domenica 26 dicembre 2010
aby warburg - un banchiere prestato all'arte
biografia di una passione, è il sottotitolo di questo incredibile libro.Una biografia scritta come un romanzo, quindi scorrevole ed appassionante, con un linguaggio curato e chiaro e tante, tante notizie e storie. Tutte stanno dentro una storia più grande, quella di Aby Warburg e della sua Biblioteca, dei suoi progetti e delle sue vicende. Forse questa biografia poteva essere scritta solo come un romanzo, perché simile ad un romanzo è stata la vita di questo genio. Seppure non avventurosa o con colpi di scena enormi, è stata una vita che pochi, pochissimi al mondo potrebbero vantarsi di aver vissuto. La vita di un genio matto ma lucidissimo, in cui la passione è stata la causa, la guida e anche l'esito di ogni scelta, di ogni scoperta fatta, di ogni argomento studiato, di ogni progetto più o meno rivoluzionario, di ogni libro comprato, di ogni viaggio.
"Vita privata e vita intellettuale, teorie e sentimenti formavano allora un grande falò bruciato da un fuoco di inquietudine e di esaltazione insieme."
Aby Warburg era primogenito di una ricchissima e potentissima famiglia ebrea di banchieri (i fratelli minori sarebbero diventati i principali fautori del piano Dawes, furono grandissimi amici di gente come Albert Einstein, e cambiarono le sorti degli Stati Uniti, dove vivevano, e conseguentemente del mondo). Rinunciò ai diritti della primogenitura, li cedette al secondogenito Max, facendosi promettere in cambio un perpetuo finanziamento della sua vera vocazione: i libri e la cultura. Il fratello accettò, e Aby divenne Storico della cultura, e si dedicò a questo argomento enorme per tutta la vita, passando dalla storia dell'arte all'astrologia all'etnologia e chi più ne ha più ne metta. Ah, dimenticavo, la storia della rinuncia ai diritti di primogenitura e del patto con Max, si svolse quando Aby aveva tredici anni. Che solo qui capisci quanto davvero fosse bruciante, quel falò.
Aby divenne uno dei più grandi studiosi di storia dell'arte e della cultura di sempre. Visse per anni a Firenze, da profondo amante e conoscitore del Rinascimento qual era. Visse altri anni ad Amburgo, dove aprì a colleghi e studenti la biblioteca di casa propria, che contava allora più di quarantamila volumi. Naturalmente i volumi crebbero, iniziarono vari progetti che collegavano la Biblioteca Warburg ad altri centri culturali, ci furono due guerre mondiali, e la Biblioteca fuggì a Londra, dove dopo altre peripezie fu accolta in locali dati dall'Università, per arrivare oggi a contenere circa trecentomila volumi, altre migliaia di pubblicazioni ed una enorme collezione di immagini, nata dall'ultimo progetto di Aby, mnemosyne. Il 40% dei volumi presenti nella Biblioteca Warburg, non si trova nella British Library. Puoi immaginare quanto possano essere rari quei volumi?! Unici al mondo!
Ma dai tempi del patto con Max, Aby andò in America dove conobbe il popolo degli indios Pueblo, visse appunto a Firenze, si sposò, fece quattro figli, tornò ad Amburgo, comprò casa, andò in manicomio per anni (un manicomio per pazienti ricchi e colti, ma pur sempre tale), tenne conferenze, conobbe i più grandi personaggi di quel tempo, si fece odiare da tanti con la sua arroganza ed il suo fare dispotico, e contemporaneamente si fece amare per l'irresistibile fascino che aveva, appena apriva bocca. Il fascino del genio, dell'uomo colto, anzi coltissimo, e soprattutto dell'uomo in cui la passione, di nuovo questa magica parola, la passione dicevo era palesemente percepibile, e si sprigionava da lui come luce.
"...la passione è una forza che non si acquista o si conquista ma è connaturata in pochi esseri umani, e solo in pochi. Chi ha passione riceve passione (...). Aby Warburg non avrebbe potuto essere ricordato se non per colui che aveva elaborato la teoria della Pathosformel e che aveva trovato nel concetto di pathos la fusione finale di tutti i suoi conflitti."
Come quasi sempre accade con le biografie, il personaggio di cui il libro parla oscura lo stile, il linguaggio, il ritmo, insomma l'autore. Ciononostante, ricorderò sempre il nome di Francesca Cernia Slovin, per avermi fatto conoscere Aby Warburg e la sua straordinaria vita.
venerdì 17 dicembre 2010
salomé
embé, che ti vuoi dimenticare di leggere Oscar Wilde?!
Questa è una tragedia, è scritta per il teatro, e sinceramente secondo me non potrebbe esserci altro modo per raccontare una storia così, sessuale truculenta e crudele. Tutto è dialogo, con un po' di scena. Niente analisi psicologica, o meglio l'analisi devi fartela da te, mentre leggi, perché ovviamente non è che gli attori sul palco si possono mettere a spiegarti come si sente il loro personaggio, e quindi nemmeno sul testo lo trovi questo. Però è proprio lì il bello, che rende le opere teatrali, almeno quelle scritte bene, magiche. Il bello, dicevo, è che non puoi non sentirti coinvolto, quasi lì presente, perché lo scrittore ha fatto in modo che non sembri esserci niente di "cerebrale", tutto è visualizzabile, tutto quel che c'è scritto lo puoi vedere su un palco o comunque facilmente immaginare. Poi, naturalmente, c'è una serie di significati sotterranei, tutti da pensare. Ma anche se non avessi voglia di pensare, l'opera ti cattura comunque, con la potenza che c'è in ogni parola, nel gioco delle ripetizioni, nel ritmo del dialogo. Il teatro è forse la più diretta imitazione della vita reale che si possa fare in letteratura, perciò non poteva non piacermi.
E questa storia in particolare è accesa, sanguinosa, intensa, incalzante, drammatica, muscolare e coinvolgente, anche senza andare per forza a cercare i significati profondi come dicevo. Tutta immagine, colore, sensualità non solo come erotismo ma anche come qualcosa che è legato a doppio filo con i sensi. Naturalmente, è anche una bellissima messa in scena di sentimenti quali il risentimento, la perdita di controllo, la vendetta, la paura. Naturalmente, è anche una straordinaria dimostrazione di come i segni, la simbologia, possano cambiare il comportamento di qualcuno. E molto altro che io non ho capito, o che non sto a cercare di dire ma che dentro di me è rimasto.
Dunque questo diventa uno di quei miracoli di libri che puoi leggere sia quando hai voglia di riflettere intensamente, sia quando vuoi leggere qualcosa che ti colpisca subito senza tanto faticarci, sia quando vuoi leggere della buona, ottima letteratura senza dover star lì a decidere. E' uno di quei libri con cui vai sempre sul sicuro. Vitale, in ogni senso.
lunedì 13 dicembre 2010
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
le città invisibili
ne ho citato un brano qualche post fa, ma ancora non ne avevo scritto. Sono tornata con grande piacere nel meraviglioso pianeta Calvino, che mi stupisce sempre più ad ogni rigo della sua sterminata produzione. Mi sono avvicinata alle sue opere tardi, e come mi è capitato anche con altri autori ne sono tremendamente dispiaciuta, perché i suoi libri mi piacciono tantissimo e mi sembra disgustoso essermene privata fino a poco tempo fa.
Dunque. Se volete perdervi, leggete questo libro. Perdervi in una enorme selva di città inventate, fantasiose, dai nomi femminili che come ogni femminilità ricordano la diffidenza magica ed affascinante di un essere che è a metà fra preda e predatore. Città costruite nei modi più differenti e strambi, abitate da ninfe, o da morti, o da persone che si sono perse, o da viaggiatori, o da gente con facce che hai già visto, città senza uscita, città per aria, città che vivono sulla propria leggenda ma forse non sono reali. Perdervi nei dialoghi fra l'imperatore Kublai Khan ed il mercante da lui inviato in esplorazione, Marco Polo. Dialoghi fatti, oltre che di parole, di gesti, di oggetti, di lunghi silenzi, di partite a scacchi, di illustrazioni guardate su un atlante molto speciale. Dialoghi misteriosi, dove Kublai e Marco non capiscono più bene se stanno davvero parlando, o solo immaginando, se davvero esistono o no, se almeno alcune delle mitiche città descritte dal mercante sono vere, oppure se è tutta immaginazione, o ancora se ogni città è in realtà la descrizione amplificata di un diverso angolo della stessa città, Venezia, la città di Marco.
Se volete ritrovarvi, leggete questo libro. Ritrovare in ogni città qualcosa delle vostre vite, delle persone che avete conosciuto, dei vostri sogni desideri aspettative paure rabbie opinioni credenze. Ritrovare il piacere di leggere per leggere, senza riuscire a smettere. Ritrovare il piacere che si prova quando mentre stai leggendo una storia ti accorgi che dentro ce n'è un'altra, o molte altre, che non ti aspettavi, e che ti fanno sembrare il libro come una raccolta, anche se sono poche pagine. Ritrovare il piacere di quei dialoghi fumosi, a volte profondi altre meno, a volte più ricchi di silenzio che di parole, che qualche volta nella vita sei riuscito a fare con gli amici più sinceri, o con qualcuno con cui è avvenuto il prodigio di capirsi al volo, ai limiti della telepatia.
Perdetevi nella letteratura per ritrovare la letteratura, nella magnifica pienezza che può dare alla vita, o almeno a quelle ore che riuscite a ritagliarvi per leggere.
venerdì 10 dicembre 2010
la dodicesima notte
beh, non puoi non leggere shakespeare. E leggere le commedie fa sempre bene perché qualsiasi sia il tuo umore loro ti tirano su. Un aspetto che mi ha colpito di questo libro è stato proprio l'inventiva dello scrittore. Mentre leggevo mi ripetevo :"che trovata!nel seicento!", e solo per questo la lettura sarebbe già fantastica, perché pur essendo stata scritta quattrocento anni fa, quest'opera non è mai ovvia. Come tutto Shakespeare. Ma secondo me è bene ricordarlo perché, siccome le sue storie sono famosissime, potrebbe sembrare leggendole di aver di fronte qualcosa di già visto, ed invece non bisogna farsi ingannare dal fatto che sapevamo già come va a finire, ed apprezzare a fondo la forza innovativa di questi libri.
E poi, i personaggi sono così reali e moderni, che ti sembra di conoscerli, e le loro caratteristiche ti sono familiari. Gli amici festaioli, allegri, casinisti e un tantino eccessivi. La servetta furba, svelta e divertente. Il servitore arrogante e pieno di se' che poi viene imbrogliato e fa la figura del pirla. La signora elegante e di fermissimi principi che quando si innamora manda affanculo tutti i suddetti principi. La ragazza che si nasconde e nasconde i propri sentimenti. L'amico fedele e coraggioso. Il ragazzo leale e pieno di fuoco.
