Baba Jaga per i popoli baltici (Russi, Rumeni, Polacchi, Iugoslavi..) è la strega per eccellenza. Quando si vuole un cattivo di spessore, e lo si vuole femmina, allora si chiama in gioco lei. La storia per la quale tutti o quasi, in giro per il mondo, la conoscono, è quella di Vassilissa.
La riporto nella versione raccontata da Clarissa Pinkola Estés in “Donne che corrono coi lupi”, anche se con alcuni tagli e alcune parti riassunte per non allungare troppo il post; Clarissa a sua volta racconta la versione narratale da sua zia Kathé.
C’era una volta, e una volta non c’era, una giovane madre che giaceva sul letto di morte. Chiamò a se’ la figlioletta Vassilissa. “Ecco, questa bambola è per te, tesoro mio”, sussurrò la donna, e da sotto le coperte tirò fuori una bambolina vestita come Vassilissa.
“Sono le mie ultime parole, bambina mia. Se ti perderai o avrai bisogno di aiuto, domanda a questa bambola, e sarai assistita. Tienila sempre con te. Non parlarne a nessuno, e nutrila quando ha fame. Questa è la promessa fatta a te da tua madre, questa è la mia benedizione, cara figlia.” E il respiro le ricadde nelle profondità del corpo, dove raccolse l’anima e sfuggì dalle labbra: la mamma era morta.
La bambina e suo padre a lungo piansero e si disperarono. Ma poi, come il campo crudelmente sconvolto dalla guerra, la vita del padre rinverdì, e l’uomo sposò una vedova che aveva due figlie. Sebbene la matrigna e le sue figlie avessero modi educati e sorridessero sempre come vere signore, dietro i loro sorrisi c’era qualcosa del roditore che il padre di Vassilissa non notava.
Quando le tre donne erano da sole con Vassilissa la tormentavano, la costringevano a servirle. La odiavano perché in lei c’era una dolcezza ultraterrena. Si rendeva utile senza mai un lamento.
Un giorno la matrigna e le sorellastre non la sopportarono proprio più. “Facciamo in modo.. che il fuoco si estingua, e poi mandiamo Vassilissa nella foresta da Baba Jaga, la strega, a chiedere il fuoco per la terra. La vecchia la ucciderà e se la mangerà.”
Così quella sera, quando Vassilissa tornò dopo aver raccolto la legna, la casa era tutta al buio.
Disse la matrigna: “Soltanto tu puoi andare a cercare Baba Jaga e chiederle un carbone per riaccendere il fuoco.”
Vassilissa si avviò. Nel bosco l’oscurità fitta e i ramoscelli che scricchiolavano la riempivano di paura. Infilò la mano nella profonda tasca del grembiule, accarezzò la bambola e disse “Solo a toccarla, già mi sento meglio”.
E a ogni biforcazione, Vassilissa infilava la mano in tasca e consultava la bambola, che indicava in quali direzioni andare. La ragazza le diede un po’ del suo pane e seguì quanto sentiva provenire dalla bambola. Improvvisamente un uomo vestito di bianco su un cavallo bianco passò al galoppo, e si fece più chiaro. Poi passò un uomo vestito di rosso su un cavallo rosso, e sorse il sole. Cammina cammina, Vassilissa arrivò alla tana di Baba Jaga, e proprio in quel momento un cavaliere vestito di nero arrivò al trotto su un cavallo nero, e penetrò nella baracca. Subito si fece notte. Lo steccato di ossa e teschi attorno alla baracca prese ad ardere di un fuoco interno, e la radura nella foresta fu dunque illuminata da una luce fantastica.
Baba Jaga era una creatura veramente spaventosa. Viaggiava in un mortaio che si spostava da solo. Guidava questo veicolo con un remo a forma di pestello, e intanto cancellava le tracce alle sue spalle con una scopa fatta con i capelli di una persona morta da gran tempo.
E il mortaio volava nel cielo con i capelli grassi di Baba Jaga che svolazzavano dietro. Il lungo mento era ricurvo verso l’alto e il lungo naso verso il basso, così si incontravano al centro. Aveva una barbetta a punta tutta bianca e verruche sulla pelle per il suo commercio con i rospi. Le unghie nere erano spesse e ricurve e tanto lunghe che non poteva chiudere la mano a pugno.
Ancora più strana era la casa di Baba Jaga. Posava su un mucchio di zampe gialle di gallina, camminava da sola e talvolta volteggiava come una ballerina in estasi. Le maniglie delle porte e delle finestre erano fatte con dita di mani e di piedi umani e il chiavistello della porta d’ingresso era un grugno dai denti appuntiti.
Quando Vassilissa chiese, la bambola rispose “E’ questa la casa che cerchi”. E d’improvviso Baba Jaga nel suo mortaio calò su Vassilissa urlandole: “Che cosa vuoi?”
La fanciulla tremava. “Nonna, sono venuta per il fuoco.. ho bisogno di fuoco.”
E Baba Jaga di rimando: “Oh, sììì, ti conosco, e conosco i tuoi. Dunque, essere inutile.. hai lasciato spegnere il fuoco. Non è una bella cosa da farsi. E, per giunta, che cosa ti fa pensare che ti darò la fiamma?”
