisette anni prima di scrivere un saggio su alcune delle abitudini culturali di quei popoli, e in quei ventisette anni non aveva mai più ripreso in mano ne' le foto ne' gli appunti di allora. Già questo mi autorizza a ripetere che Aby è stato un personaggio a dir poco straordinario. Reso ancor più straordinario dal fatto che questo saggio fu scritto per dimostrare la propria capacità di raziocinio lucido e di calma al medico direttore del manicomio dove risiedeva da anni. Adesso, non so se vi è mai capitato di conoscere qualcuno che ha passato un periodo in cura per una malattia mentale. Io ne ho conosciuti molti, alcuni scrivono poesie, altri suonano o dipingono, ma giuro che non ne ho mai conosciuto nessuno in grado di scrivere un saggio antropologico su un popolo conosciuto per poche settimane quasi trent'anni prima.
Il saggio parla principalmente delle danze rituali primitive di questi popoli (fra cui quella con serpenti vivi, da qui viene il titolo), e del fatto che esse sono simbolismi per mettersi in contatto con la natura, con gli animali ritenuti superiori all'uomo, con la terra e con il cielo. Parla di come questi riti religiosi pagani siano in altra forma esattamente come quelli greci, latini, europei medioevali, ma anche orientali, sudamericani, africani. Parla di modi diversi ma collegati fra loro di rapportarsi alla natura e alla divinità, che poi sono la stessa cosa. Parla di come la creazione di un linguaggio simbolico religioso sia il modo di ogni popolo senza tecnologia di mettere uno spazio tra la divinità e l'uomo. Spazio che viene riempito con la preghiera, con i miti, con la filosofia, insomma col pensiero. Parla di come la tecnologia, che toglie i dubbi e pure il timore reverenziale nei confronti della natura, azzera di conseguenza anche questo spazio. Azzerando quindi il pensiero (questo non lo dice apertamente, ma direi che non serve). Almeno un certo tipo di pensiero, il pensiero simbolico ed il pensiero mitico, che oltre ad essere il fondamento di ogni civiltà sono indubbiamente il territorio dove maggiormente risiede il pathos, di cui ognuno è dotato in modo diverso ma che senza dubbio è il fuoco che muove molto, se non tutto, nella vita.
Penso ad Aby ed al suo bruciare. Non posso fare a meno di chiedermi quanto di questo fuoco fosse pazzia, quanto talento e genio, quanto vero amore per la cultura. Ma ripensandoci chissenefrega. Se penso a come catalogare la genialità di qualcuno dividendola fra pazzia, abilità, culo, intuizione eccetera eccetera, allora non ho capito niente. Il pathos è tutte queste cose insieme, e anche molte altre, e non è divisibile o analizzabile, è solo da accettare e vivere per come è. Ognuno di noi E' ogni cosa che lo compone, ognuno è tutto l'insieme delle sue parti, pacchetto completo. Poi alcune parti si modificano, col tempo, l'esperienza, il lavoro interiore, gli eventi esterni. Ma non è che ti smonti e cambi un pezzetto. Quando cambia qualcosa di te, si modifica anche tutto il resto. So che questi pensieri non hanno molto a che fare col libro in se', ma come non pensare a tutte le persone che ci circondano cercando di giudicarci, di cambiarci, di limitarci? Tutte quelle persone che magari ti amano anche, ma hanno la decisa maledetta convinzione che la loro idea ed il loro stile di vita siano gli unici giusti, realisti, vincenti? Tutte quelle persone che proprio perché magari ti amano non si accorgono di come una loro parola possa farti dannatamente, profondamente male. E per seguire il mio ragionamento, se soffri in una tua parte, in realtà stai soffrendo nella tua interezza.
Allora come Aby vorrei dire fanculo a tutto io voglio vivere come sono.
Allora come Aby verrei seguire le mie inclinazioni in tutte le loro sfaccettature.
Allora come Aby vorrei correre il rischio di diventare matta per tutto il casino che ho in testa.
Allora come Aby vorrei accettare una vita con molti fallimenti ma alcune grandi vittorie, che mi fanno soridere di soddisfazione e capire quanto essere completamente "se stessi al cento per cento" sia la felicità.
Purtroppo non ho ne' il denaro, ne' la famiglia numerosa ed in grado di aiutare, ne' il vero talento di Aby. Quindi mi fermo.
"Osservare il cielo è la grazia e la maledizione dell'umanità."

