venerdì 22 giugno 2012

Italia S.p.A.



l'ho letto così questo libro, con la cicca e l'aria perplessa come quando si leggono le rogne quotidiane sui giornali del mattino. Quasi mi dimenticavo che è stato scritto e pubblicato nel 2002..me ne sono ricordata quando ho letto "vedremo", o "forse fra cinque anni..", ed ho realizzato che allora Settis non sapeva quanto drammaticamente aveva ragione. O forse lo sapeva ma per pietà verso la nostra nazione, verso noi cittadini e verso se' stesso, lasciava margini di dubbio e speranza.
Non che non ci siano più speranze, per carità. Proprio come mi ricorda lo stesso Settis in questo libro, alla fine Crono venne sconfitto dall'unico figlio che non era riuscito a mangiarsi, Zeus. Ora, non so quanto Monti sia paragonabile a Zeus..comunque almeno non è uno di quelli di prima, governo di destra o di sinistra conta poco, per quanto riguarda l'attentato legislativo che da decenni viene perpetrato contro i Beni Culturali.
Il libro parla di questo, di come un ministro dopo l'altro, un disegno di legge dopo l'altro, una commissione dopo l'altra (e tutto è scritto in minuscolo non a caso), si stia svalutando, alienando, schiacciando, abbandonando il solo patrimonio che è di tutti i cittadini, dal più ricco al più povero, dal più colto al più ignorante, dal più felice al più sfortunato. Quel patrimonio che da ben prima dell'unità d'Italia è stato coltivato, valorizzato, tutelato, reso unico e pubblico pian piano ma inesorabilmente, in un delicato ed amorevole processo che ha portato al tanto apprezzato (all'estero, chiaro, qui ce ne strafottiamo) "modello Italia" della gestione dei Beni Culturali.
L'analisi è così lucida, precisa, chiara nei contenuti e comprensibile nel linguaggio, da lasciare senza parole, veramente. Perché lo stato disastroso in cui versa il patrimonio culturale lo vedo anch'io, lo vediamo tutti, ma la serie di procedure e scelte politiche delinquenti (sì, DELINQUENTI) che ci hanno portato qui..beh..non ne avevo idea, e giuro mi viene da piangere.
Il bello, in mezzo a tutta la merda, è che a me personalmente questo libro ha lasciato anche una certa voglia di fare, di smetterla di tacere, di non restare più impotente a guardare.
C'è poco da fare forse, ma quel poco va fatto per poter rimanere cittadini e non clienti. Perché il Patrimonio culturale è nostro, di tutti noi, e non è un cazzo di supermercato.
Perché i soldi in questo campo non contano niente.
Perché se proprio vogliamo guardare ai soldi dobbiamo guardare l'indotto complessivo che fruttano i Beni Culturali (leggi: soldi spesi in alberghi, ristoranti, trasporti, souvenirs, scarpe, libri, musica, spettacoli, conferenze..) e non solo la quantità di biglietti di museo venduti.
Perché secoli e secoli di lavoro meticoloso e ben fatto non finiscano al vento.
Perché vogliamo dire a voce alta che il Valore è altro da quello che si vende e si compra.
Perché Noi (questo va in maiuscolo) siamo lo Stato.
Perché non vogliamo che ci venga strappato di mano il solo Bene che appartiene a Noi tutti.
Perché vogliamo tenerci ciò che ci appartiene, e poterlo regalare ai nostri figli.

Leggiamo libri come questo. Scriviamo ai giornali. Iscriviamoci al FAI, a ItaliaNostra, per dire le prime due che mi vengono in mente. Visitiamo i musei e lasciamo i nostri commenti. Parliamo con gli amici di queste cose. Insegniamole ai nostri bambini. Scegliamo con altri criteri a chi ed a cosa destinare le nostre preferenze, di lettura, di spesa, di frequentazione..

Per quanto sta in me, dico no. Lo diceva Camus.
Yes, we can. Lo diceva Obama.
Ogni viaggio comincia con un passo. Lo diceva Lao Tze.
E noi Italiani cosa diciamo?

1 commento:

  1. Gli Italiani dicono che vedono le partite. Che è giusto spendere decine di milioni per consolidare società calcistiche e riempire di soldi ragazzotti prestanti che sanno rotolare la palla molto bene. Ecco, le opere d'arte sono loro. Il campo di calcio a posto del museo. La palla dio sovrana di una razza di neoprimitivi di Battiato memoria - cantava "Shock my town". Sì, c'è da restare sotto shock.

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