Ci sono tutti, ci siamo tutti, qui: noi, le nostre famiglie, i nostri amici, i nostri amori, i colleghi stronzi, i compagni di scuola, le amanti. Leggo, rido ed è come se avessi davanti agli occhi le facce dei personaggi, sentissi nelle orecchie le loro battute, provassi sulla pelle e nel cuore le loro emozioni, percepissi le loro voglie e paure.
Soooo amazing!!!!
venerdì 26 novembre 2010
amado e borges
di entrambi ho letto l'opera prima, questo mese. Per Borges la raccolta di poesie si chiama Fervore di Buenos Aires; il primo romanzo di Amado è Il paese del carnevale. Borges aveva 24 anni, Amado 19. Entrambi poi avrebbero scritto di meglio ed infatti durante la loro lunga vita hanno ricevuto innumerevoli premi, lauree honoris causa, onorificenze di ogni tipo. Ma il punto non sta qui.
La verità è che possiamo dire solo adesso che hanno scritto di meglio, perché abbiamo letto le opere successive, che rimarranno per sempre nella storia. Ma se Fervore di Buenos Aires e Il paese del carnevale non fossero state seguite da altro, ci renderemmo più facilmente conto di quanto siano oggettivamente libri ottimi.
Sono ottimi, per i temi come per la lingua, per come dipingono un'Argentina ed un Brasile speciali e amatissimi, per come rispecchiano l'anima e le idee dei loro autori, oltre che un incommensurabile talento.
Scrivo un unico post per due libri perché pur essendo molto diversi, mi hanno dato la medesima sensazione di gioioso stupore mentre li leggevo. Mi sorprendevo di più ad ogni riga, pensando al fatto che queste sono state "solo" due opere prime,e guarda un po' che bombe! Ricordo che l'ho pensato anche con Eva di Verga e L'esclusa di Pirandello. Vai avanti a leggere e ti dici "Cristo, che genio questo!". Sai che vette ha raggiunto dopo e ciononostante ti rendi conto che anche queste prime "prove" non hanno niente da invidiare all'ennesimo libro di molti scrittori affermati. Anzi. Adesso, non voglio nominare il solito famigerato Moccia, ma penso a scrittori e scrittrici di romanzi più o meno frivoli, non perché sia sbagliato scrivere romanzi allegri e divertenti, ma quando leggi l'ennesimo romanzo uguale a decine di altri, con la stessa storia, la stessa impostazione, gli stessi dialoghi, lo stesso intreccio, le stesse frasi fatte..allora hai diritto di gridare dentro di te (ma se volete, aprite la finestra e gridatelo anche fuori..): ECCHECCAZZOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!
Anche Dona Flor e i suoi due mariti, uno dei più famosi romanzi proprio di Amado, è a suo modo frivolo, nel senso che non è drammatico o impegnato o altro, ma la storia sensazionale che racconta e il modo in cui la racconta ne fanno qualcosa di meraviglioso. Per dirne uno.
Quindi, mi permetto di ribadire, ancor di più dopo la lettura di questi due libri giovanili e bellissimi, che per fortuna almeno in letteratura il Meglio c'è, e si vede. Si vede da subito.
lunedì 22 novembre 2010
saggio su Pan
Parlando di provocazioni, questo saggio è perfetto.
Non posso permettermi di consigliarlo, non perché sia brutto anzi a me è piaciuto moltissimo, ma è dannatamente intenso e complicato. Bisogna volerlo leggere, e prepararsi a far uscire fumo dalle orecchie per quanto il cervello lavora per starci dietro. Almeno, per me è stato così, probabilmente perché non ho tutti gli strumenti culturali, intesi proprio come letture di autori spesso poco conosciuti o molto specialistici , e come conoscenza della cultura classica pre-cristiana.
Comunque.
Ci ho provato, e ne è valsa la pena. Come dicevo per Virginia Woolf, non ho capito niente, ma è bellissimo.
Come dice il titolo, l'autore scrive sul dio Pan, il dio rappresentato come un capro, che se ne va in giro a stuprare ninfe, ed è la causa degli incubi, della paura (panico, appunto), ma anche dell'istinto, del cosiddetto sesto senso, dell'approccio più direttamente naturale alle cose ed alle situazioni. E' il dio della Natura, Pan. Per questo il cristianesimo ne ha avuto immensa paura, perché la Natura e l'istinto sono ovviamente fuori controllo e la chiesa cattolica è l'emblema della smania di controllo. Pan è quindi stato "ucciso", relegato a figura inesistente o più spesso fatto passare come emblema del Male. Il diavolo ha infatti aspetto caprino, il diavolo E' Pan.
Ecco, solo fin qui ci sarebbe già abbastanza da spaccarsi la testa su tutti i risvolti.
Il saggio invece si srotola, attraverso citazioni, rimandi ad altri autori, collegamenti alla psicologia alla filosofia alla religione alla psicanalisi e chi più ne ha più ne metta.., si srotola dicevo attraverso la descrizione e l'analisi di tutti gli aspetti propri del dio, dall'incubo allo stupro alle ninfe alla paura ed altro ancora. Naturalmente questi vari aspetti sono analizzati soprattutto rispetto alla persona. Ad onorare la tesi, secondo l'autore, che Pan così come molti altri archetipi rappresentati nella mitologia, governa la realtà e soprattutto l'animo umano. In effetti, la mitologia è stata la prima grande "enciclopedia" dell'Uomo, in tutti i suoi aspetti, pratici come interiori. Quindi ci sta.
Bello, bello, bello.
Di più però non ho capito. Scusate. Ma lo rileggerò e poi ci riproverò.
lolita
E' davvero difficile, questo romanzo. Non tanto per i concetti che ti esprime, che in fondo sono chiari, ne' per il linguaggio, che è elaborato ma comprensibilissimo e scorrevole.
L'ho trovato difficile perché mi ha messo davanti una storia cruda e crudele, da affrontare così com'è, sordida malata e cattiva, dolorosa sporca e senza speranza. Davvero complesso, da affrontare e da capire.
E' difficile affrontare che la pedofilia sia qualcosa di insito ed istintuale in molti esseri umani; che in certe culture passate e presenti fosse e sia normale perciò non capisci bene dove sia il limite, se ne esiste uno.
E' duro affrontare che il bambino o la bambina possa in effetti istigare alla sessualità, per sfida o per divertimento, rendendosi più o meno conto di quello che fa, ma forse mai del rischio che corre; che forse davvero alcuni pedofili, in alcuni casi, non si rendono conto, mentre lo stanno facendo, di distruggere per sempre la vita di un bambino.
E' arduo affrontare una realtà così vecchia ed a cui si reagisce in così tanti e differenti modi nelle diverse persone e società (i pedofili sono visti come delinquenti, malati mentali, normali cittadini che sposano ragazzine, fonti di reddito vedi i turisti del sesso, mostri..).
La mia opinione sulla pedofilia è ininfluente qui, ed in effetti lo fu anche quella di Nabokov, che si era sempre disinteressato di scrivere per insegnare, propagandare o altro, ma che semplicemente aveva idee e le sviluppava e, se gli pareva funzionassero, proseguiva nel lavoro, ma fondamentalmente scriveva per scrivere. Nabokov diceva che la parola "realtà" è una delle poche parole che senza virgolette non hanno alcun senso: a mio avviso questo significa che, in ambito letterario, per ciò che riguardava la propria arte, Nabokov se ne fregava abbastanza della realtà. Così come se ne fregava, per esempio, della sua personale tragedia di esiliato politico e continuava a scrivere, anche in lingue che non erano la sua lingua madre (Lolita è nato in inglese, e solo dopo è stato tradotto, fra le altre, anche in russo, e dallo stesso Nabokov), lingue che gli permettevano di dire quel che voleva. Pur di scrivere sorpassò la sua propria realtà dunque, e allora perché non sorpassare anche la realtà in senso più ampio? Intendiamoci, il romanzo è pieno di rimandi realistici, a luoghi tempi eventi, e racconta una storia verosimile esprimendo sensazioni verosimili. Ma non ha niente a che vedere con il pensiero dell'autore a riguardo.
Perciò ritengo corretto non prendermi la libertà di inserire il mio pensiero sul tema del romanzo. Ecco, il difficile dove sta, nell'esimersi dal giudicare la pedofilia mentre si sta leggendo un romanzo sulla pedofilia. Tanto più che il romanzo è indubbiamente arte, è bellissimo e potente, e non te lo puoi dimenticare come invece puoi fare con, che ne so, certi articoletti scandalistici. Quasi tutta l'arte è provocatoria, e quando la provocazione è così forte, brutale direi, non può non cambiarti. Anche se ti fa paura, anche se è complicata, anche se vorresti chiudere il libro e scappare, anche se vorresti dimenticartene. L'arte è anche questo, e a mio modo di vedere questa "scomodità" ha valore, ed ha valore la sua esperienza.
domenica 21 novembre 2010
lezioni americane
in questi giorni, in questo mese actually, la voglia di leggere è stata tanta, e il tempo poco, così anche scrivere qui mi sembrava un furto di tempo alle mie letture.
Così adesso mi toccherà scrivere tutti insieme i post dei libri letti negli ultimi venti giorni, e vi risparmio eventuali post su come mi sento, come vedo la vita,and other bullshit.
Ma a scrivere di Calvino non posso proprio rinunciare, ovviamente non perché il mondo abbia bisogno dei miei ingenui, insulsi, anonimi commenti su Calvino, ma perché ho proprio bisogno di esprimere come mi sento in merito a questo saggio, anche se il post non verrà letto.
Allora.
Complesso, intricato, denso di riferimenti e significati e consigli e citazioni, ricco, con un linguaggio così curato straordinario vario e preciso da cambiarti la testa.
Sì, davvero, perché mi sento di dire che chinque voglia provare a scrivere qualcosa con lo scopo di farsi pubblicare dovrebbe leggere questo saggio. Anzi, chiunque IN ASSOLUTO dovrebbe leggerlo. Andrebbe introdotto a scuola obbligatoriamente.
