sabato 7 aprile 2012
foglie d'erba
come il professor Keating in L'attimo fuggente (forse l'unico caso nella storia del cinema in cui la versione italiana del titolo di un film mi piace più del titolo originale inglese), mi viene da dire "Di nuovo lo zio Walt!". Invece leggendo il mio blog all'indietro mi accorgo che non avevo mai postato niente su di lui. Ma lo leggo spesso, veramente spesso. Solo che un intero libro di poesie, tutto in una volta, per me è difficile. Come agli altri poeti, anche a Whitman tocca la sorte di venire letto un po' a spizzichi e mozzichi, una o due poesie alla volta. Spalmato su buona parte della mia vita, da quando avevo quindici anni più o meno.
Un amore sconsiderato e vastissimo, quello di cui mi parla Whitman. Il poeta dell'amore universale proprio. Per tutto e tutti, dall'ultimo dei reietti alla Nazione americana agli animali alle foglie d'erba, appunto. Mi piace tanto come questo poeta, la cui vita ed il cui pensiero sono stati segnati in modo indelebile dalla sua esperienza come infermiere durante la Guerra Civile, sia stato in grado di superare una serie di traumi che avrebbero potuto rendere la sua poesia disperata e nera, magari commovente ma, alla resa dei conti, un po' sterile.
Walt, almeno sulla carta, ha saputo usare la sua esperienza di vita drammatica ed unica come un punto di partenza per cantare la Vita e la Morte. In pochi poeti ed autori si percepisce il valore del ciclo Vita-Morte-Vita come in Whitman, secondo me. Proprio perché in lui tutto ha valore, tutto merita amore, tutto è collegato a tutto il resto, proprio per questo anche Signora Morte trova il suo posto, ed è un posto d'onore. E' importante, in un periodo storico ed in un paese, l'America, che sta già iniziando a rifiutare come aberranti ed estranei i concetti di morte, sofferenza, bruttezza. Whitman è importante perché, con il suo "barbarico yawp", urla che gli occhi vanno tenuti bene aperti, se si vuole Amare, se si vuole Vivere pienamente, se si vuole capirci qualcosa, se si vuole che "l'anima resti calma e serena davanti a un milione di universi".
Allora il suo amore universale e paritario per tutte le forme di vita e di morte non appare come un buonismo indifferenziato ed indifferente, bensì diventa il canto di chi vede con occhi sempre pronti a stupirsi, ed ammira la grandezza delle più antiche religioni tanto quanto ammira la magnificenza di un unico, perfetto, ineguagliabile granello di sabbia. Adesso, solo così, uno può cantare se' stesso, come fa Walt nella poesia che è definita da Pavese forse la quintessenza di Foglie d'erba. Il poeta canta se' stesso perché anche lui, con l'anima la mente il corpo, fa parte dell'unico grande miracolo d'Amore che è il mondo, visibile ed invisibile. L'essere umano, che fa parte del Tutto, contiene in se' tutto, perciò canta se' stesso ogni volta che canta qualsiasi cosa, e canta ogni cosa ogni volta che canta se' stesso. Nella gioia e nel dolore. E' così che la solidarietà diventa un sentimento sincero e non un passatempo borghese magari anche utile ma vuoto:
"Walt Whitman, un cosmo, il figlio di Manhattan,
turbolento, carnoso, sensuale, che mangia, che beve, e che
procrea,
non un sentimentale, non uno al di sopra degli altri, uomini
e donne, o in disparte da essi,
non più modesto che immodesto.
Svitate i chiavistelli dalle porte!
Le porte stesse, scardinate dagli stipiti!
Chiunque umilia un altro umilia me,
e quanto è detto o fatto alla fine mi torna.
Attraverso di me l'afflato che urge e urge, attraverso di me
la corrente e la lancetta.
Io do la parola d'ordine primeva, il contrassegno della
democrazia,
per Dio! non accetterò niente che gli altri non possano
avere alle stesse condizioni.
(...)"
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