venerdì 19 aprile 2013


Cleopatra. E' disperata perché il suo amore non la vuole, ma non perde la propria posa seduttiva..visto chi l'ha dipinta, non credo sia perché deve piacere a qualcuno, quanto perché la seduttività fa parte di lei, e anche se il suo amore se ne sta andando lei non smette del tutto di essere se' stessa. Infatti è ancora con l'aspide in mano, indecisa se uccidersi. Una donna come tante, alla fine..che si ucciderà per evitare la schiavitù, più che la solitudine..
e guarda un po' quanto questa Cleopatra somiglia a Maria qui sotto..
Tori Amos ci ha insegnato che la prostituta e la santa sono la stessa persona..che dalla stessa vagina che è eterna attrattiva sessuale nasce la Vita..
Probabilmente Artemisia ha adoperato se' stessa come modella, perciò questi due personaggi si assomigliano tanto. Ma non ci potrebbe essere anche un messaggio più sottile? In tempi in cui ancora la pittura poteva contenere i segreti, quelli veri. A volte erano messaggi leggibili solo da chi era affiliato ad una qualche società segreta, altre volte avevano significati politici altrimenti oggetto di censura, altre ancora volevano essere dipinti da tenere nascosti, magari per avevre sempre con se' l'immagine dell'amata, quanto sposata con qualcun altro, musa..altre volte i dipinti nascondono un paganesimo che palesato sarebbe costato la scomunica..e qui apro una parentesi e vi mando al dipinto del post precedente, dove la protagonista, Aurora, casualmente sembra rifiutare l'angelo ed allungarsi tutta verso il Bosco..
Ma tornando ai dipinti di questo post..per me Artemisia ci vuole comunicare anche questo..che le sue donne sono eroine, e lo sono tutte. E, forse, sono un po' tutte la stessa Donna.

lunedì 15 aprile 2013

artemisia



Artemisia si sposò dunque, e se ne andò a Firenze. Visse tempi abbastanza felici, caratterizzati da tanti alti e bassi economici, da tre figli dei quali solo una sopravvisse, e da un traguardo professionale incredibile: l'ammissione all'Accademia del Disegno. Fu la prima donna a raggiungere questo obiettivo.
Non fu facile però, e gli anni fiorentini si concluderanno con la partenza di Artemisia assieme alla figlia Palmira Prudenzia. Ma senza suo marito, con il quale ci furono non ben precisati problemi. Un po' l'invidia di lui, che venne ammesso all'Accademia solo dopo sua moglie. Un po' il fatto che probabilmente la tradì. Un po' che facilmente non apprezzava il fatto che Artemisia fosse autonoma non solo nei comportamenti ma anche dal lato economico.
Artemisia viaggio molto, forse a Genova, sicuramente a Venezia. Poi di nuovo a Roma, dove nonostante fossero passati anni dal processo ebbe ancora vita difficile. Infine a Napoli, dove tranne un breve soggiorno a Londra rimase fino alla morte e fece sposare Prudenzia ed un altra figlia, che ebbe non si sa da chi. Che già per questo..una grande.
Solo a Napoli le furono affidate commissioni che non fossero ritratti, come ad esempio delle pale d'altare. I committenti avevano il desiderio pruriginoso di vedere come una donna dipingeva le donne. Avevano il desiderio morboso di vedere delitti sanguinolenti e caravaggesco realismo. Ma mi piace pensare che le eroine di Artemisia accontentassero anche un altro desiderio, magari più celato e difficile da comprendere ed esprimere, magari non presente proprio in tutti..Il desiderio di vedere come la Libertà, il Coraggio, la Forza, l'Integrità, siano possibili, e lo siano in tutti. Proprio tutti, che significa anche tutte. Il desiderio di guardare in faccia la Dea nella sua giusta ira come nella sua crudeltà mai gratuita. Il desiderio di accorgersi che non sempre chi è all'aparenza più forte ha ragione. Il desiderio di vedere come gli eventi, e le persone, si possono guardare da molte differenti angolazioni.
Stasera mi lascia questo, Artemisia. Una visione diversa. Perché questo non è l'unico mondo possibile.

giovedì 11 aprile 2013

segnatevi!!!! è importante, prendetevi cinque minuti



anche riconoscere le lingue degli altri è un modo di far vincere l'Amore

http://www.change.org/it/petizioni/io-segno-la-lis-ma-lo-stato-italiano-non-riconosce-la-mia-lingua-iosegno