Non solo per gli argomenti trattati, e per la poesia con cui se ne parla, ma anche appunto per l'uso della lingua, della scrittura, del lessico che fa quest'uomo. Tutti abbiamo scritto un tema nella vita. Ma al di la' dei temi e della scuola, tutti abbiamo dovuto o potuto o voluto fare un discorso importante almeno una volta. Non importa se è un discorso pubblico, se è una dichiarazione d'amore, se è un discorso di scuse. Non importa l'argomento, o meglio dovrebbe essere ovvio che se riteniamo importante il discorso che stiamo per fare allora dovremmo aver scelto un argomento ed una argomentazione come si deve. Parlo proprio del modo di esprimersi, che deve, DEVE essere almeno decente, e spessissimo invece non lo è. Oggi al mio paese c'è stata una piccola conferenza sull'educazione alla lettura dei bimbi fin da piccoli. L'assessore alla cultura e innovazione ha fatto un brevissimo discorso di benvenuto, durato penso tre minuti, e quei tre minuti sono stati ricchi solo di gravi errori grammaticali, ripetizioni e di un vocabolario credo di quaranta parole in tutto, considerando anche le preposizioni e gli articoli. Non voglio essere snob, giuro. Ma cazzo, è una conferenza sulla lettura, e ri-cazzo, sei assessore alla cultura!
E' anche per questo che fa bene leggere questo saggio, nel quale Calvino, nel 1985, presentò sei valori che avrebbe voluto portare nel nuovo millennio, in ambito letterario. Mentre leggi, non puoi non spostarti dalla letteratura alla vita e ritorno, ed è giusto e ovvio che sia così, perché la letteratura, come ogni altra manifestazione culturale, E' la vita. Perché è il linguaggio che ci rende unici nel mondo animale e vegetale, e sono le nostre manifestazioni culturali che definiscono la nostra umanità, e il nostro impegno per affermare la personalità che abbiamo, individuale o collettiva. Perchè non siamo nati con la penna in mano, ne' con qualsiasi altro strumento. Noi siamo nati nudi, incapaci di comunicare comprensibilmente e di eseguire la maggior parte delle azioni che caratterizzano un'intera vita. Però abbiamo imparato, ed impariamo. E questo ci rende speciali, perché nessun altro animale è in grado di imparare tanto quanto noi, e di operare connessioni o ragionamenti come noi. E' un dono straordinario, e va coltivato molto più di quanto la maggior parte di noi faccia abitualmente. E leggere questo saggio è veramente un enorme suggerimento su cosa coltivare e come, in ambito letterario ma non solo. E costituisce anche, questa lettura, un potente incentivo a migliorare, se riesci a superare il fatto che sei maledettamente mediocre e minuscolo rispetto a gente come l'autore. Ma in fondo, che importa se non sono all'altezza di Calvino? Lo so che non lo sono. Ma questo saggio mi fa pensare che, forse, anche io ho qualcosa da dare. E, sicuramente, posso migliorare in molti ambiti della vita, se lo voglio.
"Ognuno deve tirare fuori l'opera d'arte che è in se'". L'ha detto Michelangelo. E forse ne capisco più a fondo il significato, oggi.
domenica 7 novembre 2010
italo calvino, lezioni americane- rapidità-
oggi il valore che voglio raccomandare è proprio questo:in un'epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano d'appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, la funzione della letteratura è la comunicazione tra ciò che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensì esaltandone la differenza, secondo la vocazione propria del linguaggio scritto.
quando perdi qualcosa ti ricordi del valore che aveva. Lo si dice spesso. Allora mi piacerebbe che oggi l'intera umanità piangesse, come abbiamo fatto in tanti ieri sera, una lacrima per Pompei.
Una lacrima per un patrimonio immenso che è abbandonato da anni.
Una lacrima per dei siti davvero, davvero unici in tutto il mondo.
Una lacrima per una serie di classi politiche inette ignoranti irrispettose ignobili idiote incapaci che anche in questa occasione hanno dimostrato di aver tradito il proprio paese.
Una lacrima perché quando perdi qualcosa di così straordinario non puoi dire la solita frase fatta "beh con tutti i problemi che ci sono questo non è poi così grave", come è stato detto delle opere perse col terremoto dell'Aquila, o ancor prima di Assisi. Certo che è grave cazzo. Perché la cultura, la storia, l'arte, ci rendono quelli che siamo, perché se ancora c'è qualcosa di buono questo viene per la maggior parte da lì, dalla cultura, perché un mondo senza arte è freddo bieco vuoto e per molti versi inutile.
Una lacrima perché un pezzo di noi è andato perso solo perché a chi di dovere non è fregata una minchia.
Una lacrima perché non si torna indietro.
Una lacrima perché se come diceva qualcuno la Bellezza ci salverà, stiamo degenerando sempre più inevitabilmente verso l'opposto della salvezza.
Una lacrima perché per politici che odiano il proprio paese non c'è scusa.
Una lacrima perché se loro ci odiano, forse piangendo per noi stessi potremmo iniziare a provare ad amarci da soli.
Si fottano. Si fottano. Si fottano.
sabato 23 ottobre 2010
che paese, l'america
Rabbrividisco da sola di fronte alla mia ignoranza, dato che non sapevo che Frank McCourt, autore del romanzo, è anche autore di "Le ceneri di Angela", del 1977, per il quale vinse nientemeno che il Pulitzer. Rabbrividisco nuovamente mentre scrivo che io Le ceneri di Angela non l'ho letto. Chiedo venia.
Parlo quindi di quello che ho letto, e che da ignorante quale è ormai dimostrato che sono ho trovato intenso, pieno di vita e di storie di vita come piace a me, fresco e diretto in pieno stile irlandese (come sempre l'Irlanda e i suoi prodotti non mi deludono, pur essendo McCourt nato a New York), nuovo nelle idee e pieno di speranze, pur descrivendo le vicende di chi scappa dalla povertà per arrivare dritto in mezzo ad altra povertà. Il protagonista ce la fa: sceglie un percorso che non è tipicamente quello da sogno americano, non fa tanti soldi, il suo matrimonio finisce per fallire, seppellisce sua madre e torna in Irlanda al funerale del padre alcolizzato che non vedeva da anni.
Quando dico che ce la fa quindi, non intendo che tutto gli funziona perfettamente, che si inserisce nella società (e quale cazzo sarebbe la società in cui inserirsi?, viene da pensare leggendo il libro), che vive per sempre felice e contento. Questo è un romanzo che parla della vita vera, e nella vita vera non succede mai che ti vanno tutte dritte, anche quando magari credi che sia così. Vedi il post sulle scelte. Anche se si ottiene molto, prima o poi si paga sempre.
Il romanzo è quindi l'emblema che quasi tutto è più difficile di quanto pensavamo, è l'emblema che l'impegno e l'umiltà pagano anche se non sempre nel senso più immediato che potremmo intendere, è l'emblema che i soldi non fanno la felicità ma comunque un pochini bisogna averne, e soprattutto che quando sono coperte almeno le necessità essenziali non si dovrebbe proprio mai lamentarsi.
Sempre avanti quindi, sempre spingendo verso quello che per te è il meglio, ma senza continuare a tormentarsi di ininterrotte inutili questioni. Perché a volte se pensi troppo finisce che non combini un tubo.
Concludo con una frase della madre del protagonista, che ha tirato su i figli da sola e senza un soldo, che ha patito come tante e tante madri irlandesi alcune delle quali sono state nominate pure in questo insulso blog. Una frase da appuntarsi sul frigo insieme a tante altre.
"Nessuno ha così tanto da fare da non riuscire a farsi una tazza di the decente, e se davvero ha così tanto da fare allora una tazza di the decente non se la merita, e in fondo che senso ha la vita? Siamo nati per avere tanto da fare o per stare a chiacchierare davanti a una buona tazza di the?"
Bisogna che mi procuro "Le ceneri di Angela".
mercoledì 20 ottobre 2010
simposio
Questo è considerato il più bello degli scritti sull'amore di tutta l'antichità.
Basterebbe per convincere chiunque a leggerlo, questo che è veramente un dialogo straordinario, che proprio non ti capaciti di come potesse Platone avere quell'incredibile testa.
I personaggi si trovano a cena, e ad un certo punto decidono che, a turno, ognuno deve fare un discorso di encomio sul dio Eros. Ecco, detta così sembra l'inizio di un qualsiasi romanzetto. E invece è una delle raccolte di pensieri sull'Amore più intense, profonde, insolite, affascinanti che io abbia mai letto. E, dato che il libro è ancora famosissimo dopo 2400 anni, dev'essere stata una lettura incredibile anche per molti altri migliori di me.
Eros, il vero motore della vita, colui che anima ogni pensiero nobile e buono, colui che stimola gli uomini a compiere le azioni migliori, colui che tira fuori il meglio di ognuno, la forza che fa muovere tutto, colui che può portare gli esseri umani all'immortalità.
L'amore qui è nobile e potente, ed è quello che non guarda il genere sessuale, il denaro, il potere politico, ma guarda la bellezza. Inizialmente si intende la bellezza fisica, per poi salire di livello, all'intelligenza, alla volontà di apprendere, alla bontà d'animo e alla correttezza, fino ad arrivare alla Bellezza, quella assoluta. Che ispira l'amore, quello assoluto. Se mai capirò bene quali sono, cosa sono, la Bellezza universale e l'Amore universale, ve lo faccio sapere.
Ma intanto è una meravigliosa fonte di speranza sapere che ci sono.
E' una meravigliosa fonte di speranza leggere il complesso ma chiarissimo pensiero di Socrate sull'argomento.
Perchè i pensieri espressi qui, nel Simposio, sono così sensati, intelligenti, convincenti e chiari che, almeno un po', ti viene da crederci. Perchè se già sono esistiti, essere umani come questi, puoi credere che ne esista qualcuno anche oggi, o che esisterà.
E in fondo, se ci credi, se almeno ci speri, tutto può succedere.
giovedì 14 ottobre 2010
baccanti
Ragazzi, WOW!!! Se Medea era cattiva e matta, le signorine protagoniste di questa tragedia lo sono altrettanto, ma sono tante. E quindi fanno un vero, assoluto, incommensurabile macello.
La fantasia di Euripide si è scatenata, e quel che è più pazzesco è che molti riti da lui descritti sono veri, appartenevano ad un'epoca un po' precedente la sua ma erano ancora ben vivi nella memoria di tutti.
Questa è una delle tragedie più famose della storia, è considerata l'ultima vera grande tragedia, quella che indica la morte di questo genere. Gli autori successivi furono tutti considerati imitatori di Euripide, tutti a scrivere per un genere evidentemente in stato di esaurimento e declino.
Ma se le Baccanti segnano la fine della tragedia, beh è proprio il caso di dire che se n'è andata col botto.
Una storia disperata, in cui la hybris del re Penteo viene punita in modo a dir poco esemplare da Dioniso. Dioniso, Bacco, con l'innegabile fascino che ha, lui che ha regalato a tutti gli uomini, poveri o potenti, "la quieta gioia del vino", lui che più di ogni altro personaggio di realtà o fantasia nella storia rappresenta il "lasciarsi andare", "smarrire la ragione", perdersi nei riti mistici, con la danza, la musica, le urla, la frenesia. Lui, Bromio, il Fremente.
