lunedì 10 maggio 2010

l'esclusa


Libro numero dieci, siamo a metà della settimana numero sei della mia sfida intitolata "52settimane50libri", di cui scrivevo nell'ultimo post di marzo. Sono in anticipo, ma mi prendo avanti per quando non leggerò niente da poter postare qui, tipo il manuale di archeologia...
L'esclusa dunque. Intanto, così a bruciapelo: che figata di titolo.
Pubblicato per la prima volta a puntate su un giornale nel 1901, dopo otto anni che era stato scritto. E non perché in quegli anni Pirandello si fosse tenuto il romanzo per se', ma perché il romanzo era stato "escluso" dagli editori. A leggere che un libro così è stato snobbato per tanti anni, davvero non mi capacito.
Poi ci penso meglio e mi accorgo che, rispetto ad altri romanzi dello stesso periodo, il linguaggio è decisamente diverso. L'esclusa sembra scritto dopo, la lingua è molto più vicina a noi, senza ridondanze o paroloni, senza voli romantici ne' discorsi drammatici che a volte, pur straordinari, possono dare l'idea del "polpettone". No. Pirandello scrive asciutto. Però si capisce dove vuole arrivare. Asciutto, ma dannatamente bene, ancor più se si pensa che questo è il suo primo romanzo. Asciutto, e narra una storia piena di sorprese e colpi di scena, piena di emozioni fortissime provate dai protagonisti, piena di dolore, energia e voglia di riscatto, di punizioni ingiuste e crudeli e di dispiaceri al limite del suicidio. Parla di una donna accusata ingiustamente, che si rialza da sola, che sceglie di mantenersi, che si fa un amante anche se mai, neanche un attimo, si vede libera di scegliere (storicamente, è ancora presto anche se parliamo di Pirandello). Insomma se la storia fosse venuta in mente ad altri autori, ne sarebbe uscito un drammone romantico strappalacrime da quattrocento pagine, invece che un volume di 125 che più che di drammone sa di cronaca.
Ecco perché è stato snobbato, forse. Perché racconta in modo secco, quasi rassegnato, quasi menefreghista, una storia che poteva diventare incredibilmente sentimentale e commovente, da far emozionare tutte le signore perbene che avrebbero comprato il libro. E invece ti emoziona sì, ma non ti fa perdere la testa. E' drammatica ed anche erotica per quel tempo, in alcuni tratti, e di certo è scritta in un modo che ti vedi in testa come in un film ogni singola scena (da subito era portato per il teatro, quest'uomo..), ma non ti impersonifichi fino a perdere la lucidità, come in altri romanzi. Forse (almeno, io la vedo così) l'autore, oltre che stare sulla via rivoluzionaria del verismo, che è lo stile a lui vicino sia temporalmente che geograficamente, forse dicevo vuole farci notare che per cambiare le cose occorre sì provare compassione per gli sfortunati, ma anche usare il cervello. Forse il realismo serve anche a farci capire che non è giudicando il prossimo che si va avanti, qualunque sia il comportamento o l'opinione che il prossimo manifesta. Assenza di giudizio significa secondo me osservare come si comportano gli altri, ma non dimenticarci mai che tutto potrebbe capitare anche a noi. E in base a questo decidere il nostro agire ed il nostro pensare, liberamente e senza retoriche accuse agli altri. Oggi, a distanza di un secolo, capiamo che, visto come scrivevano anche i migliori di quel tempo, davvero Pirandello è stato un gigante assoluto. Non l'unico, per carità. Ma un talento così davvero è rarissimo, e non perché lo dico io, ovviamente, ma perché è impossibile non notarlo.
Ah, l'ho già detto che il titolo è una figata? Mi piace troppooo!!! :)

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