donne dududu8: Artemisia Gentileschi



da qualche anno su una mensola a casa mia se ne stava, non ancora letto, un libro dal titolo "La passione di Artemisia", di Susan Vreeland. Un po' perché il tempo è quello che è, un po' perché di Artemisia qualcosa avevo comunque studiato per conto mio, un po' perché, dopo che lo avevo già comprato, avevo letto che non era fra i migliori libri scritti su di lei.
In effetti, non è molto aderente alla vera storia della sua vita, ci sono delle lacune non da poco giustificate comunque dal fatto che il libro non è una biografia bensì un romanzo, e quindi ha la sua dose di fantasia e drammatizzazione. Quindi, se volete avere notizie precise sulla vita di questa pittrice, magari scegliete un altro libro. Ma questo ha avuto il merito di farmi vedere lucidamente perché la Gentileschi è stata e spesso è ancora un emblema del femminismo. In questo la Vreeland riesce bene, a far passare i sentimenti, il pathos, il dramma ed il fuoco.
Artemisia fu figlia di un pittore molto quotato all'epoca (fine 1500-1600) a Roma, Orazio Gentileschi. Fu tenuta a battesimo da un altro pittore. I suoi fratelli dipingevano. Visse in un quartiere di pittori. La pittura al tempo non era più solo artigianato ma era già diventata arte, grazie alle figure gigantesche di Leonardo, Tiziano, Raffaello, Mantegna, Michelangelo, Tintoretto e di molti, moltissimi altri. Però la pittura era ancora sostanzialmente un lavoro, un'attività con dei costi e dei ricavi, con delle committenze di varia origine (ecclesiastica, di corte, privata, nobile, borghese...). Un mestiere di bottega, e la bottega di un pittore come qualsiasi altra diventava il luogo di lavoro di tutta la sua famiglia, una generazione dopo l'altra. Verrebbe da pensare che sia stato naturale per Artemisia diventare pittrice.
Certo che no. Era una donna e questo chiaramente cambiava tutto. Neanche a dirlo, no? Ci furono, prima di lei e nei suoi stessi anni, altre donne pittrici. Ma era un percorso accidentato e difficile. In questo senso Orazio riconobbe il grande talento della figlia e ne divenne il promotore, insegnandole tutto ciò che sapeva, mostrando le sue opere agli altri, scrivendo lettere di elogio.
Fino a quel giorno.
Agostino Tassi era un pittore anche lui: era amico di Orazio, dipingevano insieme il Casino delle Muse della villa di cardinal Borghese. Dopo il lavoro, cenavano spesso insieme, ridendo e parlando di arte e della vita di ogni giorno. Orazio gli aveva chiesto di insegnare le tecniche della prospettiva ad Artemisia, e lui l'aveva fatto.
Beh. L'aveva anche stuprata ad un certo punto. Ma le aveva promesso di sposarla però. Che carino. Peccato che Tassi fosse già sposato, e contemporaneamente avesse anche una tresca con la sorella dell'ignara mogliettina. Sempre più carino.
Artemisia ed il padre denunciarono Agostino, ma l'impegno di Orazio a quanto pare si fermò li'. Artemisia fu la vera accusata in quel processo: trattata da puttana, da ragazzina che se l'era andata a cercare, sottoposta molto probabilmente a visita ginecologica (come poteva essere svolta nel Seicento) davanti agli occhi compiaciuti di giudice avvocati e notaio, e soprattutto sottoposta a tortura. Sì, lei. Non Agostino, il porco, che naturalmente non fece mai una piega nel vedere a quanto dolore fosse sottoposta la donna che aveva giurato di amare. Se una donna muoveva accuse verso un uomo, specialmente certe accuse, veniva torturata. Se anche sotto tortura continuava a sostenere le stesse accuse, e non moriva, allora forse l'uomo in questione riceveva una condanna. La sibilla, si chiamava questa consuetudine. La tortura era concentrata sulle dita. A volte veniva legata una corda attorno ad ogni dito, e poi stretta sempre più fino a che si potevano anche segare le dita, appunto. Atre volte era lo schiacciamento dei pollici. Possiamo immaginare, oltre al dolore ed alla paura, il chiarissimo pensiero nella testa di Artemisia: una carriera, quella di pittrice, finita. Che vuoi fare senza l'uso delle dita? Possiamo immaginare il dolore anche interiore di questa ragazzina, che era vittima e tutti volevano far passare come colpevole, e che vedeva il proprio amato papà rimanere lì senza far nulla, permettere tutto questo.
Perciò Artemisia ritirò le accuse. Agostino fu condannato ad una pena più di facciata che reale, e lei fu segnata a dito come una puttana e per di più bugiarda. Il resto lo racconto nel prossimo post.
Mi piace pensare ad una cosa: qualche anno dopo questi eventi, la Gentileschi conobbe Galileo Galilei, e rimase con lui sempre in buoni rapporti. Chissà cosa avrà pensato Artemisia quando, anni dopo, sempre a Roma, Galileo fu costretto all'abiura. Chissà quanto simili le devono essere sembrati il giudice e l'inquisitore. Chissà se ha pianto per la miserabile e laida crudeltà abietta del mondo. Artemisia perdonò suo padre, forse, poco prima che lui morisse. Ci vollero anni, e capisco benissimo perché, visto che lui l'aveva abbandonata (e si vocifera che anche lui avesse avuto con la figlia un rapporto non completamente onesto). Chissà se Galileo divenne un pochino il padre che Artemisia sognava, un uomo leale, pulito, un uomo che capisce ed accoglie.
Orazio procurò alla figlia un matrimonio riparatore, veloce e nascosto, con un modesto pittore fiorentino, Pierantonio Stiattesi. Così Artemisia se ne andò da Roma alla volta di Firenze, e da quel momento in poi ebbe una vita ed una carriera tutto sommato positive, anche se fra alti e bassi. Nei prossimi post vorrei raccontare del suo rapporto col marito, dei suoi viaggi, delle sue figlie..
Oggi mi fermo qui, con negli occhi l'immagine di questa ragazza straordinaria, piena di talento e di dolore e di rabbia e di paura e di fuoco, che riuscì a fare di questa miscela esplosiva una miscela da usare sulla tela. E con che risultati.