E chi non ci crede, chi non ha rispetto per lui, chi dice che non è un vero dio ma solo un ciarlatano che vuole usare le donne, chi non crede che sia davvero un figlio di Zeus, chi vuole togliergli la libertà, i fedeli e le baccanti sue devote, ne subirà la giusta, indignata ira.
Non potete perdervi come il dio fa lentamente perdere il senno anche a Penteo (che non crede in lui e anzi vuole imprigionarlo) e lo svergogna di fronte al popolo di Tebe, di cui Penteo è il re.
Non potete perdervi i canti del coro in onore di Dioniso, canti che sembrano d'amore, più che di onore.
Non potete perdervi Agave che marcia trionfale con la testa del figlio, come un trofeo.
Non potete perdervi il furore, la violenza, la follia, il misticismo, la passione, la potenza.
Non potete perdervi la tragedia.
mercoledì 13 ottobre 2010
ermes
Il romanzo è il primo di Simonetta Poggiali. E' ambientato a Napoli, la Napoli di oggi sporca cattiva e difficile, ma con alcuni angoli che ti regalano ancora sospiri, sorrisi e sogni.
Comunque una città violenta, dove la delinquenza fa da padrone, dove tutto o quasi si fa per convenienza o per paura o per onore. C'è poco amore nella Napoli di questo libro, poca amicizia, pochissima tenerezza.
Però c'è il protagonista, Luigino. Un adolescente grasso e dolce che fa il duro, che fa il corriere fra chi paga il pizzo e chi lo riscuote. Ma che immagina un altro futuro. E anche un altro presente. Che si affeziona. Si innamora. Che ama le cose fresche e pulite e il rispetto dato per merito e non per paura. Che si pone delle domande. Che prova a rispondere. Che soffre in silenzio ma non è sopraffatto dal dolore al punto di diventare freddo e crudele. Che mantiene la sua sensibilità.
Luigino che a suo modo dice basta a tutta la merda. Luigino che è grasso ma vola sul motorino, per portare le mesate dei negozianti ai suoi superiori, ma anche per andare a Marechiaro con gli amici e Ninetta, che lui ama sinceramente e forse è ricambiato, almeno finché il fidanzato di lei non esce di galera per tornare a comandare e spaventare il quartiere.
Luigino che come Ermes è un messaggero. Che porta con se quello che gli fanno portare, e che accompagnerà anche l'amata in un viaggio di quelli epici.
Luigino, che alla fine in un certo senso non ce la fa, ma che ci prova, come è capace, e in questi tempi e in quella realtà è già tanto, tantissimo.
Ermes, il semidio messaggero degli dei. Luigino, così meravigliosamente, poeticamente, crudamente umano, si sente come lui. E vola.
giovedì 7 ottobre 2010
l'arte d'amare
ovidio è un gran figo, ve lo dico proprio fuori dai denti.
Mi sono tanto, tanto divertita leggendo questo libro, così moderno, allegro, scanzonato, diretto. E poi c'è il fascino indubbio che hanno i libri molto vecchi e molto pieni di divagazioni e storie che noi non conosciamo o conosciamo solo a metà.
Al di la' di tutto comunque, ho veramente riso tanto, perché non mi sarei mai aspettata di leggere un manuale per conquistare le donne e gli uomini, per tenerseli, per fare bene l'amore, che fosse scritto duemila anni fa e risultasse così attuale! Mi viene da dire che il cristianesimo ne ha proprio fatti di danni...ma non divaghiamo.
Fra le varie cose che ho imparato ci sono le seguenti: che l'adulazione è sempre, SEMPRE una delle armi migliori per conquistare chicchessia. Che le bugie certe volte è meglio dirle. Che quando si fa arrabbiare una donna, un ottimo modo per ricucire è il sesso, bollente e fatto bene. Che, per le donne, tutto si consuma tranne "lei". Giuro che lo ha scritto proprio Ovidio!!! Fantastico..
martedì 5 ottobre 2010
trilogia sporca dell'avana -senza un cazzo da fare
ve lo dicevo che l'avrei postato, prima o poi.
La scrittura è schietta, sporca, cattiva e un tantino pornografica.
I temi sono schietti, sporchi, cattivi e un tantino pornografici.
Come la vita. Come la vita a Cuba. Come la vita all'Avana.
Le idee espresse sono a dir poco potenti, incisive, straordinariamente lucide nella loro apparente confusione. Molto, ma proprio molto di quello che c'è scritto in questo breve romanzo rappresenta il mio modo di pensare ed approcciarmi alla vita. Impulsivo, impudente, improvviso, implacabile. Generoso, utopista nonostante tutto, sarcastico, sognatore.
Le donne del libro sono le donne dell'avana, mulatte nere bianche, stupende, schiette, furbe, troie, innamorate del sesso del rum della marijuana e della vita.
Donne che ti mandano in acqua il cervello, che ti fanno capire perché la gente ama ancora Cuba pur nella crisi, senza acqua, senza cibo, senza soldi. Senza un cazzo da fare. Donne -e uomini- che scompigliano il paesaggio. Che scompigliano i pensieri. Che scompigliano le budella e gli ormoni.
Qui ci sono strani fantastici tipi seduti sulla terrazza, strani fantastici tipi seduti sul malecon, strani fantastici tipi seduti sul marciapiede. Infermiere porche, che sono le migliori. Ex poeti/giornalisti/scrittori che vivono vendendo quello che raccattano e sfruttando la propria fidanzata che si prostituisce coi turisti. Donne che dopo tre figli, senza cibo, palestra ne' creme hanno ancora corpi incredibili. Gente che canta per strada, gente che aspetta in fila per la razione mensile di riso, o di rum, o di sigarette, decidete voi.
Un libro che, sì, descrive un protagonista e vari personaggi "senza un cazzo da fare", ma nel quale non puoi non vedere la frenesia, la golosità, l'irrequietezza, la passione con cui si vive.
Un protagonista che si sente vecchio ma gira con un ritmo che qui neanche se hai vent'anni e ti sei appena fatto di cocaina.
Leggetelo, leggetelo, leggetelo.
Godete, godete, godete.
lunedì 4 ottobre 2010
tu sei lei
Otto scrittrici italiane. E' il sottotitolo.
Otto racconti brevi, molto contemporanei, con un linguaggio fuori dagli schemi, intendendo per schemi i romanzi alla Bridget Jones. Occhio, io la adoro Bridget Jones, lo stile di quei libri mi piace e mi diverte molto. Semplicemente, in questa raccolta quello stile non c'è.
Di un paio di racconti non ci ho capito niente, non ho apprezzato la brutalità. Altri invece mi sono piaciuti , e c'ho anche capito di più.
Scrivono crudo, quasi tutte, altre usano una scrittura da sceneggiatori, da teatro.
Chi parla di maternità, chi di emarginazione, chi di contorti triangoli.
Tutti i racconti finiscono più o meno male. Ecco, questo mi ha colpito, la scelta di descrivere il negativo, il triste, la decadenza.
Nessuno ha il classico lieto fine, all'americana per capirci. Neanche all'europea. Quanto sono europee queste italiane. Europee nel senso che come la vecchia e vissuta e un po' marcia Europa non hanno quella visione speranzosa (un po' illusa?decisamente "giovane") da sogno americano, europee perché si vede che non scrivono più le solite storie, le solite trame, i soliti finali, i soliti punti di vista, e cercano..cercano. Basta.
Non posso onestamente dire che questo sarà nella lista dei miei libri preferiti, ne' che ho apprezzato particolarmente alcune storie e alcuni modi di scrivere, troppo strani per me. Ma altrettanto onestamente dico che davvero va molto apprezzato il tentativo, a volte più riuscito a volte meno (ovviamente per il mio gusto) di queste scrittrici, che sono moderne nel senso più proprio del termine, pur vivendo una situazione che spingerebbe, per avere successo, a scrivere in modo più convenzionale. Mentre loro no. Provocatorie, nuove, originali, mai banali, bislacche. Come spesso dico, l'arte è lo specchio dei tempi. Ed è bello vedere che anche in questi tempi in cui molto sembra svenduto, qualcuno sceglie la via meno battuta. La propria.
Otto racconti brevi, molto contemporanei, con un linguaggio fuori dagli schemi, intendendo per schemi i romanzi alla Bridget Jones. Occhio, io la adoro Bridget Jones, lo stile di quei libri mi piace e mi diverte molto. Semplicemente, in questa raccolta quello stile non c'è.
Di un paio di racconti non ci ho capito niente, non ho apprezzato la brutalità. Altri invece mi sono piaciuti , e c'ho anche capito di più.
Scrivono crudo, quasi tutte, altre usano una scrittura da sceneggiatori, da teatro.
Chi parla di maternità, chi di emarginazione, chi di contorti triangoli.
Tutti i racconti finiscono più o meno male. Ecco, questo mi ha colpito, la scelta di descrivere il negativo, il triste, la decadenza.
Nessuno ha il classico lieto fine, all'americana per capirci. Neanche all'europea. Quanto sono europee queste italiane. Europee nel senso che come la vecchia e vissuta e un po' marcia Europa non hanno quella visione speranzosa (un po' illusa?decisamente "giovane") da sogno americano, europee perché si vede che non scrivono più le solite storie, le solite trame, i soliti finali, i soliti punti di vista, e cercano..cercano. Basta.
Non posso onestamente dire che questo sarà nella lista dei miei libri preferiti, ne' che ho apprezzato particolarmente alcune storie e alcuni modi di scrivere, troppo strani per me. Ma altrettanto onestamente dico che davvero va molto apprezzato il tentativo, a volte più riuscito a volte meno (ovviamente per il mio gusto) di queste scrittrici, che sono moderne nel senso più proprio del termine, pur vivendo una situazione che spingerebbe, per avere successo, a scrivere in modo più convenzionale. Mentre loro no. Provocatorie, nuove, originali, mai banali, bislacche. Come spesso dico, l'arte è lo specchio dei tempi. Ed è bello vedere che anche in questi tempi in cui molto sembra svenduto, qualcuno sceglie la via meno battuta. La propria.
sabato 18 settembre 2010
la favola di eros e psiche
Si parlava di poteri magici, nel precedente post. Beh, chi meglio di Apuleio allora?! Le sue "Metamorfosi" sono uno degli scritti più criptici in assoluto, gonfi del misticismo del quale l'autore era un esperto praticante. Questa favola è tratta appunto dalle Metamorfosi, è una lunga digressione all'interno della storia e costituisce, evidentemente, storia a se'.
