sabato 30 giugno 2012

sirene sulle ferite aperte..


anche qui posto lo scritto di Lulù, un bellissimo regalo visto che in questo periodo sta scrivendo solo per se' stessa e per ora non mette nulla online..prendetevi un quarto d'ora e leggetevelo che vale la pena. Grazie Lulù..


Quando la finestra tra la vita e la morte si apre, tocca a te. Sali sul davanzale e non fingere che sia per caso. Tocca a te salirci. Alle tue spalle c’è l’abisso, davanti a te la Tempesta.

Uno sguardo ai tuoi piccoli piedi incerti, e non è più tempo di indugi.
Lo so come ti senti, sorella d’acqua. Provi paura per la muta imminente – presto i tuoi piedi spariranno in una fredda mezzaluna di scaglie, dolorosa natura che sposa il nero dell’oceano.
Sensi di colpa ti assalgono al pensiero del danno che compirai, perché sai bene che se alcuni dovrai consolare, molti di più dovrai ferire mortalmente. E poco importa che lo farai con la voce e non con la spada: anche la più bieca delle creature conosce il potere delle parole, anche solo sussurrate.
Non temere sorella, le creature che ferirai mortalmente, sono già assassinate da sé. Hanno negato la loro natura fino a chiamarsi uomini. Non riconoscono il volto della Grande Madre neanche quando appare loro in sogno. Il danno, per tanti di loro è irreparabile e già commesso da lungo tempo. E non sempre a causa di mutilazione fisiche che li colgono dalla nascita: per metà di loro, assenza di seni e protrude sesso deforme.

Sorella d’acqua, non indugiare oltre: in piedi sul davanzale, sciogli la tua chioma in risposta ai capelli di mare che scendono dalla chiglia di quercia quando si solleva dalle acque in tempesta. L’oceano stringe il legno, il busto omaggio alla Madre non può bastare a quietare; suona irriverente lo stesso nome, gomena. E c’è chi pensa sia vilipenda, simbolo di possesso umano.
Nella tempesta che scuote la fragile fattura di quercia, loro dimora in mare, codeste creature avranno in sorte di incontrare noi. Lo vedi l’uomo che l’onda impetuosa ha gettato in mare? Agita convulse le braccia nell’istante della fine: sorella corri, consola il suo spirito liberato dalla paura della fine. Che la sua fine sopraggiunga tra le tue braccia. Nell’istante che le guance scoloriscono, ci sia in dono la vista dei tuoi turgidi seni, iridescenti di madreperla e sormontati da idrozoi rotondi. E per quest’uomo che rovescia gli occhi nel tuo abbraccio, non dimenticare che dovrai preparare una coperta di fiori marini. Vibrante violetto, blu di luce o bianco candido, il colore lo lascio scegliere a te. Abbi cura di inserire un rametto di corallo tra i suoi capelli. Avvolgi il corpo di questa sfortunata creatura con amorevole attenzione, che la morte la trovi così sul fondo degli abissi: avvolta da fiori, con membra rigide in un’ultima smorfia di felice consolazione. Quale più grande consolazione che comprendere nell’istante della morte la propria natura di figlia della Madre? Non dimenticare mai che ogni uomo è figlia, anche se inconsapevole e degenere.
Sorella, vedi bene anche tu, non hai completato la missione. Devi correre in fretta lassù, tra le onde spumeggianti. Quelli da ferire all’amo della tua voce si muovono lungo il tavolato di legno urlandosi l’un l’altro. E tirano corde come volessero impiccare i venti. Vogliono dominare il mare e la terra. Con gli stessi ami sventrano ogni animale finanche l’anima del mondo – anche tra loro non lesinano agguati mortali. Adesso tocca a te, amica d’acqua. Agita la tua semiluna di scaglie lucenti, libera parole che restituiscano ai loro occhi ciechi l’immagine della meravigliosa natura nascosta anche dentro i loro petti: natura di femmina censurata, violentata, uccisa in età precoce. E se di amore per te cadranno riversi sul pontile, aspetta che un’onda gentile li porti tra le tue braccia. Altri si lanceranno tra le onde anch’essi inconsapevoli che il tuo viso è specchio della loro natura. Ovviamente non meritano miglior favore di chi tenta di tapparsi le orecchie per non udire il tuo canto.
Non tentennare, ricorda che il danno queste creature l’hanno giù subito, e mortale: ciascuna ha ucciso la sorella che ha dentro di sé. Fantasmi che esistono senza vivere, incapace di guardare anche se muniti di telescopi a specchio parabolico comandati da microprocessore, incapace di udire anche se gratificati da impianti audio da miliardi di chilowattora. Queste creature che si dilettano a chiamarsi uomini, vengono trafitte dalla nostra voce, ma altrimenti non capiscono; risultano inutili tutte le parole mute con cui pure si baloccano e giocano: libri, internet, talk show e reality.
Cara sorella, accetta il tuo destino, e il loro. Gli uomini non meritano di solcare le acque. E’ con gran sofferenza che si muovono nel mondo incapaci di dar amore, finanche ai loro figli.

Sorelle cieche.

Sorelle tristi.

Sorelle di dolore.
Sorelle inconsapevoli di essere sorelle.

Libera la tua voce. Seduci e rovescia lo specchio della loro identità fasulla. Ferisci. Uccidi. E per ciascuno preoccupati di allestire con amore una coperta di fiori marini; il colore lo lascio scegliere a te: violetto vibrante, blu di luce o bianco candido, vanno tutti ugualmente bene. Ti raccomando, non dimenticare di apporre tra i capelli di ciascuno un rametto di corallo. Che la Morte li trovi così, avvolti da un manto di fiori marini. Solo alcuni con labbra piegate in una smorfia di comprensione, tua consolazione nell’istante della fine.

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