Vassilissa consultò la bambola e si affrettò a rispondere: “Perché chiedo.”
Baba Jaga disse soddisfatta: “Sei fortunata. E’ la risposta giusta”.
Baba Jaga entrò rumorosamente nella catapecchia e si sdraiò sul letto e ordinò a Vassilissa di portarle quel che stava cuocendo nel forno. Nel forno c’era cibo sufficiente per dieci persone, e Baba Jaga se lo mangiò tutto, lasciando una piccola crosta e un cucchiaio di minestra per Vassilissa.
“ Lavami i vestiti, scopa il cortile, pulisci la casa, preparami da mangiare, separa il grano buono da quello cattivo e vedi che tutto sia in ordine. Tornerò a controllare quel che hai fatto più tardi. Se non avrai finito, sarai tu il mio banchetto.”
Non appena Baba Jaga se ne fu andata, Vassilissa si rivolse alla bambola, la nutrì e quella la rassicurò dicendole di andare a dormire. Al mattino, la bambola aveva fatto tutto e non restava che da preparare il pasto. La sera Baba Jaga tornò e trovò che non era rimasto nulla da fare. Un po’ soddisfatta e un po’ no, perché non c’era nulla da ridire, chiamò i suoi fedeli servitori perché macinassero il frumento, e tre paia di mani comparvero a mezz’aria e cominciarono a svolgere il lavoro. Quando fu tutto finito, Baba Jaga si sedette, mangiò per ore e ordinò a Vassilissa di pulire di nuovo tutta la casa, di scopare il cortile e lavarle i vestiti.
Baba Jaga indicò un gran mucchio di sporcizia in cortile, nel quale stavano anche milioni di semi di papavero. “Per domattina voglio un mucchio di semi di papavero e un mucchio di sporcizia, ben separati. Hai capito bene?”
Vassilissa disperata consultò la bambola, che ancora la rassicurò, ed ancora fece tutto il lavoro mentre Vassilissa dormiva.
Il giorno dopo Baba Jaga chiamò i suoi fedeli servitori per spremere l’olio dai semi di papavero, e di nuovo apparvero le tre paia di mani.
Mentre Baba Jaga mangiava, Vassilissa le stava accanto. “Allora, che cos’hai da guardare?” grugnì.
“Posso farti qualche domanda, nonna?”
“Domanda pure”, ordinò Baba Jaga, “ma ricordati che se troppo saprai, presto invecchierai”.
Vassilissa chiese chi fossero i tre uomini e Baba Jaga rivelò che il Bianco era il suo Giorno, il Rosso era il suo Sole Nascente, il Nero era la sua Notte.
Vassilissa avrebbe voluto sapere delle tre paia di mani, ma la bambola dalla tasca le suggerì di non chiedere altro, e Vassilissa ubbidì. Baba Jaga, stupita da tante prove riuscite, e dalla grande saggezza della pur giovane Vassilissa, chiese alla ragazzina come avesse fatto a diventare così. Quando la piccola rispose “Grazie alla benedizione di mia mamma”, Baba Jaga urlò che non c’era bisogno di benedizioni lì attorno, e disse a Vassilissa di andarsene, spingendola fuori nella notte. Le diede però ciò che avevano pattuito, perché la ragazza aveva svolto tutte le sue mansioni al meglio. Prese un teschio dagli occhi ardenti dal recinto e lo infilò su un bastone. “Ecco! Prendi questo teschio sul bastone e portatelo a casa. Ecco il tuo fuoco. Non aggiungere una sola parola. Vattene.”
Vassilissa corse verso casa seguendo il percorso che la bambola le suggeriva, con il teschio davanti a se’ dal quale usciva fuoco dalle orecchie, dagli occhi, dal naso e dalla bocca. D’improvviso provò paura per quel peso e quella luce fantastica e pensò di gettarlo, ma il teschio le parlò, la invitò a calmarsi e a proseguire.
All’ avvicinarsi di Vassilissa, inizialmente la matrigna e le sorellastre, credendola ormai morta, non la riconobbero. Quando la riconobbero le corsero incontro dicendole che erano rimaste senza fuoco dal giorno in cui se n’era andata, e sebbene avessero più volte cercato di accenderlo, non aveva mai attaccato.
Vassilissa entrò in casa con un senso di trionfo, perché era sopravvissuta al periglioso viaggio e aveva riportato il fuoco nella sua casa. Ma il teschio sul bastone osservava ogni mossa delle sorellastre e della matrigna, e il mattino dopo aveva bruciato e ridotto in cenere il malvagio terzetto.
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Se il buon giorno si vede dal mattino...Wow! Grazie e complimenti!
RispondiEliminaA me questa storia suggerisce che la dolcezza non basta.
La vita ti offre la morte, e l'intuito suggerisce una via spaventosa per avere il fuoco del femmino sacro: quanto ci occorre per bruciare la falsità e il soppruso che la dolcezza non osa contrastare.
Attendo di leggere ancora!
Lu