La puoi leggere così com'è, senza cercare significati nascosti, come ho fatto io la prma volta dieci anni fa, ed è comunque bellissima. L'epopea della povera Psiche, che davvero attraversa mille e mille difficoltà per riuscire, finalmente, a stare col suo vero amore, è commovente ma allo stesso tempo sorprendente. Commovente come tutte le grandi storie d'amore, e guai a chi ce le tocca. Sorprendente perché i due amanti mica devono affrontare prove da quattro soldi tipo i genitori che non ti fanno uscire, la macchina che non va, il cellulare rotto, l'improvvisa morte del gatto, il terzo incomodo che appare all'orizzonte (mettetevela via, c'è SEMPRE un terzo incomodo..), le difficoltà economiche, la playstation che uccide il sesso..no, niente di tutto questo.
Eros imbroglia la propria madre per poter stare con la signorina. E vi ricordo che la madre di Eros è Venere. Avete idea se si incazza Venere che può succedere?!
Psiche prende un po' dell'acqua alla fonte del fiume Stige in una piccola brocca di vetro finissimo per portarla alla suddetta Venere e farsi perdonare. LO STIGE!!!!!!!!! Il fiume sacro che attraversa gli inferi, la cui fonte è in cima ad uno strapiombodi rocce aguzze protetto da draghi!
E queste sono solo due delle varie tremende prove.E il resto?!Faccio un altro esempio. Le stronze delle sorelle di lei, che per invidia fanno in modo che Psiche perda il suo amato, vengono punite con la morte per sfracellamento giù da una rupe. Zeus, mica cazzi, fa da intermediario alla riappacificazione dell'adirata mammina Venere col figlio e la disgraziata di mortale di cui si è innamorato. Quindi, anche se la leggete così, semplicemente per il significato letterale, è, ripeto, una storia stupenda.
Però, se avete l'occasione, provate anche a leggerla con delle note a margine, oppure con una breve introduzione. Poi è possibile che, come me, non ci capirete molto, perché l'introduzione è poco esauriente (come nel librettino che ho io) o perché comunque non ci capite granché di misticismo (sempre per basarmi su me stessa). Anyway, non importa quanto ci capiamo, noi comuni mortali moderni. L'importante è l'impegno. Perché se almeno sai che ci sono dei significati nascosti, ti sforzi di trovarli, con l'indispensabile aiuto delle note storico-filosofiche di chi cura il libro. Perché se vedi quanto è intrigante tutto questo mistero, magari provi a saperne di più sull'argomento, ti documenti, cerchi altri testi, e questo fa sempre un gran bene. Perché se capisci cosa voleva dire Apuleio, magari capisci anche che altre interpretazioni sono fuorvianti, sbagliate rispetto all'originale, e correggi il tiro.
Faccio un esempio. Psiche non può vedere il marito: lui arriva di notte, fanno l'amore, parlano, dormono, e prima che spunti l'alba lui se ne va. Psiche non sa che faccia abbia suo marito, e nemmeno sa (lo scoprirà dopo) che lui è un dio, Eros appunto. Se lo avesse guardato, non sarebbero più potuti stare insieme. Nel significato originale, lei non poteva vedere lui perché il mortale non può permettersi di guardare in faccia la divinità, ma accettarla incondizionatamente. Solo così la divinità può dare amore. L'interpretazione che ne ha dato la Chiesa è stata: la donna non può vedere il marito nudo.
Ora è più chiaro il mio discorso?! Tutte le storie antiche, e se possibile ancor di più tutte le storie della Bibbia e dei Vangeli, straripano di significati a noi oscuri, di parti non tramandate per i motivi più diversi, di accenni a concetti o personaggi dimenticati. Se qualche volta riusciamo ad accendere, per qualche minuto, un piccolo lume su quell'immensa oscurità che contribuisce enormemente a fare la storia dell'umanità, beh, vale la pena approfittarne, prima che si spenga.
E sennò, godetevi comunque questa magica, meravigliosa favola.
martedì 14 settembre 2010
poesie 2
Riscopro, di nuovo con gioia e stupore, Saffo, la mitica. Che dolcezza infinita, che delicatezza e che eleganza assolute, ma anche che fuoco denro di lei! Molto è stato perduto, quindi magari ha scritto poemi lunghissimi e a noi sono rimasti solo frammenti, ma mi piace pensare invece che Saffo scrivesse proprio cose così, leggere come un soffio di vento, quel vento che ti scompiglia i capelli un poco e ti regala un sorriso che ti rallegra la giornata. Brevi come breve è spesso il tempo dell'amore. Misteriose, perchè in pochissime parole dicono tutto, e perché il sentimento, il desiderio, la passione, e l'inquietudine e la sofferenza che ne derivano, sono sempr eun grande segreto. Sì, inquietudine è una buona parola per Saffo.Mi chiedo se davvero i grandi autori di quel tempo non avessero poteri magici. Tipo vedere il futuro, leggere il pensiero anche a distanza di generazioni e chilometri, esprimere sentimenti e concetti universali. Mentre scrivo universali però penso al fatto che forse davvero l'anima dell'essere umano non cambia, nello spazio e nel tempo. Perciò sentimenti come l'amore, il desiderio, la delicatezza, e anche (non pensando a Saffo ora) la furbizia, la violenza, la corruzione, rimangono immutati pur mutando la realtà storica, effettuale delle cose. Per questo forse sentiamo ancora vicini molti autori pur antichi, non so dire se perché erano i migliori o perché avevano alcuni atteggiamenti più vicini alla modernità o perché chi li ha tradotti e interpretati ha fatto un buon lavoro. Penso anche però che forse siamo stati educati così da centinaia di generazioni, e perciò il nostro stile è quello, perciò li sentiamo nelle nostre corde questi artisti. Anche chi crede solo nel progresso e nella modernità non può non ammettere che non possiamo prescindere dall'età classica, greca e poi latina, che anche nel periodo medioevale è stata quasi sempre messa da parte, ma mai dimenticata.Non possiamo prescindere dal Rinascimento, dal pensiero Illuminista, dall'amore per l'armonia di proporzioni, dal rispetto spesso quasi religioso per il passato. E visto che passato, come fai a non rispettarlo ed amarlo, pur con tutte le sue contraddizioni ed i suoi errori? Forse è perché siamo europei che amiamo Ovidio, Dante, Spinoza, Boccaccio (per citarne solo pochi e per stare sole in campo letterario), così intensamente. E, anche se non li amiamo, comunque ce li portiamo appresso attraverso infiniti eventi e generazioni.
Saffo dunque, e tutti gli altri, ci hanno formato anche se non li abbiamo mai letti? Erano talmente geniali che hanno davvero trovato qualcosa di universale, ed un modo universale per parlarne? Cadevano in trance e comunicavano con l'assoluto?. Non l so, forse tutte queste risposte sono giuste, sicuramente lo sono anche altre. Fatto sta che, dopo dieci anni che non la rileggevo, mi ha (di nuovo) dato tanto. Inaspettatamente(?).
poesie 1
in questi giorni tra accanito studio per gli esami che mi attendono come una falce, asilo che inizia con tutti gli annessi e connessi, lavoro +straordinario, pulizie, impegni extra, e qualche volta anche cose tipo lavarmi e dormire (mangiare, come ogni occidentale impegnato che si rispetti, mangio sui libri o in piedi mentre passo l'aspirapolvere), in questi giorni dicevo il tempo per le letture è proprio poco..I'll come back soon..
intanto, mi leggo poesie e racconti brevi, che occupano meno tempo e sono comunque molto interessanti.
Non sono ferrata in poesia, perché come ho già detto e ridetto mi piacciono le storie, se sono lunghe e incasinate ancora meglio, perciò la poesia, per definizione breve e frammentaria, tende a volte a non lasciarmi molto. Però il suo lato oscuro e criptico ha anche su di me l'indiscutibile fascino che ha sempre avuto ed avrà sempre su tutti quanti. La magia che fanno i poeti ogni volta che scrivono e, in pochissime parole, ti lasciano una storia, una miriade di sentimenti emozioni impressioni, descrizioni che sembrano dipinti, ricordi che sono loro ma tu finisci per fare un po' tuoi..tutto questo, e il molto altro che si cela nelle parole di una poesia, è a dir poco affascinante.
E così, riprendendo un po' a caso alcuni vecchi librettini che avevo comprato a 3900 lire quando ero ragazzina, riscopro non senza gioia e stupore Pasolini, di cui ho amato alcuni brevi romanzi ma le poesie non le ricordavo, lunghe intensissime e come un po' tutta la sua opera intrise della vita, delle esperienze personali dell'autore, ma senza (ovviamente) intento cronachistico, quanto direi intimistico. Perciò un avvenimento, una scoperta, lo stesso scorrere della vita e dell'età, tu li intuisci attraverso la descrizione che lui fa di quel che prova, di quel che teme, di come la vede. E così anche se razionalmente lo rifiuti, non puoi non provare pena per lo straziante dolore di uno che scopre in se' qualcosa di inaccettabile e odia se' stesso, e rispetto perché pur non potendo cambiare la propria natura si contiene, cosa tanto rara. E così leggi con infinita tenerezza i versi per una madre amatissima. Leggi le descrizioni accorate dell'amato Friuli e ti sembra quasi di avere negli occhi le luce che emana il sole subito prima di tramontare, e sotto le gambe l'erba delle rive del Tagliamento.
E' come ben si sa anche socialmente schierato ed impegnato Pasolini, e certe poesie bisogna leggerle perché anche se inizialmente solo dal titolo ti sembrano ormai fuori dal tuo tempo, non puoi non amare la sensazione che ti lasciano. Un misto di fervore quasi rivoluzionario e di amarezza..perché quando finisci di leggere, un minuto dopo che ti sei svegliata dal sogno, ti ricordi che quei tempi non ci sono più, e adesso chi protesta è un nemico della democrazia e un violento, e chi si oppone se non è un politico è un terrorista o un masochista, se è un politico un coglione talmente pauroso e scarso di idee ed iniziative da dare tutta l'impressione dell'inetto totale.
Ho riscoperto anche molti altri, in questi giorni, ma il post diventa troppo lungo. Per oggi basta così..
lunedì 13 settembre 2010
lunedì 6 settembre 2010
kim
Avevo letto qualcosa di Kipling, come quasi tutti, almeno tutti quelli dalla mia età in su. Ho amato visceralmente I libri della Giungla, mi sono piaciuti i racconti brevi come Il palanchino fantasma, ed ho il dolce ricordo, inesorabilmente legato a "L'attimo fuggente", di Puck il folletto.
