martedì 30 agosto 2011
carne di cane
Torno a parlare di Pedro Juan Gutierrez, perché in qualche modo Cuba è tornata prepotentemente nella mia vita, tramite la vita della mia migliore amica.
E così, lei è la' che si legge "Trilogia sporca dell'Avana" ed "Il re dell'Avana" ed io mica potevo leggerli per la terza volta: col blog che mi aspetta e la vita che non aspetta per niente, mica posso passare il tempo a rileggere quello che già conosco.
Carne di cane è venuto dopo gli altri due. P.J. è più vecchio, un po' più ricco, scrive in maniera stabile. C'è un po' meno sesso, un po' meno violenza, forse c'è un po' più di rassegnazione, di "male di vivere", anche se declinato alla cubana. Declinato alla cubana significa che è sempre e comunque più vitale sensuale spinto e crudo della maggior parte della gente che conosci.
Come negli altri libri di questa serie, P.J. parla delle sue giornate, di cose che gli capitano, e come negli altri la storia è un po' di fantasia un po' autobiografica, ma sempre e comunque maledettamente reale.
Chi è stato a Cuba, in particolare all'Avana, non può non sentire la febbre da cubanite che sale di riga in riga, non può non avere negli occhi quelle strade, quella miseria, quella sensualità rovente e feroce, quella gente senza libertà e senza paura, almeno per molti versi, quel mare caldo dove dio quanto è figo scopare, quelle mulatte e quei mulatti....Chi non è mai stato a Cuba un po' ne è attratto, inevitabilmente, incuriosito come una falena da quel fuoco che brucia e brucia e brucia; contemporaneamente, si chiede che ci troveranno i malati di cubanite in quel delirio di sporco, povertà, violenza e troie.
Che vuoi che ti dica? O la ami o la odi. Però, se ci vai, se la vivi, la ami. Poco da fare.
P.J. ti fa capire tutto questo e anche di più, ti fa sentire ogni battito, tutto il pulsare del dolore e del sesso, tutta la merda il rum il vento l'eccitazione lo schifo la generosità la malizia i ricordi.
C'è molto di me, qui. C'è una pagina, in particolare, in cui P.J. fa una descrizione di se' stesso che mi ha fatto venire la pelle d'oca perché, con le dovute differenze, sono io. Fanculo.Evviva. Non so nemmeno cosa dire perché per certi versi mi piace essere così, per altri ne farei volentieri a meno.
Mi piace il linguaggio, grezzo e scurrile e smozzicato ma che calza come un guanto alla storia che narra ed alla realtà che descrive.
Mi piacciono i personaggi, tutti, anche i brutti e cattivi, perché sono veri come ognuno di noi.
Mi piace che non ci sia una storia ma che ce ne siano tante, perché più vai avanti con la vita meno lei sembra una storia unica e univoca, quanto piuttosto un insieme di pezzetti diversissimi fra loro che non si sa come compongono il quadro più grande, cioè la tua vita appunto.
E mi piace il finale cazzo. Praticamente tutto il libro parla dello schifo che è la vita, di come sia difficile o impossibile uscire dalla merda, di come P.J. si sia non dico assuefatto ma arreso..e invece. Il finale è un inno alla speranza, proprio quando credevi che non ce ne fosse più neanche un briciolo, ecco che l'autore, benedetto uomo, te ne butta lì una secchiata che sembra come dell'acqua fresca a pulire almeno un po' tutto il lercio. Grazie.
Perché anche i perdenti hanno questo diritto, non dico di sperare in qualcosa di meglio, ma di prendere una delle poche cose buone che hanno e scoprire quanto è enorme il suo valore.
Quanto vale una notte di sesso fatto con un po' di affetto in questo delirio di storie del cazzo e scopate a caso..Quanto vale un'ora a parlare con la mamma quando ti sentivi sperduto..Quanto vale una nuotata alle sette di mattina e il mare è ancora tiepido e non c'è nessuno quando avevi bisogno di silenzio solitudine e riflessione.. Quanto vale il rum quando..beh, sempre. Quanto vale, in mezzo al pianto e alla distruzione, un abbraccio e un "ci ritroveremo, e sarà grande"..
Tutto. Vale tutto.
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