giovedì 13 gennaio 2011

odissea


L'ho iniziato a leggere sabato sera, e ieri sera l'ho finito. Lo scrivo per chi fosse spaventato dal volume del..volume. Non mi sono riuscita a staccare dalle sue pagine finché letteralmente il sonno mi tramortiva, alle tre e mezzo-quattro del mattino.
Inizio così, perché in realtà non so bene cosa scrivere. Perché cosa vuoi scrivere di un'opera così?! A parte il fatto che viene studiata e commentata da duemilacinquecento anni, da gente che sa cosa sta facendo al contrario della sottoscritta che spara cazzate su un blog. A parte il fatto che tutti sanno già di cosa sto parlando. A parte il fatto che anche chi non l'ha letta sa comunque che è straordinaria.
A parte tutto questo, c'è qualcos'altro. Aby Warburg disse "se si leggessero più libri, se ne scriverebbero meno". Ecco, forse il punto è questo. L'Odissea davvero è TROPPO, per permettersi di commentarla. Si commenta da sola. Tu esci con gli amici, o stai chiacchierando con qualcuno, e ne vuoi parlare? Tutto quello che devi dire è, guardando negli occhi l'interlocutore: "Ho appena finito di leggere l'Odissea.", e scuotere lentamente avanti e indietro la testa in segno d'assenso. E l'altra persona deve fare una cosa tipo un leggero sorriso e dire "eeehh", e scuotere pure lui la testa. Così capirete che entrambi avete idea di cosa state parlando, e siete d'accordo sul fatto che, lo ripeto, quel libro non richiede commenti.
Ma una piccola, insignificante cosa la dico. Questo è indubbiamente un libro che, come le divinità di cui parla, entra in te e ti agisce. Prende la tua mente di giorno e di notte. Mentre lo leggi, ti appassioni a livelli pazzeschi, e credi completamente a qualsiasi cosa Omero dica, e mentre leggi vedi con gli occhi in forma di immagine tutto quello che invece tecnicamente stai vedendo in forma di piccoli caratteri neri su fondo bianco. E non smetti, e appena puoi riprendi in mano il libro e il libro allora riprende te, anche se in realtà non ti aveva mai lasciato andare, aveva solo allentato un po' la presa nel momento in cui lo avevi chiuso, ma era comunque rimasto lì, in agguato, sottofondo di tutti i pensieri. Perché quando continui a pensare che vuoi continuare a leggere, e vedi segni invisibili dappertutto che ti fanno pensare a quel tempo e di conseguenza ovviamente a quella storia, quando ti accorgi che hai una sensibilità diversa, che due giorni fa non avevi o avevi perduto..è il demone del libro che ti ha preso e ti agisce. E che credi, di resistere?! Era scritto da qualche parte che tu prendessi in mano proprio l'Odissea proprio quel giorno, a quell'età, con quel passato, quello stato d'animo, quella situazione. Tu cercavi un libro da leggere, ne hai iniziati tre contemporaneamente. E poi, dopo alcuni giorni che leggevi quei tre libri, belli peraltro, l'Odissea arriva nelle tue mani (ma sicuro di averla presa o si sarà mossa da sola?..o ha reso per un attimo invisibili tutti gli altri libri cosicché tu potessi prendere solo lei, come in uno scaffale vuoto?..). Arriva nelle tue mani, dicevo, tu inizi a leggere le prime righe, e a quel punto sei già perduto. Leggi tutto d'un fiato, a malapena attento alle note che per fortuna sulla tua edizione sono striminzite perché il vero commento è scritto tutto insieme in pre e post-fazione, così eviti di perder tempo a leggere note che non ti interessano perché tutto quello che ti interessa è la storia, l'avventura incredibile e mai prevedibile, l'intreccio aggrovigliato ma sempre chiaro, e sorprendente, i personaggi tutti memorabili, i banchetti, l'amicizia e l'amore che quando sono veri sono sterminati, le divinità così potenti e presenti nella vita quotidiana che ti viene da dire sinceramente che le uniche divinità realmente esistenti non possono essere che quelle, e che si incazzino pure tutti gli altri.
Basta, non vado avanti perché davvero sono tutte parole sprecate, perché ripeto l'Odissea è TROPPO. Dovete leggere per capacitarvi.
Ecco.

mercoledì 5 gennaio 2011

novecento


Ci voleva Baricco, per molti motivi.
Primo, perché me l'ha regalato il Solito, grazie P. E già questo è da solo un buon motivo per leggerlo subito.
Secondo, perché questo è un libro svelto da leggere e comprendere, ma che sedimenta dentro nel tempo e lentamente si fa capire.
Terzo, perché qui Baricco ha scritto con uno stile molto, come dire..irlandese. Dritto, chiaro, popolare e fresco, facile anche quando esprime contenuti profondi.
Quarto, perché è proprio bella questa storia cazzo. E' bella da leggere senza cercare significati nascosti, ma lasciando semplicemente che la sua artistica bellezza si esprima da sola, semplicemente, in te.
Quinto, perché quando uno scrive bene per me è sempre un piacere leggere, o rileggere, qualsiasi sua opera.
Sesto, perché Novecento è uno di quei personaggi che, anche quando non la pensi come lui, non puoi non amare visceralmente, perché è geniale, perché è dolce, perché ha così tanto dentro di se'..
Settimo, perché pur passando Novecento tutta la propria vita su una nave, questo non è un classico testo sul viaggio, e proprio per questo motivo mi fa riflettere su quanto il viaggio sia stato e sia un tema esplorato ed espresso in centinaia di modi in letteratura, e ciononostante non sembri mai inflazionato. Ovviamente, se lo scrittore è uno che sa scrivere.
Penso a Chatwin ed ai suoi scritti, nomadi come lui. A Sepulveda, ed ai suoi scritti nostalgici ed avventurosi di esiliato. A Omero, ovviamente, ed al suo Ulisse, che ancora oggi dopo millenni ci fa pensare al viaggio come a qualcosa che ha comunque, prima o poi, un ritorno. Ad un testo inciso su tavolette di argilla, sumero, fate voi i conti su quanto è vecchio, che si chiama "La discesa di Inanna". Inanna è dea del Cielo e della Terra. Ha tutto, è regina di tutto. Eppure, decide di scendere a vedere il regno della Morte, che è di sua sorella, e ne resta intrappolata. Non so se Inanna era semplicemente stufa di casa sua, anche se la sua casa era l'intero vasto mondo, se volesse conquistare anche gli Inferi, se era curiosa di ciò che non aveva mai visto, se voleva portare la propria esuberanza di vita anche nell'oscuro regno degli Inferi. Ma tant'è, mi viene da pensare che se Inanna avesse ascoltato Novecento..o magari se Novecento avesse preso un po' spunto da Inanna.. :) chissà se si sono ritrovati, da qualche parte.