Questo romanzo rispetta tutte le grandi aspettative che avevo iniziando a leggerlo. Anzi, direi che va oltre molte delle mie aspettative. Essendo stato considerato per anni un libro per ragazzi, mi aspettavo un bel romanzo di avventure, scritto con una marcia in più data la straordinarietà del suo autore. Ed invece, esattamente come è stato per I libri della Giungla, ho trovato molto, davvero molto di più.
Ho trovato l'India che è diventata quella dei sogni dei nostri genitori e nonni, e anche un po' dei nostri di sogni, quell'India misteriosa magica pericolosa grande incredibile, dove tutti gli hippies si sono rifugiati, sono andati in viaggio, o avrebbero voluto farlo. E mi ha stordito. Mi ha fatto desiderare, ad ogni pagina, di essere lì, proprio lì con Kim, con il lama Teshoo e con tutti gli altri meravigliosi personaggi di questo fumoso sogno messo per iscritto.
Ho trovato il pensiero orientale descritto con rispetto, accettazione, poca sorpresa e...come dire?ecco, sembrava, pur essendo Kipilng un pessimista assoluto, che stesse sorridendo attraverso le pagine del suo libro. Un sorriso sotto i baffi, a tratti amaro, a tratti ironico, ma sempre e comunque un sorriso per quell'Oriente percepito come ostile, Oriente che, allora, si mangiava chiunque non vi si sapesse o volesse adattare. Ma un sorriso, nonostante tutto, di -malcelato- amore.
Ho trovato l'amore filiale per qualcuno che non è biologicamente un genitore ma finisce per essere tutta una famiglia, per un ragazzino che è chiamato "amico di tutto il mondo" ma che è inesorabilmente solo.
Ho trovato l'amore paterno per qualcuno che non è biologicamente un figlio ma finisce per essere tutta una famiglia, per un vecchio che è stimato rispettato e amato come un santo ma che non ricordava la spontaneità e la freschezza che possono avere l'affetto, la tenerezza, la condivisione.
Ho trovato situazioni divertenti davvero, riflessioni profonde come abissi, filosofie complesse, misteri insondabili, battute taglienti (soprattutto verso gli occidentali invadenti ed invasori, ignoranti e prepotenti), episodi di infinita dolcezza e devozione.
Ho trovato l'avventura, ovviamente. I servizi segreti inglesi in India, ve lo potete immaginare farne parte?! E farne parte allora, in un'epoca ancora romantica e tutto sommato dignitosa, non come quella attuale piena solo di violenza gratuita e fottuti computer. Un'epoca di lettere segrete, coltelli, biglietti nascosti nelle noci, infiniti tragitti a piedi, a dorso di cavallo o al massimo in treno, donne velate sì ma vere capifamiglia, un'epoca a piedi scalzi per strade di terra, un'epoca in cui il Tibet era ancora inviolabile, in cui dare uno schiaffo ad un religioso poteva costarti il linciaggio, un'epoca di collegi per studiare e bimbi che pur essendo senza fissa dimora erano di casa da tutti, liberi di correre per strada, ricevere sì qualche calcio ma più spesso una scodella di zuppa. Lì c'era la vera avventura. Qui, in questo libro, è descritta quell'avventura che ancora adesso ci fa sognare, la stessa che ci ha fatto appassionare ai Pirati dei Caraibi (insieme ovviamente a quel pezzo d'uomo di Johnny Depp..), a tutti i film su Artù ed il suo tempo, a libri e film come Il codice da Vinci, o come quelli sulle guerriglie partigiane, combattute in montagna, fra i boschi, senza comunicazioni o armi di distruzione di massa. Tutte storie che parlano di un passato ormai mitico, perché non c'è più ma anche e soprattutto perché la realtà e gli ideali di quel passato li sentiamo così lontani da sembrarci quasi impossibili, sognati da registi e scrittori più che veramente vissuti dalle generazioni precedenti.
Ho trovato tutto in questo libro. L'India che Kipling ha conosciuto, le strade su cui ha camminato, gli usi i costumi e gli stili di vita che ha trovato, le idee che ha respirato, i cibi che ha assaggiato, la lingua che ha imparato, i paesaggi che ha ammirato, le paure che ha avuto, lo straniamento che lo ha preso. E, naturalmente, perfettamente mischiata a tutta questa realtà, ho trovato la magnifica fantasia di questo scrittore, fervida colorata e prolifica, incontenibile ma mirabilmente guidata e perfezionata da uno stile impeccabile, da una genialità indiscutibile, dal rigore che lo contraddistinse, nei confronti di se' stesso e del proprio lavoro, del quale non era mai contento.
Quanta vita, in pochi fogli di carta.
domenica 15 agosto 2010
zia mame
l'ho riletto anche questo, ed ho riso a crepapelle come e più della prima volta, l'estate scorsa. Lo scorso anno questo romanzo, scritto da Patrick Dennis e pubblicato per la prima volta in Italia nel 1958, è tornato sulla cresta dell'onda, e direi per fortuna. Altrimenti probabilmente non l'avrei mai scoperto, e sarebbe stata una terribile perdita.
Divertentissimo, scanzonato, mai banale, attualissimo. In principio, erano una serie di racconti brevi, giudicati "invendibili" perché i racconti brevi tiravano poco, come adesso più o meno. Così l'autore li mise insieme e ne fece un romanzo.Come ogni grande colpo di genio, fu rifiutato da non so quante case editrici, salvo, una volta pubblicato, vendere di botto centinaia di migliaia di copie, diventare un best seller, poi un successo a Broadway, un film, un musical, con svariati premi e nomination annessi. Gli editori sono i meglio.
Anche la vita dell'autore, il cui vero nome era troppo lungo e complesso perché io me lo ricordi ora, è da sola un romanzo, un misto di eccentricità, pazzia, genio, stranezze, intelligenza acuta, scelte difficili da capire, una fine misteriosa. Quando prendete il libro, e vi consiglio di farlo perché è favoloso, date una letta anche alle note biografiche.
Zia Mame Dennis, signora newyorkese purosangue, stramba, piena di vita e pronta a godersela in ogni momento con un bicchiere di champagne in mano, è perfetta. E' chiffon e rossetto, Martini e sigarette, sesso denaro e creatività, sregolatezza e (finta?) ingenuità. Favolosa.
A lei viene affidato il nipotino, Patrick appunto, rimasto orfano e proveniente da un mondo completamente, completamente diverso da quello della matta che lo accoglie in casa sua. Rimane sconvolto, ovviamente. Ma si innamora di quella sciroccata di sua zia e della sua vita, ovviamente.
Così Patrick e Mame vivono insieme le varie tappe della crescita lui, i vari episodi di una vita rocambolesca lei. Il tutto è raccontato benissimo, con un tono da cui a tratti sembra abbia preso Sedaris, per capirci. Da ridere tanto, da sorridere sempre, da apprezzare riga dopo riga.Anche questo, da leggere prima di morire.
mercoledì 28 luglio 2010
coco chanel
questa è praticamente l'unica biografia autorizzata della Divina. Anzi no, la Divina è e rimane un altra( e se non vi viene in mente chi è informatevi!). La chiamerò la Suprema.
Dicevo, questa è la sola biografia autorizzata, e lo è perché Coco l'ha dettata direttamente a Louise di Vilmorin, la giornalista che ha avuto l'onore e il dramma di farle praticamente da stenografa. Onore perché, cazzo, è Coco Chanel! Dramma perché Coco era una matta. Tutti i migliori sono matti, ricordate?
La Suprema era un genio assoluto, ed anche una assoluta psicopatica pedante, meticolosa, puntigliosa fino a livelli maniacali, una rompicoglioni spaziale. Ha reinventato la propria vita, almeno il periodo dell'infanzia e della giovinezza. Dopo, ne ha reinventate solo alcune parti, ma solo perché essendo famosa alcune cose di lei si sapevano e non poteva smentirle. Ed ha obbligato la giornalista a scrivere tutto anche se era falso, ed a riscrivere, correggere, cambiare, cancellare..finché non si è stufata e ha detto che non se ne faceva più niente. E via così. Una matta.
Solo alcuni aspetti di questa biografia sono veri. Molti sono inventati, o comunque riveduti e corretti da lei. Che ha deciso che la sua infanzia difficile di bimba abbandonata di provincia non le piaceva, e se n'è fatta una un tantino più romanzata. Idem per l'adolescenza tutto sommato senza scosse. Che ha deciso di sottolineare con forza il fatto che ciò che ha creato, il negozio, la griffe, la fama, venivano da lei, in toto. Dal suo genio, senza nessun tipo di aiuto o sostegno. Che ha deciso di non far notare troppo che a qualcuno un grazie andava detto, anche da un mito come lei.
Non è raro che le grandi donne, attrici, scrittrici, scienziate, stiliste, abbiano avuto una vita difficilissima. Penso ad Audrey Hepburn, a Marilyn Monroe, a Marie Curie, ad Artemisia Gentileschi, e a tante altre. Anche la Suprema fa parte di questa folta massa di donne straordinarie con vite straordinariamente contorte e drammatiche. Le difficoltà, se colpiscono una persona normale, possono affondarla, oppure quella persona può avere la forza di rialzarsi e vivere la propria vita. Ma quando colpiscono una persona di vero talento e vera intelligenza, allora diventano una marcia in più. Perché se sai quanto può essere fondo il baratro dello schifo, non ci torni. Puoi fare un sacco di cazzate, ma non te lo dimentichi mai cos'è la povertà, l'abbandono, la violenza. E diventi il migliore, nel tuo campo. Perché indietro non ti importa proprio di tornare.
Chanel ha talmente rifiutato il proprio passato e gli eventi tristi della propria vita, che ha cercato di cambiarlo, o di cancellarli. Così, in differita. Dicendo delle bugie, certo, ma chi non le dice dopotutto. E poi, mica sono bugie che danneggiano qualcuno no? Ha solo ricamato sulla propria vita, da brava sarta. La amo per come era.Matta.Ripeto.
Perciò, non mi frega proprio niente che il libro sia pieno di balle. Quella che c'è scritta qui è la vita che Coco voleva, quella che ha scelto per se'. E per me va bene così.
il piccolo principe
la rassegna di libri continua, anche se un po' a rilento dato che sono immersa in un manuale di storia dell'arte medioevale.....
allora, questo è un altro dei pochissimi libri che ho riletto, ed il motivo è che ti viene proprio voglia di rileggerlo ogni tanto, e non sempre si può resistere. Profondo, intimo, semplice nell'esprimere concetti che molti filosofi hanno tentato di spiegare con migliaia di parole complicatissime.
