lunedì 24 ottobre 2011

la vita accanto


La mia libraia di fiducia ha letto questo libro, dopodiché ha partecipato ad una conferenza-lettura dell'autrice e le ha fatto una sola, semplice domanda:"Ma lei dov'è rimasta nascosta finora?!".
Ora che l'ho letto anch'io capisco il perché. MariaPia Veladiano non è una ragazzina, è una cinquantenne professoressa di Lettere. Ha provato a far leggere ad un pubblico qualcosa di suo solo ora (o meglio, lo scorso anno), perché "prima volevo essere sicura che fosse qualcosa di veramente buono, secondo i miei canoni". Ha partecipato al Premio Calvino "perché è l'unico concorso serio che costa poco". La giuria del Calvino inoltre è composta per buona parte da "forti lettori", e non solo da critici, letterati, o altri scrittori e professoroni vari. Questo la fa apparire ai miei occhi (e non solo ai miei) come un giuria più sincera e realista. Bene. Questo libro ha vinto. Ed è qualcosa di straordinario.
Non parlo quasi mai delle trame dei libri, chi legge ogni tanto qui sa che per sapere la trama di un libro vi affido ai motori di ricerca, non ad un blog insulso e personalissimo.
Però una cosa della trama la dico. Questa è la storia di una bambina che nasce brutta. Ma proprio brutta, bruttissima e deforme, anche se non handicappata (così non fa nemmeno pena, come recita il romanzo). Tutto il resto, tutti i dispiaceri ed i (rari) piaceri della sua vita sono filtrati, tradotti, correlati al fatto che Rebecca è disperatamente consapevole della sua bruttezza tremenda, che fa sì che la bidella a scuola si faccia il segno della croce al suo passaggio, fa sì che la famiglia non la mandi all'asilo, fa sì che le passeggiate in città per i primi anni della sua vita siano fatte di sera, sera tardi, e lungo strade dove passa meno gente possibile. Sono pochissime le persone che vogliono bene a Rebecca, perché il sentimento che lei di solito riesce ad ispirare è al meglio la pietà. Non certo l'accettazione, l'amore, l'interesse, l'affetto.
Il modo di trattare questo argomento, e di raccontare tutta la storia, è delicatissimo e partecipe, ma di una partecipazione non urlata e "pasionaria", bensì contenuta e lieve, come in punta di piedi, per non disturbare..Perché il dolore, quando è grande e declinato in molti modi, necessita spesso di rispetto, di silenzio, di empatia. E' la piccola, brutta, triste e terrorizzata Rebecca la protagonista, e lei attraversa la vita in punta di piedi, facendosi notare il meno possibile, per non dar fastidio col suo aspetto e la sua presenza. Quindi anche lo stile di scrittura è così, come lei.
Ora, secondo me una cosa è fondamentale capire quando si leggono storie dure e particolari come questa: che quando un dispiacere è grande, allora niente, NIENTE è uguale a come lo vivono gli altri.Tutto è condizionato da quel dispiacere. Penso a Sepulveda quando scrive "Il Sudamerica confina a Nord con l'odio e non ha altri punti cardinali". Penso a "Se questo è un uomo" di Levi. Penso alle volontarie della Lega Tumori, tutte delle sopravvissute. Il dolore condiziona tutta la tua vita e tutte le tue scelte. Questo lo rende sempre personale, e contemporaneamente simile a tutti gli altri dolori gravi. Quindi ti isola dal mondo e allo stesso tempo, in un certo senso, ti accomuna a molti altri.
Rebecca è nata brutta. Nella mia testa, la Veladiano ha scelto come caratteristica negativa la bruttezza per non rendere "politica" la sua storia. Leggendola, proviamo pietà, ma anche disprezzo per gli ipocriti, e poi empatia, affetto, partecipazione emotiva, sentimenti intensi. Capiamo con il cuore prima che col cervello che Rebecca è una persona degna di amore, rispetto, lealtà, e che il suo essere brutta non deve influire su questo. Ora, solo ora che ci siamo affezionati a lei, potremmo scrivere al posto della parola "brutta" anche altre parole. Come "nera". "Donna". "Disabile". "Povera". "Gay". "Straniera". "Ebrea". E altre. Ma ormai non serve più che io scriva altro per far capire a me stessa ed ai pochi coraggiosi che leggono le mie cazzate, quanto potente sia un libro così. Che senza pretese, senza ideologie, senza sparare alto, senza cercare parole o concetti troppo difficili, tratta l'argomento in assoluto più difficile della storia dell'Umanità. La tolleranza.

1 commento:

  1. "(...)Tutto è condizionato da quel dispiacere."
    IL dolore dell'anima regala una grande sensibilità in chi lo vive o al contrario abbrutisce. Sono proprio curioso di leggere "La vita accanto" per capire se e come è stato indagato questo paradosso del dolore e confrontarlo con il bene incompiuto di Flannery O'Connor - Mary Ann
    (http://flanneryoconnor.wordpress.com/2011/03/04/il-bene-e-grottesco-perche-incompiuto/)

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