La storia la sanno tutti, e in ogni caso non è mia abitudine riassumere i romanzi. Quello di cui vorrei scrivere è l'impatto che queste poche pagine hanno su chi le legge. Ho scritto che mi piacciono le storie complesse e contorte, piene di personaggi e di casino, ma questo non vale per il linguaggio. Mi piace la proprietà di linguaggio e mi piace che quando qualcuno parla, e soprattutto scrive, sia in grado di esprimersi come si deve. Ma trovo meravigliosa la semplicità. La chiarezza. Proprio perché niente è più complicato ed impegnativo che essere semplici e chiari. Quando tu leggi qualcosa e ti accorgi che hai appena assistito al piccolo miracolo di un concetto difficile espresso in modo comprensibile, forte e chiaro. Che non vuol dire superficiale, vuol solo dire che chi comunica è interessato a farsi capire da chi riceve il messaggio. Scrive e parla per gli altri e non solo per se' stesso o per pochi eletti. Dritto al punto. Ecco, quando ti trovi davanti a questo, ed esclami una cosa tipo "certo, è proprio così!", allora non è fantastico?!Per me lo è.
Secondo, in queste pagine tutto è così pieno di magia che non puoi non crederci. Forse proprio perché la scrittura è semplice, non ci sono tentativi contorti di spiegare l'inspiegabile, di chiarire il magico. E' proprio così. Non c'è altra spiegazione se non il fatto che è tutto reale e ovvio, per chi sa vederlo. E leggendo il libro, tu la riesci a vedere, la magia.A tal proposito, anche se l'ho già fatto, vi consiglio di nuovo caldamente di leggere Peter Pan, entrambi i libri. Niente è più straordinario di J.M.Barrie.
Terzo, il linguaggio semplice unito alla magia unita alla molteplicità di concetti positivi ma esaminati con lucidità e non con buonismo, regalano al lettore un perenne sorriso, dalla prima all'ultima pagina. La tenerezza è totale e contagiosa. E' una montagna d'amore questo romanzo. Grazie Antoine.
Leggetelo, consigliatelo, rileggetelo e raccontatelo ai vostri figli ed alle persone che amate. Abbracciatevi. Insomma, avete capito.
domenica 18 luglio 2010
mamme zen
Non sono una fanatica di libri di pedagogia, ma da madre, qualcuno l'ho letto. Questo l'ha scritto vent'anni fa Jacopo Fo assieme alla moglie, ora ex moglie, Monica Traglio.
Di solito non posto qui i libri di genere manualistico, tipo quelli che studio per gli esami o quelli per gestire le varie cose pratiche della vita, ma di questo scrivo volentieri perché è davvero valido, e divertente. Non è un decalogo di regole da seguire, e non è un testo pieno di tecnicismi, quanto piuttosto la descrizione di una scelta di vita che dei genitori fanno, e che coinvolge i figli ed il progetto educativo che si ha per loro. E poi Jacopo Fo è davvero troppo divertente! Seguo il suo blog, conosco alcune delle sue iniziative come la Libera Università di Alcatraz, i numerosi progetti per bambini e ragazzi con disagio sociale, l'impegno per la diffusione dell'energia pulita, ed è straordinario come quest'uomo riesca a trattare con estrema leggerezza ed in modo esilarante argomenti molto seri. Argomenti che potrebbero essere tema di pallosissime dissertazioni, pallosissimi libri, pallosissime conferenze. Ed invece lui esprime un numero enorme di concetti e proposte con un linguaggio ed un'enfasi assolutamente comici, con goliardia e totale, irrefrenabile creatività. Come lui stesso più volte afferma (in questo ed altri libri e sul blog), lo stupore ha un potere enorme. Se sai sfruttare l'effetto sorpresa, di solito riesci a farti ascoltare, e capire. Riesci a superare i vari muri di gomma che spesso bloccano la comunicazione. Muri dati dal disinteresse, dal disfattismo, dalla noia, da un'attitudine violenta, dal fatto che semplicemente stai facendo altro. L'effetto sorpresa, dato in questo caso dal tono comico quando non te lo aspetti, fa sì che tu non puoi resistere dal prendere il libro, o leggere i post del blog, e vedere dove vuole andare a parare questo matto. E così ti divori il libro in tre ore, e ti informi su tutte le sue iniziative in tre giorni. Powerful.
martedì 13 luglio 2010
agnes browne ragazza
brendan o'carrol è una potenza ragazzi.
Questo è il quarto, e credo ultimo, libro della serie su Agnes Browne, questa forza della natura di donna nata e cresciuta al Jarro, nella Dublino verace. All'ultima riga di tutti questi quattro meravigliosi libri ho versato una lacrimetta. Immersa in tutti questi quattro meravigliosi libri ho riso tanto, vissuto le esperienze dei protagonisti con loro, e mi ci sono affezionata. Veramente. Ormai è prolisso dire che amo molto gli autori irlandesi, ed è anche prolisso dire che amo gli autori bravi. O'Carrol lo è. Irlandese e bravo.
Mia madre ed io solitamente amiamo libri diversi, e tranne in alcune occasioni il mio tentativo di consigliarle o, peggio, regalarle libri, non è stato felice. Invece, pure lei si è innamorata di Agnes.
Mrs. Browne è una di quelle donne che piacciono a me. Forti. Con la testa alta. Che vengono prese a calci dalla vita per gran parte del tempo, e ce la fanno comunque. Che non restano sempre in piedi, ma puoi star certo che, più o meno in fretta, più o meno intere, si tirano su cazzo. Le guerriere del mondo. Dei fari nella notte per le amiche, per i figli, per le madri in difficoltà. Spesso nell'ombra, con gli umili, mai invisibili, coi deboli.
Per me non c'è altra strada che quella di Agnes, anche se chiaramente poi ognuno la personalizza. Ma la direzione, il nocciolo delle scelte è quello. Il succo è tutto lì. Viva chi resiste. Adesso non abbassiamoci al facile e falso "boia chi molla" che qualcuno vorrebbe far derivare da questa mentalità combattiva. Agnes non perde mai la propria sensibilità, anche quando si incazza. Non smette mai di difendere i figli, anche quando le prende. Non alza mai le mani. Continua a sognare appena può appigliarsi a qualsiasi cosa, e sorride ai figli e alla sua migliore amica. Non imbroglia il prossimo. Non è prepotente con chi è debole. Non è violenta. Certo, si difende e non abbassa la testa, ma non è aggressiva. Ripeto, è forte. Che è ben altra cosa.
Agnes Browne mamma, I marmocchi di Agnes, Agnes Browne nonna, e ora quest'ultimo.
Agnes Browne Donna. E scusa se è poco.
giovedì 1 luglio 2010
ragazze che amano ragazze
Direi che il titolo è chiaro. Il libro è la versione cartacea de "I viaggi di Nina", un docu-film a puntate andato in onda su La7 qualche anno fa. E che io naturalmente non ho visto, ma nel 2007 sono stata impegnata a partorire e a separarmi, quindi sono giustificata.
Comunque.
Al di la' del fatto che non ho visto lo sceneggiato, leggo questo libro con stupore perché, pur essendo parzialmente inserita nel mondo LGBT, non posso fare a meno di chiedermi: ma sono io che vivo in una dimensione parallela o è proprio che questo mondo è completamente nascosto? So per esperienza che le persone hanno idee simili su moltissime cose, e non importa il loro orientamento sessuale, ma so anche che i gay, le lesbiche ed i trans, vivono un mondo che spesso ci è oscuro. E parlo di gusti musicali, luoghi di ritrovo, libri culto, personaggi amati, modi di fare, sport preferiti..Ripeto, un mondo. Un mondo di idee anche, di opinioni sulla società e sulla realtà che li -ci- riguarda.
Le storie raccontate nel libro mirano tutte a mostrare la normalità delle vite di queste donne, le loro esperienze che, pur essendo speciali (se fossero noiose nessuno avrebbe messo in onda lo sceneggiato), sono comuni, e vissute in modo comune. Ma la realtà è che loro, le protagoniste, non vengono considerate donne normali, e spesso fingono o hanno finto di essere diverse da ciò che sono per inserirsi. Salvo poi accorgersi che, primo, se hai certe idee di solidarietà e soprattutto di rispetto delle diseguaglianze, automaticamente non sei inserita. Se sei donna, raramente sei inserita. Se sei single, magari con uno o più figli, scordatelo. Quindi, a questo punto, fanculo le menzogne e il malessere che ne deriva. Queste donne si sono dichiarate. Tutte. Chi molto tempo fa, chi poco prima di apparire nel film, chi proprio in occasione delle riprese. E finalmente, cazzo. Perché un conto è tutelare la propria privacy, un conto è evitare di dire delle cose che invece, se fossi etero, diresti. Tipo "sono innamorata, sono felice". Tipo "la mia ragazza ed io abbiamo comprato un cane". Tipo "ho gli occhi gonfi perché il mio amore mi ha lasciato dopo quattro anni". Cose semplici, apparentemente. Ma mica cazzate, quando devi far finta di niente e non parlarne con nessuno.
E i "normali" dove sono? Quelli inseriti, i cittadini di serie A, quando riconosceranno le realtà LGBT? Perché spesso, quando ti dichiari gay o bisessuale o trans, a parte chiederti come si fa a scopare le domande non sono ne' molte ne' varie. A volte basterebbe un "come ti ci senti?". Ho apprezzato una mia amica, una di quelle sempre dichiaratesi "orgogliosa di essere etero", che mi ha chiesto, con semplicità e umiltà, "com'è una coppia gay?quando esci con una coppia gay, sono diversi dalle altre coppie?". E' stato un passo, è stata una domanda diversa da quelle che si sentono di solito, è stato un guardare oltre il "chi fa l'uomo e chi la donna". Per carità, nessuno è obbligato ad interessarsi a niente, ma dato che quasi tutti giudicano di continuo, almeno ci dovrebbe essere una qualche base su cui appoggiarsi, per farsi una opinione.Oppure, se a uno non frega niente di come vivono quelli diversi da lui, non dovrebbe permettersi di commentare, ne' tantomeno di giudicare. Il mondo gay e trans è veramente sconosciuto ai più, e sono dell'opinione che ogni cosa che sia di aiuto a togliere qualche velo, è benvenuta. Nel caso di questo libro, oltre che benvenuto è anche valido, divertente e fa riflettere. Quindi ancora meglio.
Ah, c'è il gay pride a Roma sabato. Per chi non lo sapeva.
domenica 20 giugno 2010
mi raccomando: tutti vestiti bene
David Sedaris è uno di quegli autori sui quali posso andare a colpo sicuro. Rido continuamente, e non so mai cosa aspettarmi. Avevo letto "Me parlare bello un giorno", altra raccolta di racconti brevi come questa, e forse quello è stato ancora più esilarante, ma pure questo non è da poco.
Non capisco mai cosa in questi racconti sia tratto dalla vera vita dell'autore e cosa no, perché c'è molto di autobiografico, perciò diventa complicato capire dov'è la parte fantasiosa. Ma in fondo non mi frega niente di sapere quali sono le cose che si è inventato e quali quelle che ha vissuto veramente. E' il modo di scrivere, di raccontare gli avvenimenti, di prendere in giro tutto e tutti, in primo luogo se' stesso, è il linguaggio che può sembrare colloquiale ma ti fa capire che invece questo non è un pirla, sono le battute fulminanti ed esilaranti..mi fa impazzire, rido a crepapelle.
Più di una volta mi è capitato di fare la classica figura di merda che fai quando hai per le mani un libro così. Sto leggendo in un momento di pausa al lavoro, oppure sul divano di casa dei miei, oppure in treno. Da fuori, si vede questa ragazza (beh, ragazza de na volta..) che legge, e così si potrebbe pensare che sono una persona colta. Poi, all'improvviso, parto a ridere. Non è che sorrido o faccio una lieve risatina, no. Inizio proprio a ridere come una deficiente, e mi fermo dopo un tot. E così, da fuori, l'idea che ci si fa di me è di una matta. Ma, come dicono in Alice, tutti i migliori sono matti. Mi consolo pensando che sia vero.
Ecco, questa figura di merda l'ho fatta più di una volta (la peggiore, di notte, mentre facevo da badante ad una signora in coma..per fortuna i parenti non erano presenti in quel momento..l'infermiera è entrata e ha visto me con le lacrime agli occhi dalle risate, vicino a una morente..per fortuna l'ha presa con leggerezza e questo mi ha permesso di mostrarle il libro: Bar Sport di Benni, al che lei ha sorriso ed ho capito che probabilmente anche a lei era capitata una cosa simile). Con i libri di Sedaris sei praticamente condannata a fare queste figuracce a meno che non ti organizzi per leggere il libro solo quando sei assolutamente in solitudine, a casa tua e con le porte chiuse. Il che per me, che mi porto i libri ovunque, è un po' complicato. Ma la prossima volta me ne ricorderò. Ehm...credo.
mercoledì 16 giugno 2010
eva
di nuovo Verga, di nuovo con una delle sue primissime prove letterarie. Non il Verga più conosciuto dunque, quello del Verismo, ma un Verga più giovane, che ancora non ha trovato lo stile a lui congeniale.E alla faccia di congeniale, il Verismo se l'è inventato lui ed ha rivoluzionato la narrativa. Comunque, non divaghiamo.
Eva è una ballerina, e un giovanotto si innamora di lei, come tanti altri giovanotti. Lui è un poveraccio che tenta di diventare un grande artista, ma lei straordinariamente ricambia inizialmente l'attrazione, poi si innamora di lui.
I due ci provano, ma alla fine la storia.. Per altri dettagli guardate wikipedia, o ancor meglio leggete il libro, che tanto è breve e lo si finisce in mezza giornata.
Il punto cruciale, almeno per me, è questo: cosa succede all'amore quando c'è di mezzo la realtà? Mi spiego. Quando tu vivi l'intensità sognante dell'innamoramento è tutto fantastico, quando immagini un sacco di cose su qualcuno che non hai, o su una storia appena iniziata, wow... E fin qui niente di nuovo.
Ma che succede quando vi svegliate insieme e tu hai la guancia sporca di bava e il/la partner l'alito che puzza? Che succede quando hai esaurito i tuoi look più favolosi e "quella" persona ti fa un'improvvisata mentre stai spolverando con una vecchissima canottiera grigia di snoopy e dei pantaloni della tuta viola tirati su al ginocchio? Quando tu giri per casa con i bigodini e lei con i peli sulle gambe, oppure lui con una maglietta macchiata di ketchup?
Ricordo che ne abbiamo parlato io e il Solito, una volta, e la domanda perfetta per spiegare il senso del nostro dubbio è stata: che succede se Lancillotto sposa Ginevra? Come va a finire quando la realtà si butta a peso morto sul sogno? Quando l'abitudine rischia di coprire tutto quanto? Uno stupendo teatro è un carnaio se vai dietro le quinte. Una romanticissima e focosa scena d'amore al cinema in realtà è una mezz'ora di lavoro per due ai quali non frega un cazzo l'uno dell'altra, e che sono circondati da almeno trenta persone a cui frega ancora meno. Un romanzo che ti commuove e ti entusiasma per la sua spontaneità è stato riscritto continuamente dal suo autore, per poi passare nelle mani dell'editor, del correttore di bozze, dell'art director.. Una meravigliosa e sexy ballerina può risultare sciatta e sfatta senza trucco, con le scarpe slacciate e tutta sudata.
Quindi, per prima cosa grazie a Verga che con uno dei suoi primi romanzi aveva già raggiunto il livello di vari romanzieri affermati di oggi. Non è passatismo il mio. Pur essendo io spudoratamente passatista per molte cose, actually. E' che dobbiamo sempre ricordarci gli insegnamenti della Storia per poterla usare come termine di paragone, per imparare dal passato. E sapere che ci sono stati( e ce ne sono anche oggi per fortuna) uomini e donne che hanno saputo scrivere così, e anche molto meglio una volta raggiunta la maturazione artistica, beh..saperlo ci deve far riflettere sul fatto che è umanamente possibile raggiungere l'eccellenza. E che, in alcuni ambiti, possiamo anche insistere un tantino di più a cercarla, se proprio non ce la sentiamo di pretenderla.
Secondo punto, onore al merito al giovane Verga per aver saputo analizzare in poche pagine e con estrema chiarezza un tema non così ovvio, soprattutto nell'ottica borghese del tempo (ma, è cambiata poi così tanto l'ottica dalla seconda metà dell'Ottocento a oggi?mah..).
Vi lascio col dubbio su Lancillotto e Ginevra allora. What if..?
P.S:quella nella foto è Patti Smith, tanto per fare la passatista del tutto..e direi che è una buona foto per chi vuole chiedersi, come me in questo post, cosa ci sarà mai dietro ai miti..
sabato 12 giugno 2010
senilità
Non può mancare Italo Svevo alla nostra umile ma il più possibile dignitosa rassegna.
Questo è un libro che superficialmente può sembrare noioso, o comunque poco interessante, ed invece se lo leggi con attenzione è veramente caustico e potente, direi.
Probabilmente nessun altro scrittore, in quel periodo storico, riesce meglio di Svevo a descrivere come sia gretta la figura del borghesuccio che si crede un grand'uomo ma è solo, diciamolo, un piccolo grande pirla.
Emilio Brentani, il protagonista, è un uomo che mente. Se uno capisce questo (e si capisce), allora è già a buon punto per notare quanto sottilmente ironico e tagliente sia tutto il romanzo. Mente agli altri, dandosi arie di uomo pieno di responsabilità, arguto e brillante, mentre non lo è. Mente a se stesso, vedendosi come uomo di mondo con un sacco di esperienza, smaliziato e fuori dalle norme borghesi, mentre è tutt'altro.
E' un uomo spaventato dal mondo esterno, dal sesso e dalle scelte di vita fuori dagli schemi, che per non correre neanche il minimo rischio finisce per rinunciare a tutte le gioie che la vita potrebbe offrirgli, se solo lui le cercasse, o cercasse di afferrarle.
E' un uomo con una psiche di bambino (cioè, ancor peggio di come sono gli uomini abitualmente, intendo..), che vuole far credere a se' stesso ed agli altri di essere molto, molto diverso da ciò che è.
Uno sfigato insomma, lo chiameremmo oggi. E a ragione.
Da un lato quest'uomo mi fa pena, perché capisco che non riesce a reagire alla sua immensa paura di vivere.
Dall'altro mi fa incazzare, perché nella mia testa si fa spesso largo il solito pensiero: che bisogna provare a lottare, sempre.
Il romanzo però non è malinconico o triste, pur parlando di una condizione di disagio e dispiacere. Svevo prende il protagonista per il culo sistematicamente, dall'inizio alla fine. Con quell'humor inglese, avete presente? Come quelle persone che fanno una battuta ma non si scompongono, e tu invece sei lì che ridi come un imbecille. Ecco, Svevo scrive così. Non ne lascia passare una al povero Emilio, ma lo stile è asciutto e minimale, come un sorriso sarcastico, mai come uno scoppio di risate per capirci. Mentre tu che leggi il libro ridi e dici "che bastardo!", e continui a ridere... Geniale.
Questo è un libro che superficialmente può sembrare noioso, o comunque poco interessante, ed invece se lo leggi con attenzione è veramente caustico e potente, direi.
Probabilmente nessun altro scrittore, in quel periodo storico, riesce meglio di Svevo a descrivere come sia gretta la figura del borghesuccio che si crede un grand'uomo ma è solo, diciamolo, un piccolo grande pirla.
Emilio Brentani, il protagonista, è un uomo che mente. Se uno capisce questo (e si capisce), allora è già a buon punto per notare quanto sottilmente ironico e tagliente sia tutto il romanzo. Mente agli altri, dandosi arie di uomo pieno di responsabilità, arguto e brillante, mentre non lo è. Mente a se stesso, vedendosi come uomo di mondo con un sacco di esperienza, smaliziato e fuori dalle norme borghesi, mentre è tutt'altro.
E' un uomo spaventato dal mondo esterno, dal sesso e dalle scelte di vita fuori dagli schemi, che per non correre neanche il minimo rischio finisce per rinunciare a tutte le gioie che la vita potrebbe offrirgli, se solo lui le cercasse, o cercasse di afferrarle.
E' un uomo con una psiche di bambino (cioè, ancor peggio di come sono gli uomini abitualmente, intendo..), che vuole far credere a se' stesso ed agli altri di essere molto, molto diverso da ciò che è.
Uno sfigato insomma, lo chiameremmo oggi. E a ragione.
Da un lato quest'uomo mi fa pena, perché capisco che non riesce a reagire alla sua immensa paura di vivere.
Dall'altro mi fa incazzare, perché nella mia testa si fa spesso largo il solito pensiero: che bisogna provare a lottare, sempre.
Il romanzo però non è malinconico o triste, pur parlando di una condizione di disagio e dispiacere. Svevo prende il protagonista per il culo sistematicamente, dall'inizio alla fine. Con quell'humor inglese, avete presente? Come quelle persone che fanno una battuta ma non si scompongono, e tu invece sei lì che ridi come un imbecille. Ecco, Svevo scrive così. Non ne lascia passare una al povero Emilio, ma lo stile è asciutto e minimale, come un sorriso sarcastico, mai come uno scoppio di risate per capirci. Mentre tu che leggi il libro ridi e dici "che bastardo!", e continui a ridere... Geniale.
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